Il corteo antifascista di sabato 3 febbraio a Genova ha visto la partecipazione di ben più di 5.000 persone che si sono concentrate ben prima delle tre del pomeriggio nella centrale Piazza De Ferrari e hanno “sfilato” per la Superba, ritornando lì dov’era iniziato il corteo poco prima delle 8 di sera, quando il cordone che chiudeva il corteo è entrato in piazza cantando Bandiera Rossa.
De Ferrari è la piazza in cui il 30 giugno del ’60, a causa della calura estiva, le forze dell’ordine stanziate in città per il previsto e mai celebrato congresso del Movimento Sociale Italiano, furono “invitate” dai Camalli a fare un tuffo nella fontana posta al centro: Genova è stato l’innesco dei moti del Luglio ’60 che hanno fatto cadere il governo Tambroni (un monocolore DC con l’appoggio dei neo-fascisti di Almirante).
Poco distante, all’altezza del Ponte Monumentale, è riprodotto il testo della resa che il generale tedesco Meinhold firmò a Remo Scappini, operaio comunista empolese durante la seconda guerra mondiale: Genova fu l’unica città dove la Croce Uncinata si arrese al Comitato di Liberazione Nazionale locale.
Da quel ponte è stato srotolato al passaggio del corteo nel tratto terminale della manifestazione un gigantesco striscione: Genova Antifascista, mentre un partigiano intonava dal microfono dell’amplificazione alcuni canti di battaglia della Resistenza e l’acre odore dei fumogeni impregnava l’aria.
L’apertura delle tre sedi neo-fasciste (Forza Nuova, Casa Pound e Lealtà e Azione) è uno sfregio alla memoria viva della città, in particolare quella che i “fascisti del Terzo Millennio” – coccolati da una parte dell’establishment politico-culturale della sedicente “sinistra” – hanno inaugurato a pochissima distanza da Piazza Alimonda, dove nel Luglio del 2001, durante le mobilitazioni contro il G8, venne ucciso Carlo Giuliani e in cui a poca distanza, alcune settimane fa, una squadraccia proveniente da quella sede ha accoltellato un compagno dell’Assemblea Antifascista, aggredendo un piccolo gruppo di attivisti che stava attacchinando.
Si tratta della seconda aggressione fascista “impunita”, dopo quella consumata ai danni di un’altra compagna nel corso dei mesi estivi.
La presenza minacciosa dei fascisti in città è stata utilizzata per cercare di restringere i margini di azione politica della “sinistra di classe”, con una notevole responsabilità dei media locali che hanno di fatto avvallato una sorta di riedizione della strategia della tensione in sedicesimo, rispolverando “la teoria degli opposti estremismi”. I media locali (Il Secolo XIX in particolare) hanno fatto dell’ingiustificato terrorismo psicologico nei giorni precedenti alla manifestazione, ipotizzando la possibilità di uno scenario “apocalittico” per il corteo solo per disincentivarne la partecipazione popolare.
D’altra parte i corpi intermedi della sinistra istituzionale, in particolare la dirigenza dell’ANPI e della CGIL, hanno disertato l’appuntamento sfilandosi un poco prima dell’inizio della caccia alle streghe mediatica dalla manifestazione.
Il PD, a livello comunale – in una sorta di prova tecnica di futura ampia coalizione – faceva approvare insieme alla maggioranza di centro-destra (con l’astensione dei Fratelli d’Italia) una ambigua mozione “cerchiobottista” in cui è emersa una condanna bipartisan del neo-fascismo così come, di fatto, dell’antagonismo sociale.
Con questo operato ha contribuito di fatto a relativizzare il pericolo fascista in città proponendosi come antidoto politico contro “tutti gli estremismi”.
In realtà, vanificato il tentativo di utilizzare il corteo come una sfilata pre-elettorale dai contenuti alquanto annacquati, è partito il fuoco incrociato contro gli organizzatori: il livello di partecipazione alla manifestazione e le capacità organizzative dell’Assemblea Antifascista, in tutte le sue varie componenti hanno, di fatto delegittimato ulteriormente il carrozzone del centro-sinistra cittadino.
È stato un corteo realmente popolare, dove anche la presenza di militanti e di attivisti da tutta Italia è stata diluita all’interno della compatta e determinata marea umana che ha attraversato la Superba.
Si può ipotizzare che il significato della partecipazione popolare vada ben al di là del parametri antifascisti “classici”, ma esprima una volontà di protagonismo su quei contenuti urlati a gran voce dai manifestanti e dagli interventi che si sono alternati al microfono.
Un ottimo segnale che insieme alle responsabilità organizzative di cui ognuno si è fatto carico per la buona realizzazione del corteo, e che hanno coinvolto non solo i militanti strictu sensu ma una gamma più ampia e ricca di attivisti pronti a “misurarsi sul pezzo”, ha dimostrato che si può fare meglio anche e soprattutto senza l’appoggio diretto o indiretto del centro-sinistra nelle sue molteplici morenti espressioni, anche se si ha in tasca la tessere dell’ANPI o della CGIL.
Una altro dato emerge, forte e chiaro, è la distanza sempre più abissale tra un ceto politico ed un establishment culturale di una “sinistra” ridotta mera espressione delle élites urbane residenziali e il popolo delle periferie, molto poco avvezzo al bon ton politico e al fair play nei confronti di chi identica anche solo istintivamente come proprio nemico o organico ad esso.
In questo arco è compresa anche una buona parte dell’apparato mediatico, parte integrante della macchina del fango che non ha smesso di funzionare anche dopo la manifestazione, o chi vuole speculare a fini elettorali sull’antifascismo dopo anni (diciamo decenni) di silenzio complice nei confronti dell’emergere del neo-fascismo, attuando allo stesso tempo un contemporaneo sdoganamento delle politiche fasciste sul corpo vivo della classe in un mix letale con le politiche di austerity.
Bisogna essere grati all’Assemblea Antifascista, perché forse Genova ha davvero cambiato pagina: la politica della strada ha spodestato quella di palazzo.
È questo blocco sociale che può battere i chiodi sulla tomba del neo-fascismo così come della “sinistra inutile”; è questa rinnovata unità di intenti con un orientamento tra l’indifferente, il diffidente e l’ostile con “tutta la vecchia merda” (K.Marx) della politica cittadina che può prendere forma non tanto una opposizione credibile, quanto un’incredibile opposizione.
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Eros Barone
Ancora una volta quella bestia, che fu ricacciata allora nella sua tana, ha rialzato la testa. Domandiamoci pertanto il perché di questa longevità e recrudescenza del neofascismo e del neonazismo ad oltre settant’anni dalla Liberazione.
Espongo sinteticamente la mia risposta, attingendo alla teoria marxista, all’esperienza del proletariato internazionale e alla cronaca di questi ultimi anni. Ebbene, occorre dire che la catena di episodi di violenza squadrista a cui stiamo assistendo è, sì, il frutto marcio di alcuni decenni di revisionismo anti-antifascista e delle retoriche sulla “memoria condivisa”, ma è soprattutto il prodotto delle fasi più avanzate (non di quelle più arretrate) del processo ciclico di sviluppo e di crisi del capitalismo, perché, oggi come non mai, è vero quanto osservava Bertolt Brecht, e cioè che “quel grembo è ancora fecondo” e tale resterà fin quando sussisteranno il modo di produzione capitalistico e l’imperialismo, che gènerano e alimentano incessantemente il fascismo.
Così, a proposito della catena di episodi che hanno avuto quali protagoniste organizzazioni come Casa Pound, Forza Nuova e Blocco Studentesco bisogna prendere atto che siamo in presenza di una vera e propria accelerazione della crescita quantitativa e della mobilitazione qualitativa dei gruppi di estrema destra: crescita e mobilitazione il cui punto di svolta va, a nostro avviso, individuato in ciò che è successo il 29 aprile 2017, quando un migliaio di persone si sono recate a Milano al Cimitero Maggiore a commemorare i morti repubblichini, autofotografandosi mentre facevano il saluto romano. Quella fu una prova di forza e una sfida. Che vinsero, perché il Tribunale di Milano derubricò il fatto a commemorazione funebre.
Occorre inoltre sottolineare che la sovraesposizione mediatica di questi gruppi, in particolare di Casa Pound, non è la causa ma l’effetto della loro crescita, così come i successi, per ora limitati ma significativi, che ottengono quando si presentano, generalmente nelle file del centrodestra e ora anche in modo autonomo, alle elezioni politiche. Né va dimenticato il fatto che la Lega e Fratelli d’Italia non solo forniscono la copertura a queste organizzazioni, ma esprimono posizioni che sui temi del lavoro, della sicurezza e dell’immigrazione coincidono con quelle sostenute dai fascisti.
Non illudiamoci che l’azione di contrasto alla recrudescenza e all’ascesa del fascismo possa essere delegata a strumenti a doppio taglio come la legge Fiano, poiché nulla può sostituire l’organizzazione, la mobilitazione e l’azione diretta delle forze dell’antifascismo proletario sul territorio, nei quartieri e nei luoghi di lavoro, dovunque il fascismo cerchi di far passare il suo messaggio di asservimento alle classi dominanti con le armi della demagogia, del razzismo e dello sciovinismo. Ecco perché dobbiamo spiegare e dimostrare alle masse che i fascisti sono falsi amici del popolo e che il cosiddetto “sole nero degli oppressi” è soltanto qualcosa che acceca e che inganna.
In questo senso, la manifestazione del 3 settembre scorso a Genova è stata importante per la sua natura spontanea e di massa, ma assai carente sul piano della combattività, della capacità di coinvolgimento della popolazione e dei contenuti politici. Più simile ad un graffio sulla lamiera che all’anello di una catena, l’assenza di direzione politica l’ha confinata nell’àmbito dell’autorappresentazione e della simulazione ‘spettacolare’ del conflitto. Non per nulla lo slogan più ripetuto era il tautologico “Siamo tutti antifascisti”. Una manifestazione, quindi, molto al di sotto di quanto sarebbe richiesto dalla presente fase politico-sociale.