Immondizia a Roma, Obama a Milano. Due istantanee che ci segnalano uno scenario. Se un marziano osservasse dall’alto le due fotografie non avrebbe dubbi su quale dovrebbe essere la Capitale di un paese che ambisce a stare nel “direttorio” europeo. Ed è questa visione “dall’alto” dei simboli, della realtà e della sua rappresentazione che ci restituisce una sensazione inquietante.
Come è noto andiamo sostenendo che esiste una parte dei poteri forti che sta lavorando per spostare la Capitale del paese da Roma a Milano.
La conferma era arrivata da una sorta di dossier nella rivista dell’Acer (l’associazione dei costruttori romani), ovvero l’organizzazione storica dei palazzinari di Roma. Nell’ultimo numero della rivista, il titolo è esplicito: “La Capitale a Milano?”
E’ Edoardo Bianchi, presidente dell’Acer ad affermare che mentre Milano da circa 20 anni è al centro di un processo di trasformazione urbana rilevante che riguarda soprattutto le aree ex industriali e fieristiche (vedi il modello Expo) Roma, invece, è paralizzata in decine e decine di opere ferme. “Noi abbiamo un sogno – scrive il presidente dell’Acer Edoardo Bianchi – Quello di una città che esca dal suo stato catatonico, si doti di una sua vision del futuro e su questa lavori e si impegni concretamente”. A dargli manforte nella “provocazione” di spostare la Capitale a Milano arriva è anche Filippo Tortoriello, presidente di Unindustria (la Confindustria romana).
Provocazioni nel senso propositivo della parola dunque, cioè tese a mettere sul piatto un problema anche ragionando per paradossi. Ma messe sul piatto dal presidente dei costruttori e della Confindustria locale, non sono certo provocazioni pour parler. “Provocazioni” che si aggiungono a quelle degli ambienti finanziari milanesi, del sindaco Sala, del Corriere della Sera.
In tal senso non si può che rimanere colpiti dal fatto che Barak Obama, ex presidente degli Stati Uniti, scelga di venire in Italia e di recarsi solo a Milano e proprio lì di incontrarsi con Matteo Renzi, ex presidente del Consiglio e candidatosi a tornarvi.
Il linguaggio dei simboli ha una sua forza comunicativa e persuasiva. Sopratutto se Obama, Renzi e le èlite si incontrano a Milano e cenano tutti insieme alla modica spesa di 850 euro cadauno. In un giorno, dunque, Milano è diventata di fatto anche la Capitale “politica” del paese.
In contrasto con questa immagine di Milano metropoli globale, arrivano quelle assai meno luminose di Roma invasa dai rifiuti nelle strade. Immagini accompagnate da una campagna mediatica e politica che sembra aver decretato la fine della “tregua” concessa alla giunta Raggi dopo il cedimento sul progetto dello Stadio/cementificazione a Tor di Valle.
Sull’emergenza rifiuti a Roma si riscatena la canea di commenti, denunce, ipotesi, scontro politico. Da una parte il Corriere della Sera, i Tg del giornale unico, il Pd, il governo centrale e regionale, dall’altra la giunta comunale e il M5S, in mezzo gli abitanti.
Eppure girando per le strade di Roma, soprattutto nella periferia intra ed extra anulare, balza agli occhi come i cassonetti siano stati svuotati ma molti rifiuti giacciono ancora in terra. Un segno evidente o di cattiva organizzazione del servizio raccolta rifiuti (i camion passano e svuotano i cassonetti ma non passano i furgoni scoperti per raccogliervi i sacchetti lasciati su strade e marciapiedi) oppure di boicottaggio a vantaggio di telecamere e fotografie.
Alimentare – in tutti i sensi – l’emergenza rifiuti a Roma appare propedeutico anche a rilanciare la privatizzazione dell’Ama (l’azienda municipale addetta ai rifiuti), ipotesi questa caldeggiata dal Pd e dai “prenditori” privati ma momentaneamente congelata dalle contraddizioni interne nella giunta Raggi. “Una cordata di imprenditori privati calati dall’alto e superpagati con incarichi nella amministrazione capitolina e dentro l’azienda, sta mettendo in atto quanto imposto dalla politica nazionale e dal decreto Madia sulle partecipate: affidamento dei servizi ai privati; liste di mobilità del personale in esubero, blocco delle assunzioni, spacchettamento del servizio pubblico” denuncia in un volantino l’Usb dei lavoratori dell’Ama.
Decostruito questo scenario e fatte le dovute connessioni, da tempo sul giornale (vedi la nostra inchiesta a febbraio) vogliamo segnalare ai nostri lettori quella che per ora appare come una tendenza. Se l’Italia vuole o sarà costretta a stare nel direttorio europeo con Germania, Francia e Spagna, dovrà adeguarvi non solo l’economia e le relazioni sociali ma anche i suoi apparati istituzionali, renderli cioè adeguati alla governance multilivello su cui agisce l'Unione Europea.
Già il Sole 24 Ore due settimane fa sottolineava l’asimmetria sistemica della catena del valore in Italia. Il 20% delle imprese (concentrate in Lombardia, Emilia-Romagna, Trentino e poco più) produce l’80% del valore aggiunto e dell’export. Sono le regioni “renziane”, le uniche dove ha prevalso il Si nel referendum costituzionale e sono le regioni più integrate nella filiera della subfornitura legata al nucleo avanzato dell’Unione Europea intorno alla Germania e satelliti.
Questo modello produttivo del sistema Italia 4.0 ruota ormai intorno a Milano, la quale attrae investimenti, forza lavoro qualificata e giovanile, flussi economici, eventi politici e pratiche di governance apertamente bipartizan, insomma quella “Milano vicino l’Europa”, che presenta tutte le caratteristiche richieste per essere “città globale” e dunque Capitale, tanto da essere consacrata dalla visita di Obama.
Per ora sono sussurri, “provocazioni” come quelle dell’Acer o di Unindustria, “punture” buttate là dagli editorialisti del Corriere della Sera o di Milano Finanza. Ma a queste si accompagnano sistematicamente campagne mediatiche sul degrado di Roma, sulla sua immobilità di fronte al "dinamismo renziano, sulla incapacità di governo del M5S, sulla inadeguatezza di Roma come Capitale di una potenza del direttorio europeo. Un modo di dire piuttosto esplicitamente che "There Is Not Alternative". La guerra sulla Capitale è appena cominciata.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Manlio Padovan
Roma non è mai sata la nostra capitale e mai na ha avuto le qualità per esserlo, bensì una catena ai piedi del paese.
Roma è diventata la nostra capitale a causa del solito idiota e maledetto idealismo.
Con capitale MIlano la vodo molto brutta per il nostro meridione che, spero, avrà uno scatto d'orgoglio di quelli che non perdonano. Si ripeterebbe la politica che seguì alla cosiddetta unità: continui furti ai danni dei meridionali per favirre il nord.
Perché non pensare ad un'altra capitale. Per esempio, come da suggerimento recente di una mia amica, a Cagliari? Equidistante e lontana da Roma.