In molte occasioni l’uso di affermazioni riguardanti lo spostamento nel sistema di valori e di posizione politiche all’interno di partiti e movimenti non appare suffragato da concreti elementi di analisi e di riferimenti valoriali.
Questo fatto è sicuramente accaduto anche nelle frequenti denunce di “spostamento a destra” del PD, in coincidenza con l’assunzione della segreteria da parte di Matteo Renzi da parte di una molteplicità di osservatori e commentatori politici appartenenti all’area della sinistra: affermazioni infittitesi in particolare durante la campagna elettorale referendaria dello scorso 4 Dicembre e giustificate, prima ancora di un’analisi riferita alla composizione interna del partito, da una valutazione riguardante il merito di quelle che sono state definite “deforme costituzionali” che si accompagnava, è bene ricordarlo, a un progetto di legge elettorale di stampo maggioritario smantellato poi, in buona parte, da una sentenza della Corte Costituzionale.
Disponiamo oggi, invece, come probante pezza d’appoggio di una ricerca eseguita sul campo da due ricercatori, Luciano M. Fasano dell’Università di Milano e Nicola Martocchia Diodati della Normale, e pubblicata nel n.1 dei “Quaderni di scienza politica” Aprile 2017 (Erga edizioni) che affronta il tema: “Dal PD nascente di Veltroni al PD secondo Matteo Renzi, trasformazione di un partito politico (2007 – 2015).
Si tratta di un’indagine condotta tra i partecipanti alle primarie e ai membri dell’Assemblea Nazionale del PD compiute quando ancora la “scissione” di Articolo 1- MDP non era stata compiuta e quindi, per semplificare, i sostenitori di Bersani e D’Alema erano ancora interni al Partito Democratico (un particolare questo non secondario: i dati espressi nella ricerca risulterebbero sicuramente alterati in una direzione univoca nel caso di ripetizione nell’attualità).
Il primo dato da analizzare riguarda il cambiamento avvenuto nella dichiarazione dei partiti di provenienza da parte dei delegati all’Assemblea Nazionale tra il 2007, 2009, 2013 (fase di consolidamento di un nuovo gruppo dirigente del quale oggi assistiamo alla presa in carico di esponenti legati – appunto – al loro ingresso nell’organismo nazionale proprio in questo periodo).
Sotto quest’aspetto i dati indicano come nel 2007 i membri dell’Assemblea Nazionale provenienti dalla Margherita rappresentassero il 26,2% del totale, quelli provenienti dai DS il 43,4% e quelli senza provenienza partitica (o da altre formazioni rispetto a quelle di origine “storica”, PSI, Radicali, centrodestra, SeL) il 30,4%.
Nel periodo tra il 2007 e il 2009 (primarie che registrarono l’elezione di Bersani a segretario sopravanzando Franceschini e Marino) i provenienti dalla Margherita salirono al 33,4% e quelli provenienti dai DS al 44,8% (evidentemente le correnti di origine avevano lavorato sodo) mentre quelli privi di provenienza storica scendevano nettamente al 21,8%.
Netta inversione di tendenza nel 2013 (elezione di Renzi su Cuperlo e Civati): i delegati provenienti dalla Margherita scendono al 21,4% (- 12% tra il 2007 e il 2013), quelli provenienti dai DS al 34,7% (- 10,1% tra il 2007 e il 2013) mentre salgono in percentuale i “senza provenienza” (con prevalenza al loro interno dei “nativi democratici” fino al 43,9% (un incremento nei sei anni di intervallo del 22,1%).
Gli estensori della ricerca definiscono questo fenomeno, coincidente con la crisi del post – elezioni 2013 con relativo mancato “smacchia mento del giaguaro”, come un vero e proprio “assalto alla diligenza” di stile duvergeriano (che prese spunto dal famoso telegramma di Giolitti a De Bellis): e non si può non concordare con questa affermazione.
Fin qui però siamo nel campo dello spostamento di truppe e del quadro ufficiali con relativi fenomeni opportunistico – trasformistici.
Molto più interessante al fine del giudizio complessivo che è necessario formulare sulla collocazione effettiva del PD (nel frattempo diventato PDR secondo la definizione di Ilvo Diamanti) è l’analisi delle priorità valoriali espresse dai delegati appartenenti alle diverse correnti.
A questo punto, infatti, si registra una netta cesura tra l’espressione di valori collettivi e di valori di tipo individualistico.
Nelle due tornate di elezione del segretario e dei membri dell’Assemblea Nazionale prese in esame mentre il valore “eguaglianza” supera il 60% tra i delegati delle correnti Bersani, Civati, Cuperlo (rispettivamente 64,41%, 71,74%, 64,29%) il valore “merito” (di assoluto stampo individualistico) raggiunge il 45,81% tra i sostenitori di Renzi e il 36,36% in quelli di Franceschini. Quindi con un innalzamento secco nel passaggio di consegne tra i due candidati provenienti dalla Margherita (Renzi a questo punto era anche già reduce dal famoso “colloquio di Arcore” nella sua veste di sindaco di Firenze).
Uno spostamento secco che ha il suo effetto anche sul complesso dell’espressione di collocazione valoriale delle mozioni nel periodo 2009 – 2013: nella mozione Renzi i valori individuali salgono a 8/1 mentre quelli collettivi in quelle di Cuperlo e Civati si collocano attorno ai 9/10.
I ricercatori concludono quindi con un’affermazione complessiva che ricalca, per sommi capi, quella espressa da molti commentatori in occasione della campagna referendaria 2016:”l’ispirazione complessiva degli eletti nella lista Renzi mostra una più marcata tendenza liberale collocandosi in una visione estrema sia sui valori individuali, in positivo, sia sui valori collettivi in negativo (da parte di chi ha redatto queste note d’interpretazione della ricerca c’è da aggiungere anche una certa confusione, nell’area di sostegno di Matteo Renzi, tra il concetto di “merito” e l’espressione di “arroganza”).
Per il PD, sempre a giudizio degli estensori della ricerca, si è aperta – almeno dal 2014 – una nuova stagione: una fase politica assolutamente singolare e del tutto inedita che potrebbe, già nel medio termine. Contribuire significativamente al definitivo distacco del PD dagli orientamenti valoriali, culturali e politici delle due tradizioni da cui ha avuto origine, quella social – democratica e quella cattolico – democratica.
Mentre diminuiscono le ragioni dello stare insieme delle diverse componenti che non siano quelle del puro e semplice potere da spartire appare evidente, a questo punto, come si allarghino gli spazi di riferimento al di fuori del PD(R) proprio per via di questo evidente spostamento di carattere politico – culturale.
Non mancano però le contraddizioni da parte di chi – appartenente alle tradizioni storiche d’origine – si colloca ormai fuori o “a lato” del partito.
In politica, non dimentichiamolo, non esistono vie “piane come la prospettiva Nijevski”.
Probabilmente l’occupazione dello spazio lasciato libero (fenomeno fisiologico nella dinamica politica) potrà essere produttivamente occupato da soggetti capaci di rinnovare le proprie opzioni strategiche esprimendo coerenti sistemi di tipo valoriale.
La riflessione da aprire è sull’intreccio tra l’espressione di valori collettivi e le nuove contraddizioni che si esprimono nel tumulto della modernità: un’operazione non facile, anzi assai ardua soprattutto nella capacità di espressione di un pensiero alternativo e di profonda trasformazione sistemica.
La ricerca però presenta due limiti importanti: non richiede, una volta espressa la “tavola dei valori” alcuna indicazione sul sistema di alleanze e non propone una visione delle relazioni internazionali del partito.
Evidentemente il clima politico nel quale è stata svolta risentiva dell’idea dell’autosufficienza di stampo renziano (fattore ben diverso dalla conclamata “vocazione maggioritaria) del resto ben espressosi nel fallito tentativo dell’Italikum e del provincialismo che attanaglia il quadro politico europeo in particolare alla sinistra ,nonostante l’altrettanto proclamato europeismo.
Europeismo che, naturalmente svanisce, come sta accadendo in questi giorni attorno alla drammatica vicenda dei migranti, al riguardo della quale la sinistra europea nelle sue varie articolazioni si sta squagliando come accadde al tempo dei “crediti di guerra” oltre un secolo fa.
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Un ulteriore importante limite di tale ricerca (a giudicare dall’articolo) sembra essere quello dell’assenza di riferimenti di classe che si riflettono nella composizione del PD, nel prevalere di questa o quella frazione interna e la spingono in precise diverse direzioni. Quali interessi di classe si manifestano nelle varie “correnti” e vengono ridotti a unità nella linea generale ormai volta al “socialfascismo”?