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Caccia agli immigrati africani nella Libia “liberale”

Gli spariamo un colpo o no?, chiede ridendo un miliziano libico ai suoi, mentre punta un fucile contro un immigrato subsahariano terrorizzato e fermato, chissà da quanto nel campo di detenzione di Ganfuda, a Bengasi, la città ad est della Libia dove cominciò la rivolta che si concluse nel 2011, dopo 42 anni di governo di Muamar Gheddafi.
La scena raccontata da un giovane eritreo, è contenuta nel rapporto “Libia: mettere fine alla caccia agli immigrati”, messa a punto dalla missione inviata nel Paese lo scorso giugno dalla Federazione Internazionale delle Leghe dei Diritti Umani (FIDH), Migreurop e Giustizia Senza Frontiere per i Migranti, pubblicato questo giovedì a Bruxelles.
Nel documento si denunciano oltre alla “condizione disumana e degradante” riservata ai lavoratori immigrati e ai richiedenti asilo, anche la complicità dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri, che chiudono gli occhi dinnanzi alle barbarie che patiscono questi essere umani. Una situazione “ben conosciuta dalle Cancellerie europee”, mentre si affannano per cercare di concludere nuovi accordi con le nuove autorità libiche, simili a quelli siglati con Gheddafi, con un unico obiettivo: evitare ad ogni costo che queste persone entrino nella roccaforte europea.    
 
Il rapporto descrive una Libia immersa nel caos in cui i katiba, le milizie di ex ribelli, impongono la legge. Questi miliziani, il cui numero si aggira sui 200.000, danno la caccia e sistematicamente arrestano i subsahariani, senza distinguere tra immigrati per ragioni economiche, rifugiati e richiedenti asilo. A volte si tratta di lavoratori che vivono da anni in Libia, ma i cui permessi sono scaduti solo perché non c’è un’autorità che si occupi di rinnovarli.
 
“Gli arresti vengono effettuati sulla base dell’aspetto fisico e, in un contesto fortemente razzista, i migranti dell’Africa subsahariana sono il primo obiettivo. Come ha dichiarato alla missione uno dei leader della katiba “Libia libera”: “La cosa più importante oggi è ripulire il Paese dagli stranieri che non sono in regola. Non vogliamo qui questa gente che porta malattie e crimini”, ricordano gli autori del documento.
 
Una volta arrestati, i subsahariani, che provengono dal Mali, Nigeria, Chad, Sudan, Niger e dai Paesi in guerra del Corno d’Africa come la Somalia, si trovano a dover affrontare il carcere “illimitato” in campi di detenzione illegali. In questi centri si commettono “violazioni flagranti e generalizzate dei diritti umani fondamentali”.
 
La missione ha avuto accesso a 7 campi a Tripoli, Bengasi e nella regione di Djebel Nafoussa. In tutti hanno accertato che “migliaia di immigranti” da mesi sono detenuti “senza possibilità di ricorrere a nessuna istanza nazionale o internazionale per poter uscire”.
 
Ammucchiati in celle affollate, o meglio in baracconi e sottoposti alle temperature estreme del deserto, uomini, donne – alcune incinte – e bambini, anche molto piccoli, stanno tutto il giorno senza possibilità di uscire fuori all’aria aperta.
 
Divorati dai pidocchi e senza alcuna assistenza medica, sopravvivono malgrado le pessime condizioni di vita ed una alimentazione precaria che a volte si limita ad una ciotola di riso o di pasta.
 
Nel campo di Bou Rashada, ad 80 chilometri a sud di Tripoli, due malati mentali, con lo sguardo perso, “chissà se per la paura o per la guerra” che hanno vissuto la guerra, sono stati abbandonati alla loro sorte dentro le celle che non lasciano mai. Neanche per andare a mangiare, tant’è che gli si passa il cibo attraverso le sbarre.
 
Vicino alla schiavitù
La missione è stata testimone di come impiegati esterni, con la complicità delle guardia dei campi, reclutino detenuti per lavorare nei cantieri o nei campi. Questi metodi ricordano i lavori forzati. “Gli immigrati non sanno per quanto tempo dovranno lavorare né se verranno pagati”, aggiunge Geneviève Jacques, membro del Comitato Internazionale della FIDH.
 
In questi campi non solo si trovano immigrati detenuti in Libia, ma ci sono anche persone le cui imbarcazioni furono intercettate nel Mediterraneo e poi deportate dai Paesi europei. Questo fatto “fa supporre che le espulsioni verso il Paese magrebino continuino, in violazione alle norme internazionali dei Diritti Umani”. Il Diritto Internazionale vieta le espulsioni collettive di immigrati.
 
Dopo una guerra in cui i subsahariani hanno dovuto sopportare una caccia che spesso veniva giustificata con l’accusa, quasi sempre falsa, secondo cui si trattava di mercenari di Gheddafi, la situazione per loro nella nuova Libia non è certo migliore. Un nigeriano che risiede nel Paese da cinque anni riassume il panorama: “Era difficile prima della guerra e terribile durante, ma ora è molto peggio”.
 
Il rapporto conclude ricordando la “corresponsabilità” della Libia, dell’Unione Europea, dei suoi Stati membri e dei Paesi di origine degli immigrati. Nelle sue pagine, si sollecitano le autorità libiche a “porre immediatamente fine agli arresti arbitrari” e a chiudere questi centri di detenzione, in cui le condizioni di vita costituiscono un “attentato alla dignità umana”.

Fonte: http://maspublico.com/2012/10/12/un-informe-denuncia-que-los-exrebeldes-libios-practican-la-caza-de-inmigrantes/

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1 Commento


  • alexfaro

    Come volevasi dimostrare!
    Vi ricordate che una(delle tante)accuse,rivolte contro Gheddafi,da alcuni settori della cd”sinistra antagonista o radicale”(ed anche dal PD)era proprio quella di “torturare”e maltrattare i cd”migranti”di origine sub-sahariana nei campi di detenzione Libici?
    Dove sono costoro adesso?
    NON si sente un pur lieve mea culpa di quegli individui e di quei media(uno tra tutti il Manifesto!)i quali ancora credono che la Libia sia diventata una”democrazia”di tipo occidentale(ma x favore!)
    Su questi,ed altri fatti incontrovertibili,vige un assordante silenzio mediatico.
    ho solo una cosa da dire:Mi fanno schifo!
    un saluto
    Alexfaro

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