Nadia Urbinati in un suo articolo apparso oggi sulle colonne di “Repubblica” usa parole molto appropriate nel merito del concetto di cittadinanza.
Ci si augura, però, che il suo riferimento (considerato che , molto spesso, nel testo ricorre il termine “ius soli”) non sia alla legge attualmente oggetto di rissa presso il Senato della Repubblica.
Perché attenzione l’oggetto delle sceneggiate parlamentari è uno “ius sine soli”: il consueto pasticcio all’italiana.
Eventualmente approvata la legge entro la legislatura si dovranno aspettare, infatti, i soliti decreti attuativi (di gestazione molto complessa) per capire quali saranno le modalità di presentazione delle domande.
Un primo interrogativo: quanto tempo sarà necessario per elaborare i relativi modelli? Dovrà essere approntata un’apposita piattaforma web?
Altri quesiti: considerato che l’emanazione del decreto finale di cittadinanza spetterà alla Presidenza della Repubblica a quali livelli della P.A. toccheranno istruzione e accertamenti sulla pratica?
Soprattutto quali saranno i criteri nel caso di necessità di accertamento di reddito minimo (attraverso l’ISEE oppure basteranno buste paghe e/o cedolini di pensione), alloggio idoneo e soprattutto superamento del test di conoscenza della lingua italiana (questione che presenta due problemi: a quale livello gli interroganti per cominciare; e in secondo luogo quale sarebbero gli esiti se il test fosse applicato a tutti per il mantenimento della cittadinanza italiana?).
Entriamo nel merito del disegno di legge che appunto – correttamente – potrebbe essere titolato “Ius sine soli”.
Due i punti di partenza. Chi nasce in Italia da genitori stranieri, e continua a viverci legalmente, può già diventare cittadino italiano; ma soltanto quando ha compiuto 18 anni.
Così in base a una legge del 1992 (LEGGE 5 febbraio 1992, n. 91. Nuove norme sulla cittadinanza. pubblicato sulla G.U. n. 38 del 15-2-1992. note: Entrata in vigore della legge: 15/8/1992.) Ed è la prima premessa.
Secondo punto di partenza: la legge di cui si discute adesso in Italia non prevede lo ius soli “vero” come negli USA: chi nasce su territorio nazionale è cittadino Usa.
Il “caso italiano” è frutto delle solite mediazioni e del solito substrato burocratico.
I figli di migranti potranno diventare cittadini italiani ad alcune condizioni. Dipende, ad esempio, dal tempo trascorso sui banchi di scuola italiani o dagli anni di residenza dei genitori.
In Italia la via principale di accesso alla cittadinanza è lo ius sanguinis: è italiano il figlio di genitori (padre o madre) che sono cittadini italiani.
Accanto a questo la legge sulla cittadinanza introduce una via riconducibile allo ius culturae (la scuola è l’elemento chiave). E appunto una forma diversa di accesso alla cittadinanza che riguarda la nascita su suolo italiano.
Perché un bambino nato in Italia da genitori stranieri diventi cittadino italiano è necessario che il padre e/o la madre abbiano il permesso di soggiorno di lungo periodo: questo è riconosciuto a chi abbia soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni sul territorio nazionale. E questo è un primo criterio: i cinque anni di residenza in Italia del genitore.
Per i cittadini extra Unione europea, i requisiti vanno anche oltre i cinque anni di permesso di soggiorno e prevedono: un reddito minimo, alloggio idoneo, superamento di un test di conoscenza della lingua italiana.
C’è un’altra novità di rilievo e riguarda il minore straniero nato in Italia oppure entrato qui prima dei 12 anni: se ha frequentato uno o più cicli scolastici sul territorio nazionale, per almeno cinque anni, può ottenere la cittadinanza. Naturalmente il genitore deve avere un regolare permesso di soggiorno per avanzare la richiesta per il figlio.
Un altro caso riguarda la concessione del diritto di cittadinanza: può chiederla chi arriva in Italia prima dei 18 anni ed è residente in Italia da almeno sei anni, dopo aver frequentato regolarmente un ciclo scolastico e aver ottenuto il titolo finale. La concessione della cittadinanza, di cui qui si parla, avviene con decreto del presidente della Repubblica.
P.S. IL DISEGNO DI LEGGE POI DIVENTATO LEGGE N.91 DEL 5 FEBBRAIO 1992 ERA STATO PRESENTATO DAL GOVERNO DE MITA, CON PRIMI FIRMATARI IL MINISTRO DEGLI ESTERI GIULIO ANDREOTTI, IL MINISTRO DELL’INTERNO ANTONIO GAVA, IL MINISTRO GUARDASIGILLI GIULIANO VASSALLI (un governo espressione della più deprecata “Prima Repubblica”, tanto per usare un termine giornalistico clamorosamente sbagliato eppure sulla bocca di tutti).
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