Il referendum del 4 dicembre lo aveva in qualche modo detto: quelle del governo Renzi sull'occupazione, specie giovanile, erano chiacchiere, “bufale” in senso tecnico, propaganda. Che oltretutto veniva percepita immediatamente come tale dai diretti interessati, in primo luogo proprio i govani.
I dati relativi all'occupazione nel mese di novembre, resi noti stamattina dall'Istat, confermano in pieno la “percezione sociale” e sbugiardano definitivamente il sia il passato governo che quello fotocopia oggi in carica.
Nel mese di novembre, infatti, la stima degli occupati risulta – sì – in lieve crescita rispetto a ottobre (+0,1%, pari a +19 mila unità), ma l'aumento riguarda quasi esclusivamente le donne e le persone ultracinquantenni. Aumentano, in questo mese, gli indipendenti e i dipendenti permanenti, calano i lavoratori a termine. Il tasso di occupazione è pari al 57,3%, in aumento di 0,1 punti percentuali rispetto a ottobre.
Messi così non sembrerebbero dati pessimi, se non confermassero una situazione più che paradossale: gli ultra cinquantenni (e ultrasessantenni) obbligati a restare al lavoro oltre i limiti della logica produttivistica, e tutto il mondo precarissimo del lavoro “a termine” (sottopagato e senza diritti esigibili) a subire le oscillazioni della domanda di lavoro. E infatti sono proprio questi ultimi a calare per primi quando la congiuntura economica segna un rallentamento o una contrazione.
Su base trimestrale, nel periodo settembre-novembre, si registra invece un lieve calo degli occupati rispetto al trimestre precedente (-0,1%, pari a -21 mila). Il calo interessa gli uomini, le persone tra 15 e 49 anni e i lavoratori dipendenti, mentre si rilevano segnali di crescita per le donne e gli over 50.
Concentrando l'attenzione sui disoccupati, invece, si vede che l'aumento è molto sensibile (+1,9%, pari a +57 mila), specie perché avvenuto in un solo mese e perché va a sommarsi al calo dello 0,6% registrato nel mese precedente. Anche qui si conferma la distorsione sistemica creata da cosiddetta “riforma Fornero”: l'aumento è attribuibile a entrambe le componenti di genere e si distribuisce tra le diverse classi di età ad eccezione degli ultracinquantenni. Di consegienza il tasso di disoccupazione ufficiale (senza qui entrare nel merito dell'attendibilità dei criteri statistici adottati a livello europeo, per cui se lavori un'ora nella settimana in cui avviene la rilevazione sei “occupato”) è pari all'11,9%, in aumento di 0,2 punti percentuali su base mensile.
E questo nonostante il calo della stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-0,7%, pari a -93 mila), ovvero di quanti avevano smesso di cercare un lavoro. Il tasso di inattività scende infatti al 34,8%, in diminuzione di 0,2 punti percentuali. Ma bisogna dirselo chiaramente: gli “inattivi” sono disoccupati a tutti gli effetti, dunque il totale dei senza lavoro (pur essendo in età lavorativa) sfiora ormai il 47%.
Su base annua si conferma la tendenza all'aumento del numero di occupati (+0,9% su novembre 2015, pari a +201 mila). La crescita tendenziale è attribuibile quasi esclusivamente ai lavoratori dipendenti (+193 mila, di cui +135 mila i permanenti) e si manifesta sia per le donne sia per gli uomini, concentrandosi esclusivamente tra gli over 50 (+453 mila). Nello stesso periodo aumentano i disoccupati (+5,7%, pari a +165 mila) e calano gli inattivi (-3,4%, pari a -469 mila). In questo caso, però, il calo degli “inattivi” è una conseguenza demografica dell'invecchiamento della popolazione: si esce cioè dalle stime di inattività solo perché si superano il 64 anni.
Il dato che non emerge in questo tipo di rilevazione (concentrata esclusivamente sulla dicotomia occupati/non occupati, e relative forme legali) è quello salariale: la “sensazione sociale” è che quando pure si riesce a lavorare, lo stipendio sia molto basso. Dunque, a un'apparente “stabilità occupazionale”, con lievi oscillazioni in alto e in basso, corrisponde invece una massa salariale in diminuzione spalmata su un numero ampio di persone al lavoro.
Ma è soprattutto la condizione giovanile quella che annienta le retoriche governative. Dice l'Istat: A novembre il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, cioè la quota di giovani disoccupati sul totale di quelli attivi (occupati e disoccupati), è pari al 39,4%, in aumento di 1,8 punti percentuali rispetto al mese precedente. Dal calcolo del tasso di disoccupazione sono per definizione esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi. L’incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa classe di età è pari al 10,6% (cioè poco più di un giovane su 10 è disoccupato). Tale incidenza risulta in aumento di 0,7punti percentuali rispetto a ottobre. Il tasso di occupazione dei 15-24enni diminuisce di 0,1punti percentuali, mentre quello di inattività cala di 0,6 punti.
Quattro giovani su dieci non lavorano, cinque su dieci studia, solo uno è al lavoro. E grazie al Jobs Act probabilmente non viene neppure retribuito…
Il rapporto completo dell'Istat: CS_Occupati-e-disoccupati_novembre_2016
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De Marco
Si legge: « In questo caso, però, il calo degli “inattivi” è una conseguenza demografica dell'invecchiamento della popolazione: si esce cioè dalle stime di inattività solo perché si superano il 64 anni. ».
Bene, però l'età pensionabile è oltre i 67 anni in Italia. Ho già notato questa falsificazione statistica nel mio sito http://rivincitasociale.altervista.org ma sembra che l'Istat – e tutti quanti – non siano interessati a correggere, oltre a dare i veri numeri della disoccupazione, cioè tutte le categorie incluso i scoraggiati e i lavoratori precari … e non solo la categoria del OIL per la quale uno viene considerato « attivo » se ha lavorato una ora nell'ultima settimana investigata!
Paolo De Marco