Uno Stato e i beni collettivi svenduti a centinaia di prenditori privati. Questo è il risultato di 25 anni di privatizzazioni sia a livello statale che locale. Ha suscitato scalpore scoprire dopo il crollo di un ponte a Genova la vergogna delle autostrade, eppure le concessioni dello Stato ai privati per le autostrade sono “solo” 27. Ma su altri servizi strategici i dati sono ancora più pesanti: le concessioni a società private per il gas sono state 5142, per l’energia 107, per le telecomunicazioni, per le tv 670, per la distribuzione dell’acqua 502 e 130 per le dighe, e poi 317 per i rifiuti e l’igiene urbana, 529 per i giochi, 130 per i porti e 36 per gli aeroporti. E poi la gestione privata delle biglietterie di musei o monumenti internazionali come il Colosseo (con i proventi incassati all’80% da una società privata).
Da questa rapina ai danni del pubblico mancano ancora i dati sugli ospedali pubblici venduti ai privati (come avvenuto recentemente in Liguria o nel Lazio) e sulla svendita e la privatizzazione delle industrie. Un processo cominciato da Prodi con l’Alfa Romeo e poi dilagato tra il 1993 e il 2008 e che ha visto uno stuolo di “prenditori” privati trasformarsi in veri e propri oligarchi, non rischiare una un euro e vivere di rendita sulle utilities.
Per cominciare a far saltare questo che sembra uno scenario inamovibile, intorno all’appello “Nazionalizzare, qui ed ora!”, sindacalisti, giuristi, esponenti politici e attivisti sociali hanno dato appuntamento a Roma il prossimo 20 ottobre per una manifestazione nazionale.
“Il vergognoso abbandono che avvolge i paesi del terremoto, lo stallo nelle grandi vertenze ILVA e Alitalia, il degrado della rete autostradale, la devastazione dei servizi pubblici e dei territori, impongono ormai scelte immediate e decisive” è scritto nell’appello. Ma in esse viene anche indicata, finalmente non il solito NO, ma la soluzione possibile: “La strada delle nazionalizzazioni, che porti con sé anche una nuova e diversa concezione del modello di sviluppo, che preveda partecipazione delle comunità e controllo popolare, salvaguardia del territorio, del bene comune, del lavoro NON ammette più ritardi, né tentennamenti da parte di questo governo”. Da qui l’appello a procedere alle nazionalizzazioni qui ed ora, come atto concreto e controtendenza rispetto ai diktat imposti negli anni da quel “ce lo chiede l’Europa” che è stata la maledizione di questo e di altri paesi periferici europei.
La manifestazione del 20 ottobre punta a rimettere al centro dell’agenda politica il ruolo del soggetto pubblico – a livello nazionale e a livello locale – nella pianificazione e nella piena gestione dei servizi strategici e dei servizi sociali, mettendo fine a quella privatizzazione vergognosa che ha smantellato le reti dei servizi nei trasporti, telecomunicazioni, energia, acqua, le industrie utili, il welfare statale e locale, le università ma anche le banche. La privatizzazione ha significato consegnare mani e piedi l’acqua, i territori, il patrimonio abitativo e l’ambiente agli speculatori privati che ne hanno fatto una sistematica devastazione e profitto, potendo contare su istituzioni apertamente complici o rese impotenti. Ha significato praticare in modo abnorme l’esternalizzazione dei servizi e di chi ci lavora diffondendo precarietà e basse retribuzioni a man bassa.
In questi ventincinque anni c’è stata una svendita sistematica e colossale del paese (l’Italia ha privatizzato più della Gran Bretagna thatcheriana e più di qualsiasi altro paese europeo). Operata sia dai governi di centro-sinistra che di centro-destra, che hanno assicurato concessioni ai privati con clausole capestro che prevedono “l’obbligo e la remunerazione del capitale investito” sulla pelle degli utenti e degli abitanti.
Il dramma del Ponte di Genova per molti versi ha strappato il velo su questa vergogna, indicando sia una contraddizione esplosa tra i piedi delle diverse forze che compongono il governo, sia la possibilità di rimettere in campo una proposta per tutto il paese di rovesciamento dei parametri sui quali fino ad oggi sono state obbligate tutte le soluzioni.
Sull’appello per le nazionalizzazioni si segnalano le firme di Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, di sindacalisti come Pierpaolo Leonardi o Guido Lutrario, di esponenti politici come Giorgio Cremaschi e Viola Carofalo di Potere al Popolo, dell’europarlamentare del Prc Eleonora Forenza, del deputato di Sinistra Italiana Stefano Fassina di economisti e accademici come Luciano Vasapollo, Ernesto Screpanti, Carlo Cellamare e ma anche dei rappresentanti sindacali di realtà significative come Ilva (Francesco Rizzo) e Alitalia (Francesco Staccioli) che hanno sostenuto, e continuano a sostenere, quella della nazionalizzazione come la soluzione più credibile sia per i lavoratori che per le ripercussioni sull’ambiente e la popolazione a Taranto o sul servizio di trasporto aereo.
Sull’appello per la manifestazione del 20 ottobre, oltre le adesioni personali, ora si stanno raccogliendo anche le adesioni politiche delle organizzazioni e delle realtà collettive. Per ora quelle assicurate sono Potere al Popolo, Unione Sindacale di Base, Clash City Workers, Piattaforma Eurostop, Noi Restiamo, Senso Comune, Partito Comunista Italiano, Rete dei Comunisti, Risorgimento Socialista, Democrazia Atea e numerose associazioni e realtà territoriali.
Le adesioni vanno inviate a nazionalizzareora@gmail.com
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa