Seicento illustri professori universitari e presunti tali (nell’elenco compaiono anche degli “infiltrati”, privi di qualsiasi affiliazione accademica) hanno indirizzato una breve lettera – pubblicata sul sito del Gruppo di Firenze – a Governo, MIUR e Parlamento per denunciare la fragilità sintattica e ortografica dei giovani studenti universitari. La responsabilità? Ovviamente del sistema scolastico, che appare reagire in modo blando e inadeguato di fronte a strafalcioni grammaticali e proposizioni involute.
Solo due piccole osservazioni per le autorevoli personalità che hanno denunciato il caso.
Pochi mesi fa molti laureati italiani hanno partecipato ai concorsi a cattedra per diventare docenti di scuola secondaria. In alcune classi di concorso hanno superato la prova scritta molti candidati in meno rispetto ai posti messi a bando. Interrogati sulla ragione di questa durezza nella selezione, i commissari hanno semplicemente risposto che gran parte degli aspiranti docenti non solo non erano in grado di scrivere correttamente nella lingua italiana, ma avevano lasciato in bianco alcuni quesiti (tra l’altro assai generici) o addirittura avevano dato prova di profonda ignoranza nel proprio settore disciplinare.
Alcuni docenti universitari si sono sentiti accusati di aver attribuito il titolo di dottore a chiunque, dimostrando una certa leggerezza, di aver creato negli anni dei percorsi formativi troppo facili e privi di effettivi “sbarramenti”, consentendo anche ai meno preparati di completare gli studi. Alcuni docenti universitari, per difendere il proprio operato, hanno reagito duramente con lettere aperte o accusando il MIUR di aver elaborato delle cattive prove concorsuali.
Ma quanti studenti vengono respinti negli esami universitari? Quanti “diciotto” vengono attribuiti? E quanti “trenta”? Specialmente in alcune facoltà, la selettività accademica è andata smarrita, e non solo perché gli studenti sono meno preparati in “ingresso”, ma per ragioni di opportunità, per far decollare le iscrizioni ai corsi di laurea, per la concorrenza al ribasso che si è innescata tra gli atenei, ma pure per l’abbassamento del livello culturale del corpo docente. Lo stesso, purtroppo, accade nel mondo della scuola. Il processo è ormai avanzato, e lo denunciamo da anni. Tutti hanno il diritto di criticare la scuola, perché la scuola è di tutti. Ma forse i docenti universitari possono permetterselo meno degli altri.
Oggi i nostri accademici scaricano sulla scuola la responsabilità di un sistema formativo illanguidito, ma è una responsabilità che condividono, e non mi pare facciano alcuno sforzo per capirne le ragioni profonde.
Vogliamo provare una volta tanto a fare un’analisi delle difficoltà incontrate in Italia per mettere in piedi un sistema per l’istruzione di massa? A parte lamentarsi dell’ovvio, da un docente universitario ci si attenderebbe in primo luogo una discreta lucidità nel decifrare processi ed eventuali fallimenti della scuola di massa. Credono davvero che sia sufficiente – come propongono – aumentare i momenti di verifica delle competenze linguistiche? La loro denuncia non si misura affatto sulle difficoltà concrete delle scuole nei territori complessi. La normativa sui BES ha tanti difetti, e in generale le politiche inclusive oggi non riescono a riequilibrare una buona politica scolastica, andando a indebolire spesso la qualità di alcune azioni didattiche, e abbassando in parte il livello generale. Ma questo accade soprattutto per ragioni finanziarie, perché nella scuola italiana non si investono risorse sufficienti.
Eppure nemmeno i soldi risolverebbero completamente il problema, poiché profonda è l’influenza di altre agenzie educative nella formazione dei linguaggi. E anche su questo, ci sarebbe molto da dire e da ragionare.
Forse i nostri studenti non sanno come scrivere, ma i nostri professori, purtroppo, non sanno cosa scrivere.
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Giovanni
articolo un pò particolare, questo. attribuire la mancanza di conoscenza al fatto che non si boccia abbastanza mi sembra un'emerita cazzata. forse bisognerebbe chiedersi qualcosa su anni di quiz a crocette ed un'impoistazione della scuola che non consente un apprendimento corretto. e su questo tanto si potrebbero criticare i 600 prof, che non dimentichiamolo rappresentano classe dirigente (basta guardare a quanti sono in parlamento).
Carlo
Non sostengo affato che le fragilità nella preparazione dipendono da poca selettività, dico invece che i docenti universitari con questo appello criticano la scuola proprio per le larghe maglie nella valutazione degli studenti (in altri termini, dicono che la scuola non controlla gli apprendimenti e "regala" i titoli di studio), e proprio gli accademici a mio avviso devono rispondere in prima persona di una generale reductio del processo formativo. Tale banalizzazione dei percorsi formativi ha ragioni molto diverse nei vari gradi di istruzione, ma di certo l'università non può chiamarsene fuori.
ahp68
mi pare, semplicemente, che si sia arrivati a quel cul-de-sac in cui si è infilato il sistema formativo/educativo italiano, dalle riforma de mauro in poi.
questi sono i ragazzi a cui fin dalle elementari insegnamo: prima di parlare, pensate, elaborate, selezionate, ponderate, e solo dopo esponete il vostro pensiero. poi succede che invece vengano valutati nei test a crocette, con il cronometro che scatta come il timer di una bomba, e ticchettando inesorabile suggerisce, nel dubbio, di mettere una risposta a caso o quella intuitivamente più plausibile. Per superare una prova INVALSI è meglio memorizzare un assieme eterogeneo di nozioni, piuttosto che preoccuparsi di elaborare un pensiero consapevole e compiuto.
ecco quindi che la scuola non è più scuola di saperi e conoscenze, ma di intuito e competenze. in tutto questo non è che l'università non abbia colpe: non hanno pensato, questi 600 docenti, che l'introduzione del numero chiuso, con esecuzione di un test d'ingresso, avrebbe selezionato laureandi poco più che analfabeti di ritorno? evidentemente gli atenei preferiscono avere in aula e in laboratorio studenti che sanno cosa c'è marcato sul bordo di una moneta da due euro, piuttosto che cittadini dotati di cultura e capaci di scrivere un elaborato in italiano corretto.
e le cose non possono che andare peggio con l'introduzione nel percorso scolastico dell'alternanza scuola-lavoro – che rappresenta un cedimento franoso della conoscenza, a scapito di una mera concezione utilitaristica dell'educazione. ricordo che dal prossimo esame, la valutazione dei tutor nell'ambito dell'attività lavorativa, avrà un peso nella formazione del voto di maturità.
quindi, cari docenti universitari: gli studenti sono esattamente nel punto dove noi educatori volevamo che fossero. nel caso, prendiamocela con noi stessi, lasciamo perdere il resto.
Giovanni
ringrazio per la risposta, sottoscrivo tutto quanto di ahp68, vedo i ragazzi interessati solo al risultato, la concezione utilitaristica…
Eros Barone
L’allarme sullo stato catastrofico del rapporto tra conoscenza della lingua italiana e nuove generazioni, lanciato da 600 docenti universitari in una lettera aperta indirizzata alle istituzioni, ha giustamente occupato un posto di rilievo nelle prime pagine degli organi di comunicazione del nostro Paese. La questione sollevata tuttavia non è affatto nuova, poiché esiste da alcuni decenni ed è andata progressivamente aggravandosi negli ultimi anni. La realtà era da tempo sotto gli occhi di tutti, a cominciare da istituzioni prestigiose come l’Accademia della Crusca e da studiosi altrettanto prestigiosi come Tullio De Mauro. Alle une e agli altri va forse attribuita qualche responsabilità non solo per la passività e l’acquiescenza dimostrate verso questo preoccupante fenomeno di regressione culturale, ma addirittura per l’ottica ottimistica con cui, in certi momenti, hanno invitato a considerare tale fenomeno. Ricordo ancora uno scritto dello studioso testé citato, dal titolo “Scripta sequentur” (gli scritti seguiranno), in cui veniva tessuto l’elogio del primato del linguaggio orale sul linguaggio scritto come asse di un’educazione linguistica innovativa… Si è trattato, in realtà, di una forma di populismo linguistico che, insieme con la rivalutazione del dialetto, l’abolizione del latino e l’enfasi sproporzionata posta sull’inglese, ha spianato oggettivamente la strada alla deriva localista e neo-primitiva, inficiando una corretta e completa formazione linguistica delle nuove generazioni e determinando le perniciose conseguenze che sono ora oggetto di una denuncia tanto accorata quanto tardiva. in questo Paese sono completamente mancati, a parte isolate e non influenti eccezioni, un ceto politico ed un ceto intellettuale animati dalla consapevolezza che i problemi linguistici sono, nella loro essenza, problemi che coinvolgono il ‘logos’, il ‘pathos’ e l’‘ethos’ (vale a dire il ragionamento, le emozioni e la moralità), che è quanto dire la formazione dell’identità nazionale e del senso civico. Del pari, si è rinunciato ad esigere dai nostri ragazzi, sul piano dell’impegno nello studio e nella conoscenza, molto di più di quello che è stato loro richiesto, abbassando sempre di più i livelli, i contenuti e la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. Non è difficile quindi prevedere che nei prossimi decenni, che saranno segnati da enormi tempeste politiche, sociali e militari, e dalla poderosa avanzata di nuove potenze dotate di sistemi educativi di alto livello, ci toccherà pagare un conto assai salato, come Stato nazionale, per la regressione linguistica delle nuove generazioni. Basti pensare che le misure indicate nel documento in questione (fra le altre cose, dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura a mano, nonché verifiche nazionali periodiche di queste abilità durante gli otto anni del primo ciclo scolastico) rientrano tutte in quello che era il funzionamento ordinario della scuola dell’obbligo, prima che esso fosse investito, per un verso, dalle mutazioni epocali legate alle TIC, e mutilato e distorto, per un altro verso, dalle sciagurate politiche scolastiche di questi ultimi decenni.
Daniele
Sottoscrivo quanto detto da Eros Barone e mi complimento per il commento
Carlo
Il documento dei 600 docenti può indurre molti a trascinare la questione su un terreno prettamente didattico, segnalando quali metodologie meritino di essere ripristianate e quali abbandonate. Ma questo terreno di discussione mi pare sbagliato e fuorviante. In primo luogo perché si basa su dati inconsistenti. Non è affatto vero che nella scuola italiana è stato assimilato il metodo anglosassone. Forse a chiacchiere. Nella maggior parte delle classi della scuola primaria le crocette le hanno viste solo con i testi INVALSI, che in molti casi sono stati anche trascurati dal personale docente. Nonostante le bandiere innovative, nelle classi reali c'è ancora tanta tradizione. Riassunti, interrogazioni, composizioni libere e quesiti a risposta aperta ancora dominano nel panorama scolastico. Ma anche se le cose fossero diverse da quello che sono, la problematica dell'impoverimento linguistico dei nostri studenti non ha strettamente a che fare con la didattica.
Invito tutti a prendere in considerazione fattori che sono stati bellamente ignorati dai professori e che invece sono pregnanti.
La scuola italiana è ancora una scuola fortemente classista. La sua natura sociale contraddice al suo impianto costituzionale, e l'unico modo in cui riesce a contenere questa contraddizione è addolcendo il processi di apprendimento fino al punto di illanguidirli, rafforzando ulteriormente gli effetti classisti della cosa. Infatti, gli allievi fortemente accompagnati dalle famiglie nei processi di formazione, sono gli unici a dimostrare sicurezza e capacità d'orientamento di fronte a una pagina scritta. Per tutti gli altri, non si riesce a ottenere molto.
Questo vale anche perché ciò che sulla carta dovrebbe funzionare e meriterebbe il plauso internazionale, come l'inserimento nelle classi degli studenti diversamente abili, l'inclusione dei BES, l'integrazione degli studenti stranieri: di fatto non sono sostenuti da politiche finanziare adeguate, comportanto come risultato una confusione pedagogica che disfa ogni risultato positivo per tutti gli studenti in modo indifferenziato
E ancora: in molte scuole mancano docenti per diverse ore al giorno. I docenti assenti non possono essere sostituiti. Si entra dopo o si esce prima. Si saltano giorni di scuola che è una bellezza. Su un anno di dodici mesi, a conti fatti, ogni studente non frequente la scuola per più di 750 ore, che significa circa 6-7 mesi effettivi per mezza giornata, cinque giorni a settimana. Cosa fa tutto il resto del tempo?
E qui arriviamo al punto chiave: il mercato e i brand controllano i nostri processi linguistici più di quanto noi riusciamo a percepire. Condizionano la capacità d'attenzione e di riflessione. Orientano il ragionamento, le conclusioni e la consonanza cognitiva.
Non la farò lunga. Ma ecco che la lettera dei 600 docenti, concentrando l'ordine dei problemi sul solo aspetto metodologico-didattico, travisa la questione evocando i bei tempi di una volta quando la scuola funzionava bene.
Demagogico e furoviante, secondo me.
Eros Barone
Grazie, Daniele. L'intervento qui pubblicato è tratto da un articolo più ampio reperibile al seguente indirizzo:
Grazie, Daniele. L'intervento qui pubblicato è tratto da un articolo più ampio reperibile al seguente indirizzo:
http://www.varesenews.it/lettera/la-regressione-linguistica-delle-nuove-generazioni-cause-e-conseguenze/.
Eros Barone
Chiedo scusa per l'errata trascrizione. L'indirizzo è il seguente:
http://www.varesenews.it/lettera/la-regressione-linguistica-delle-nuove-generazioni-cause-e-conseguenze/
liliana
il livello di preparazione dei nostri studenti è destinato ad abbassarsi in quanto nella scuola italiana si sta procedendo all'immissione in ruolo di un esercito di "maestre" ,persone che in virtù di un diploma magistrale conseguito qualche decennio fa e dichiarato abilitante ,saliranno in cattedra senza nessuna selezione.Visti i lunghi tempi trascorsi dal conseguimento del diploma all'immissione nulla osta che tali persone siano diventate delle analfabete di ritorno
Roberta
Ho trovato molto interessanti e pertinenti tutti i commenti di cui sopra, ma l'ultimo mi ha lasciata basita! La disinformazione forse è un altro grave problema che affligge certi docenti! Sono una maestra di scuola primaria, fiera di esserlo e senza alcun senso di colpa nei confronti del fenomeno denunciato dai 600 professori, che comunque condivido nelle tesi e nelle proposte. Noto con tristezza che anche tra le risposte che leggo qui purtroppo si annidano imbarazzanti errori ortografici. Poi non si dica che il nostro ruolo risulta antipatico…