La vicenda delle vittime di sostanze chimiche nei sobborghi di Idlib in Siria ancora non è stata chiarita ma, come noto, sono già partiti i missili punitivi degli Stati Uniti. In base al Trattato che mette al bando le arni chimiche, sarebbe stata obbligatoria una ispezione sul territorio per verificare cosa fosse successo veramente prima di qualsiasi ritorsione.I mass media continuano ad accreditare la tesi di un bombardamento con gas tossici da parte dell'aviazione siriana. Altre fonti parlano invece di un deposito di sostanze tossiche in mano ai ribelli aserragliati nella città colpito dai bombardamenti siriani. La dinamica fin qui visibile confermerebbe più la seconda tesi che la prima, ma senza una vera ispezione sul campo anche questa rimane una congettura.
La differenza tra le due ipotesi – bombardamento premeditato con armi chimiche o effetto collaterale del bombardamento – non è irrilevante. Certo non cambia nulla nella tragedia delle persone, uomini, donne, bambini uccisi o intossicati dalle sostanze chimiche a Idlib, le cambia sul piano delle conseguenze politiche. L'amministrazione Trump, i governi europei e la Turchia non si sono però fatti scrupoli e hanno riproposto la logica del "bombardamento etico" come sentenza unilaterale.
Ma il problema sollevato dalle morti di tante persone per le sostanze tossiche inalate a causa di un bombardamento, richiama alla memoria episodi della storia recente rimasti impuniti. Vogliamo ricordare ai nostri lettori il caso della cittadina serba di Pancevo e del suo polo petrolchimico nell'aprile del 1999. In questo caso i responsabili – i paesi della Nato – sono esattamente gli stessi che in questi giorni muovono accuse e lanciano missili. Bombardare impianti industriali o chimici può scatenare effetti collaterali micidiali come quelli visti a Idlib. E' già accaduto ma non ha avuto conseguenze. Nessuno è riuscito a trascinare davanti al tribunale i responsabili nè qualcuno ha lanciato missili sulla base militare di Aviano da dove, probabilmente, erano partiti gli aerei che avevano bombardato la Serbia nel 1999.
Ripubblichiamo qui di seguito una parte del rapporto reso pubblico il 5 novembre 2002, dall’Istituto di Ricerche sull’Energia e l’Ambiente, IEER, che mette in risalto i problemi giuridici ed ecologici relativi ai cosiddetti bombardamenti di precisione dei siti industriali Jugoslavi nel 1999. Sarà bene che i lettori lo leggano con attenzione, perchè è accaduto, perchè è rimasto impunito e perchè i responsabili di quei bombardamenti sono gli stessi che oggi si ergono a giustizieri.
Pancevo è una città industriale di una popolazione da 80.000 a 90.000 abitanti. Questa città si trova nella provincia di Voivodina nella Repubblica della Serbia, che faceva parte dell’ex Repubblica Federale di Jugoslavia, ed è situata a 20 km a nord-est dalla capitale Belgrado (1.200.000 abitanti), alla confluenza della Sava con il Danubio. Il complesso industriale si estende su circa 290 ettari a sud e a sud-est di Vojlovica, una importante zona residenziale di Pancevo. Questo complesso accoglie strutture industriali che vengono identificate con il nome della fabbrica di fertilizzanti chimici HIP Azotara, con gli impianti petrolchimici HIP Petrohemija, e con la raffineria di petrolio NIS. Le tre imprese industriali impiegavano 10.000 persone e perciò rappresentavano le principali fonti di impiego per l’insieme della regione di Pancevo. Molti piccoli paesi sono situati direttamente a sud del complesso industriale.
L’impianto petrolchimico e la raffineria di petrolio sono collegati al Danubio da un canale lungo 1,8 km, che serve a scaricare le acque usate dopo i trattamenti di depurazione. La fabbrica di concimi utilizza un canale di drenaggio adiacente. Prima del conflitto, le acque usate dall’impianto petrolchimico erano sottoposte a trattamento attraverso un processo a due stadi, il filtraggio e il trattamento biologico, prima di essere scaricate nel canale delle acque di risulta. Questo impianto di depurazione veniva considerato come la struttura per il trattamento delle acque reflue più moderna e efficace di tutta la ex Jugoslavia.
Una stazione di prelevamento per l’acqua potabile è situata proprio a monte del sito industriale di Pancevo sul Danubio, vicino alla confluenza della Sava con il Danubio. Questo punto di prelevamento assicura l’acqua potabile alla maggior parte della popolazione della regione situata attorno a Pancevo. Inoltre, una parte non trascurabile della popolazione, circa il 5% in città e il 10% nei villaggi circostanti, utilizza pozzi privati per l’acqua potabile, per le colture, gli orti e i giardini.
La zona circostante il complesso industriale di Pancevo soffriva già di un inquinamento cronico prima dei bombardamenti del 1999.
Ad esempio, campioni di terreno e di acque dal sottosuolo prelevati nell’area degli impianti del petrolchimico avevano rilevato la presenza di solventi clorurati, come il triclorometano, il tetraclorometano, il tricloroetano e il tetracloroetano, il dicloroetilene e il tricloroetilene, ed altri, che sono sottoprodotti non desiderabili spesso associati alla produzione del policloruro di vinile, PVC.
Nella raffineria, esisteva già prima dei bombardamenti un inquinamento da petrolio. Inoltre, alcuni elementi testimoniano di uno sversamento di mercurio prima dei bombardamenti della NATO, molto più importante di quello procurato dai bombardamenti stessi, e di una contaminazione di policloruri di difenile, PCB, nel canale di scarico.
Infine, c’era stato qualche anno prima del conflitto un importante sversamento di 1,2-dicloroetano. Tutti questi fattori sono stati di intralcio ai tentativi di una valutazione reale dell’impatto dell’inquinamento risultante esclusivamente dai bombardamenti.
I bombardamenti delle istallazioni di Pancevo sono durati per molte settimane e hanno profondamente perturbato la vita di Pancevo.
Si stima che circa 40.000 persone avessero abbandonato la città già prima del primo bombardamento, nell’aprile del 1999, delle quali 30.000 non sono rientrate che in giugno, dopo la fine dei bombardamenti.
Inoltre, veniva imposto un divieto temporaneo di pesca nelle acque del Danubio vicino a Pancevo, fino all’autunno dello stesso anno.
Per di più, il ministero Serbo della protezione civile, aveva raccomandato di non consumare alcun prodotto coltivato nelle aree attorno a Pancevo, dato che le piogge avevano dilavato il nero fumo e le altre sostanze prodotte dagli incendi a Pancevo sulle zone agricole circostanti.
Gli impianti petrolchimici erano stati bombardati il 15 e il 18 aprile 1999.
Esistono quattro problemi ecologici fondamentali direttamente collegati ai bombardamenti della NATO sul sito petrolchimico HIP Petrohemija.
Il 18 aprile, un serbatoio di stoccaggio di cloruro di vinile era stato colpito da una bomba della NATO, e avevano preso fuoco le 440 tonnellate di materiale che vi erano contenute all’interno. In aggiunta, si erano infiammate anche venti tonnellate di questa sostanza, riconosciuta cancerogena, che erano conservate all’interno di contenitori per il trasporto ferroviario. Bisogna ugualmente sottolineare che erano presenti nel sito due serbatoi di stoccaggio del cloruro di vinile, uno vuoto e uno pieno; solo quello pieno veniva distrutto.
Per il danneggiamento indiretto a causa dei bombardamenti dei serbatoi di contenimento del 1,2-dicloroetano, 2.100 tonnellate di questo prodotto chimico venivano sversate: per metà sul terreno, il resto nel canale di scarico.
L’impianto cloro-soda veniva estremamente danneggiato e 8 tonnellate di mercurio metallico si erano diffuse nell’ambiente. La maggior parte di queste (7,8 tonnellate) si era riversata sulla superficie del sito e gli altri 200 kg si erano dispersi nelle acque del canale di scarico. La maggior parte del prodotto che si era sparso sul suolo veniva recuperato, ma questo non è stato possibile per il mercurio disperso nelle acque del canale.
L’impianto per il trattamento delle acque reflue utilizzato dalla raffineria e dal petrolchimico era stato seriamente danneggiato nel corso del conflitto. I danni erano stati provocati da un afflusso improvviso nell’impianto di una quantità di sostanze superiori alla capacità di depurazione dell’impianto stesso.
Nell’aprile 2001, dopo due anni dalla fine dei bombardamenti, l’impianto di depurazione funzionava solo per il 20% della sua capacità. Il recettore più importante per tutte queste sostanze inquinanti era stato il canale di scarico che si getta sul Danubio, il corso d’acqua più importante di questa regione.
Dei tre obiettivi della NATO situati nel complesso industriale di Pancevo, la raffineria è stata la più bombardata. Lo è stata a più riprese nell’aprile 1999 e ancora l’8 giugno 1999. Numerosi serbatoi di stoccaggio e condutture sono stati distrutti dai bombardamenti.
Circa 75.000 tonnellate di petrolio greggio e prodotti petroliferi sono andati bruciati, e da 5 a 7 tonnellate si sono riversate sul terreno e nella rete di depurazione. Gli sversamenti hanno contaminato 10 ettari di terreno all’interno del complesso della raffineria.
Come il petrolchimico, così anche la fabbrica di fertilizzanti HIP Azotara veniva bombardata a due riprese, il 15 e il 18 aprile 1999.
Il personale della fabbrica aveva fatto sapere agli ispettori del PNUE/GSB, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, che il silos di stoccaggio che conteneva 9.600 tonnellate di ammoniaca prima dei bombardamenti, creava loro grande preoccupazione. Se questo serbatoio fosse stato colpito da una bomba, avrebbe rilasciato così tanta ammoniaca bastante per procurare la morte a tantissime persone nell’area circostante. La fabbrica HIP Azotara non possedeva la capacità di trasferire l’ammoniaca in altri depositi. Per questa ragione la produzione di fertilizzanti veniva intensificata nel corso dei primi giorni di bombardamenti, che avevano avuto inizio il 4 aprile 1999, nella speranza di ridurre la quantità di ammoniaca nei depositi.
Al momento del primo attacco, la quantità di ammoniaca residua, rimasta stoccata, era approssimativamente di 250 tonnellate. L’ammoniaca depositata veniva intenzionalmente riversata nel canale per impedirne la dispersione nell’atmosfera, dopo una eventuale esplosione. Questo veniva fatto dopo che il serbatoio dell’ammoniaca era stato colpito dai rottami di un’altra esplosione.
Oltre a questa reiezione di ammoniaca, da 200 a 300 tonnellate di nitrato di ammonio, di fosfati e di cloruro di potassio si sono sprigionate o sono andate a fuoco in seguito alle devastazioni subite dai serbatoi di stoccaggio in seguito ai bombardamenti. Non è conosciuto il rapporto fra le sostanze sprigionate rispetto a quelle incendiate.
Per concludere, erano stati colpiti anche dei vagoni trasportanti 150 tonnellate di petrolio greggio e non veniva fatto alcun tentativo per spegnere gli incendi.
Esistono tabelle che forniscono esempi, sicuramente solo in modo approssimativo, del tipo di inquinamento risultante da queste emissioni e da questi sversamenti. Purtroppo, in questa fase è impossibile pervenire a delle conclusioni definitive sull’impatto che queste reiezioni avranno sulla salute della gente e sull’ambiente. Hanno avuto inizio dei programmi di monitoraggio e di valutazione sanitaria, ma questi programmi non sono che ad uno stadio iniziale e i dati raccolti fino a questo momento non sono stati resi pubblici.
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