Cristina Bargero è un deputato Pd. Sconosciuta alle cronache, anche a quelle parlamentari, ha pensato di dirne una enorme per diventare – se non famosa – almeno meno ignota. E quindi, durante lo psudo-dibattito che ha predecuto il golpe del Pd sulla privatizzazione dell’acqua, ha sparato:
«L’acqua pubblica che arriva nelle nostre case non può essere considerata un bene pubblico ma proprio perché l’acqua non è un bene non escludibile. Per arrivare nelle nostre case abbiamo acquedotto, condutture. Il dibattito è un po’ viziato». Per esser ancora più chiara: «All’utente finale non deve interessare chi gestisce l’acqua. Bastano un buon contratto di servizio e una regolazione».
Inutile dire che i social network hanno giustamente sommerso la signora di improperi, a volte irripetibili, basati intanto sul fatto politicamente incontestabile: un referendum, solo quattro anni fa, ha deciso che per gli italiani l’acqua è un bene pubblico che deve restare tale e non essere affidato in concessione a privati.
La signora Bargero può legittimamente avere un’opinione diversa, ma non può pretendere che sua opinione – e quella di privati che premono nelle anticamere del governo per avere in concessione questa o quella risorsa idrica – prevalga su quella della maggioranza della popolazione. Si chiama democrazia, per di più diretta e dunque inequivocabile. A domanda precisa c’è stata risposta netta.
Naturalmente la massa di imporperi è stata usata dal Pd e da lei stessi come occasione per dipingersi come vittima degli “antidemocratici” (un po’ come fanno i fascisti quando pretendono di aver diritto di parola perché siamo in democrazia anche se – fosse per loro – non ci rinoscerebbero il diritto simmetricamente inverso).
Per chiarire ancora la superiorità indiscutibile della sua opinione si è spinta ancora più in là:
«Chiunque abbia sostenuto un esame di Scienza delle finanze sa che dal punto di vista della teoria economica l’acqua che arriva nelle nostre case non può essere definita un bene “pubblico” (non rivale e non escludibile) perché se non ci fosse una rete idrica (acquedotto) i cittadini potrebbero esserne esclusi. Di qui la necessità della regolazione».
Potremmo obiettare alla signora che le teorie economiche sono più d’una, e non solo quella sostenuta dal testo di scienza delle finanze da lei studiato (temiamo sia quello di Olivier Blanchard Francesco Giavazzi, insieme ad Alessia Amighini, un concentrato di neoliberismo senza see senza ma). Potremmo altresì obiettare che non è davvero necessario aver fatto quell’esame all’università per avere un’opinione sulla proprietà dell’acqua, come per tutte le questioni di vita o di morte per gli esseri umani. Anzi, non è proprio necessario e neanche aver frequentato l’università o a scuola superiore. L’accesso all’acqua è un diritto umano universale, quindi possono parlarne tutti.
Non sono dunque decisive le sottili distinzioni neoliberiste tra “bene pubblico”, “bene non rivale” e “bene non escludibile”. Se non c’è un’infrastruttura – la rete idrica – non arriverebbe l’acqua nelle case, ovvio oltre i limiti della banalità. Ma chi ha creato o deve costruire questa rete? Chi deve gestirla? Un imprenditore privato guidato dalla ricerca del massimo profitto in condizioni di monopolio (un appartamento non è raggiungibile da qualsiasi rete idrica; quindi non si può fare concorrenza reale)? Oppure una società pubblica guidata dall’obiettivo di soddisfare i bisogni della popolazione al minor costo possibile?
Che portare l’acqua nelle case abbia un costo è indubbio. Ma, appunto, il prezzo finale dell’acqua deve coprire i costi oppure garantire anche un profitto o guadagno d’impresa?
La risposta non dipende dai principi di una teoria economica, ma da una visione del mondo, dei bisogni umani, del modo di soddisfarli. Che ovviamente imprintano un modo pratico – economico – di realizzare quella visione e garantire quei diritti.
Ma per la signora Bargero «All’utente finale non deve interessare chi gestisce l’acqua. Bastano un buon contratto di servizio e una regolazione».
Avrebbe potuto dire: “dovete pagare e zitti”. Ma non sarebbe stato fine, vero?
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