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Ventimiglia, la frontiera dei diritti sospesi

Ventimiglia: dove la frontiera diventa il buco nero dei diritti e l’umanità è sospesa sul filo spinato.

Tutto comincia nel 2015. In Estate la Francia inizia ad applicare gli accordi di Chambery, che prevedono la possibilità di respingere i migranti da un Paese all’altro.

Il 13 novembre attentato terroristico al Bataclan: Parigi proclama lo Stato di eccezione e sospende l’accordo sulla circolazione di Schengen che vieta controlli sistematici alle frontiere. Lo Stato di eccezione verrà poi prorogato di tre mesi in tre mesi e benchè abbia un termine massimo di durata di due anni e sia scaduto nel novembre del 2017 continua a essere in vigore.

Da quel momento inizia il ping pong con la Francia e i migranti vengono sistematicamente rispediti indietro in Italia. Il Trattato di Dublino non lascia scampo a chi vuole solo attraversare i confini e non fermarsi in Francia o in Italia: l’identificazione segna la fine del sogno altrove.

Un bel giorno, durante l’ennesimo tentativo, alcuni migranti decidono di scampare al rastrellamento della polizia e di rifugiarsi sugli scogli nel punto di costa noto come balzi rossi.

Inizia l’era della lotta no border. Assemblee in 7 lingue, presidio di solidarietà fisso, cortei, cene solidali, protagonismo dei migranti ma anche tanta tantissima repressione. Repressione che arriva a criminalizzare una cosa essenziale come il cibo: il sindaco di Ventimiglia emana una delle prime ordinanze su suolo italico che vieta la distribuzione di cibo. Il “buon” vecchio decoro poi reso dottrina dall’ex Ministro dell’Interno Marco Minniti.

Iniziano anche a fioccare i fogli di via per i solidali, senza alcuna pietà: persino a chi lavora a Ventimiglia viene vietato di entrarvi. Il turismo non si può permettere la rovina della vista: gli oleandri stonano con i corpi neri che dormono per strada su materassi e coperte di fortuna. Poco importa che nessuno di loro voglia stare in Italia e voglia solo attraversare il confine.

Si muore anche nell’attraversare la frontiera, folgorati al passaggio di un treno, colpiti dalle macchine dentro i tunnel o precipitati nel sentiero della morte. Lo stesso che attraversarono gli ebrei durante il nazismo e i partigiani durante la Resistenza.

Ma si sa dove c’è malattia c’è anticorpo. La malattia degli sgomberi degli accampamenti di fortuna, dei muri col filo spinato, dei rastrellamenti indiscriminati e delle deportazioni per l’identificazione all’hotspot di Taranto o Crotone realizzate coi pullman della Riviera Traporti, azienda pubblica nel Ponente Ligure, per una somma di €. 5.000 a tratta.

L’anticorpo dell’info point Eufemia del progetto XX K, che ogni giorno offre spazio di ascolto, beni di prima necessità, ricarica dei telefoni, crea reti solidali, fa denuncia politica dei dispositivi repressivi ed effettua monitoraggi per verificare che non vi siano abusi delle forze di polizia alle stazioni, sui treni, per strada. Forze di polizia onnipresenti in una città che è diventata un vero e proprio fortino.

La malattia che colpisce in maniera mirata le donne, preziosa merce per passeurs e trafficanti, da immettere con la violenza o col ricatto della promessa del transito della frontiera nel mercato della prostituzione; e i bambini, cui viene persino alzata l’età anagrafica sui documenti per non far applicare tutta la normativa internazionale a difesa dei minori.

L’anticorpo del Sister group, le femministe di Non una di meno che ogni martedì offrono dentro l’info point Eufemia uno spazio di ascolto dedicato alle migranti in transito coi loro figli: un momento dedicato dove poter ricevere scarpe vestiti, assorbenti, pannolini, passeggini; uno spazio protetto dove le donne provate dal viaggio possono ricevere attenzione dedicata esclusivamente a loro in quanto donne e raccontare la propria vita o semplicemente farsi una doccia o una manicure.

La malattia della disumanità e dell’indifferenza verso quei corpi in transito e col cuore altrove e l’anticorpo di Delia che non chiede documenti: nel suo bar Hobbit regala sorrisi, raccoglie giocattoli e dona cibo a donne e bambini e adesso è isolata dalla popolazione di Ventimiglia, viene insultata con epiteti razzisti e sessisti e rischia il fallimento commerciale.

Ventimiglia è un concentrato accelerato dei nostri tempi: la brutalità della frontiera come dispositivo repressivo che tutto consente, la perenne condizione di ricattabilità di chi migra, la disumanità di chi non vuole vedere la fame e il dolore ma allo stesso tempo l’enorme cuore e senso di giustizia di chi non si arrende a tutto questo. E ogni giorno sfida repressione, mafie, perbenismo. Perché restare umani è un sentimento più forte di qualsiasi cosa e di qualsiasi paura. È l’essenza stessa della vita. Ventimiglia chiama, chi può vada.

http://www.lapresse.it/video/la-polizia-francese-blocca-cosi-tre-migranti-partiti-dall-italia.html

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