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La vittima innocente fa paura alla polizia. Multe per i tifosi che ricordano Aldrovandi

A qualche “difensore dell’ordine” l’arrivo del “felpa” – Matteo Salvini – al Viminale ha fatto pensare di poter finalmente fare quel che cazzo gli pare. Passando così da “difensori della legge” a “impositori della propria volontà”. Al di sopra e al di là di qualsiasi legge esistente in questo disgraziato paese.

Vi stiamo proponendo da qualche giorno l’inquietante serie di piccole provocazioni condotte – per ora solo in Calabria – contro gli spettatori del film su Stefano Cucchi, del regista Alessio Cremonini. Ma Cucchi non è l’unica vittima delle “forze dell’ordine” che queste ultime considerano “provocazione” veder apparire in effige. Ovunque ciò avvenga.

Siamo i soliti comunisti esagerati? Non ci sembra proprio.

Prendiamo il caso dei tifosi della Roma multati per aver esposto, allo stadio Olimpico, uno striscione con il volto di Federico Androvandi, ragazzo ferrarese ucciso di botte e senza alcun motivo da quattro poliziotti nell’ormai lontano 2005.

Il “divieto” di esporre striscioni, cartelli, magliette è in vigore – non soltanto a Roma, ma qui con particolare solerzia – da quando la Spal (squadra di Ferrara) è tornata in serie A. Una situazione assurda e illegale – Aldrovandi è un innocente ucciso, non un pericoloso simbolo di rivolta – che ha fatto più volte dire al padre «Quel drappo di stoffa non è un’offesa verso nessuno. È una forma umana di esprimere non il colore della propria squadra, ma quello della vita». Un estremo tentativo di togliere ai poliziotti romani (ma da chi hanno avuto quest’ordine?) anche l’ultima delle possibili, benché inventate, “motivazioni”.

Nell’ultima partita giocata dalla Spal contro la Roma, però, è accaduto un fatto che testimonia esattamente del carattere universale della solidarietà umana contro la prevaricazione dei violenti. Mentre i poliziotti persuisivano minuziosamente i tifosi ferraresi per sequestrare le pericolosissime immagini di Federico, uno striscione è apparso nella curva opposta, quella romanista.

Uno stadio è ormai un set televisivo del “grande fratello”, con telecamere anche nei cessi. E dunque il tifoso romanista che ha giustamente esposto quello striscione è stato multato dopo essere stato identificato grazie a una zelante analisi delle immagini. 167 euro.

Ufficialmente, la responsabilità è del Regolamento d’uso dell’Olimpico – “concertato” tra società e forze dell’ordine, con un occhio particolare per i desiderata di queste ultime – che vieta di «introdurre ed esporre striscioni, cartelli, stendardi orizzontali, banderuole, documenti, disegni, materiale stampato o scritto e diversi da quelli esplicitamente autorizzati dal Gruppo Operativo per la Sicurezza (GOS) su richiesta della Società Sportiva». Nel verbale della multa consegnato al tifoso, la polizia spiega che «il medesimo durante i controlli nell’area prefiltraggio di una partita precedente era già stato reso edotto che non era consentita l’esposizione di tale stendardo». Arbitrio puro trasformato in “norma”.

Alla polizia fa paura vedere esposte le immagini delle vittime innocenti che ha seminato e continua a seminare per tutta Italia. O, più precisamente, vuole impedire che si conservi la memoria pubblica del loro arbitrio, della loro violenza, dei loro omicidi.

Alla popolazione italiana, di conseguenza, fa paura – e quindi anche rabbia – vedere una polizia non in grado di contenere i propri comportamenti dentro la logica di una funzione che dovrebbe in teoria “proteggerla”.

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