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Sui fondi per le periferie è rottura tra Sindaci e Governo

Con l’approvazione del decreto Milleproroghe, sono stati congelati 1,6 miliardi e sospese 96 convenzioni siglate, per altrettanti progetti, con le città italiane in vista della riqualificazione delle periferie.

Il provvedimento è stato approvato mercoledi al Senato con 151 voti a favore e 93 contrari, dopo che il 13 settembre il testo aveva ricevuto il via libera della Camera con 329 voti favorevoli, 220 contrari e 4 astenuti.

Un atto che ha portato alla rottura tra i sindaci e il governo sui fondi per le periferie. La delegazione dell’Anci, guidata dal presidente e sindaco di Bari, Antonio Decaro, ha abbandonato la Conferenza Unificata dove ieri pomeriggio non è stata discussa l’intesa per lo sblocco di 800 milioni di euro destinati alle periferie delle città. “I sindaci non si fanno prendere in giro – ha spiegato Decaro – non sapevo che nel contratto di governo avessero deciso di strappare tutti i contratti tra istituzioni. Ci vediamo così costretti, come Anci, a interrompere le relazioni istituzionali e ad abbandonare la Conferenza”.

Oggetto della contesa era il come sanare la presunta incostituzionalità di ottocento milioni di euro previsti nell’articolo 1 comma 140 della precedente finanziaria.

La replica del M5s, parla di “semplice rimodulazione dovuta al ritardo nella elaborazione di progetti completi e non certo un taglio, come farnetica il Pd, bensì uno sblocco degli investimenti a disposizione di oltre 7.000 Comuni”. Non solo, dicono negli ambienti governativi pentastellati , “abbiamo liberato un miliardo per gli investimenti dei Comuni, invertendo la rotta”. Visioni dunque completamente diverse. Ma il problema resta tutto in piedi e nella sua interezza.

I fondi per le periferie erano stati stanziati dal governo Gentiloni e dovevano diventare operativi entro l’anno. A dicembre dello scorso anno aveva concluso i lavori la commissione parlamentare sulle periferie, fotografando una realtà sociale che vede quasi 10 milioni di abitanti nelle città maggiori, vivere in aree totalmente periferiche o intermedie con “servizi sottodimensionati ai bisogni effettivi di aree con un’alta densità abitativa”. In realtà il numero di abitanti che vivono in condizioni “da periferia” è assai superiore a quello censito dalla Commissione. Non solo.

Nella visione d’insieme sulla questione periferie, è emersa con forza una torsione securitaria. Ad esempio sulla questione abitativa, l’attenzione della Commissione si è rivolta in modo maniacale al tema delle occupazioni abusive e del ripristino della legalità. I tanti vuoti che si sono creati sul territorio, vuoi per le dismissioni delle fabbriche vuoi per l’abbandono di enti e strutture pubbliche, non sono visti come occasioni per rilanciare la socialità e l’iniziativa collettiva. La chiusura di molti esercizi commerciali di quartiere a causa dell’espansione dei centri commerciali ha fatto proliferare il fenomeno delle serrande chiuse, aumentando l’isolamento e la desolazione. Di fronte a questi fenomeni la Commissione si è solo preoccupata di sollecitare una maggiore attenzione affinché quei locali rimasti vuoti non venissero occupati.

Quello che colpiva dei lavori della Commissione è la precisa volontà politica di sottovalutare i dati essenziali che fanno di intere zone del paese aree periferiche e cioè la carenza di lavoro stabile e di redditi adeguati, il numero di alloggi popolari fortemente al di sotto delle necessità, la limitatezza o assenza dei servizi, la debolezza delle infrastrutture viarie e del trasporto.

I fondi stanziati, in questo senso, avrebbero potuto essere molto utili, ma è il cambiamento di approccio e mentalità all’emergenza periferie che avrebbe fatto la differenza.

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