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Roma. Ancora provocazioni poliziesche alla fine dei cortei. Tutti zitti?!

Nel giro di pochi mesi (il corteo del 16 giugno promosso dalla Federazione del Sociale USB, il corteo del 20 ottobre contro le privatizzazioni e per le nazionalizzazioni, e la manifestazione di sabato 24 novembre indetta da Non Una di Meno) si è ripetuto, a ridosso di tali manifestazioni, un collaudato copione di provocazione poliziesca al termine dei cortei che hanno attraversato la capitale.

Guarda il VIDEO di quanto si è ripetuto sabato sera alla Metro San Giovanni

In tutte e tre date all’interno della stazione Metro “San Giovanni” di Roma, alla fine del cortei, i manifestanti che, abitualmente, defluiscono verso le aree di sosta dei bus sono stati fatti oggetto di intimidazione da parte di battaglioni del Reparto Mobile della Polizia e dei Carabinieri.

Per la terza volta le cosiddette forze dell’ordine hanno bloccato i tornelli di accesso ai treni impedendo il deflusso dei manifestanti ed hanno ostentato un comportamento ostile ed intimidatorio. Addirittura lo scorso 16 giugno nel parapiglia provocato da queste intimidazioni un poliziotto estrasse la sua pistola puntandola verso i manifestanti pur in assenza di qualsivoglia motivazione plausibile a giustificare tale scellerato gesto.

Questa volta, però, si è sfiorato un serio incidente. Dopo il riuscito corteo contro la violenza sulle donne oltre 300 manifestanti – in gran parte pure muniti di regolare biglietto della Metro – sono stati bloccati dal Reparto Celere in assetto antisommossa causando un clima di tensione che si è sommato all’oggettivo pericolo per l’incolumità generale costituito nel tenere fermi coattivamente sotto terra centinaia di persone.

La gestione delle manifestazioni a Roma da parte della Questura sta assumendo, sempre più, un clichè autoritario ed antidemocratico che costituisce un autentico vulnus al diritto di manifestare.

Da alcuni anni, poi, è in atto una pratica assurda e discriminatoria verso i bus dei manifestanti che arrivano a Roma i quali vengono fermati ai caselli, sottoposti ad umilianti perquisizioni e controlli con l’obiettivo, non dichiarato, di scoraggiare e rendere difficoltosa la partecipazione popolare alle manifestazioni.

A questo punto è evidente che vige un esplicito inpiut politico del dicastero degli Interni, che dalla precedente gestione Minniti a quella attuale di Matteo Salvini, punta a depotenziare e cancellare il   sacrosanto diritto di critica e di manifestazione.

Siamo alla vigilia di importanti manifestazioni che, nelle prossime settimane, interesseranno alcune significative questioni sociali attraverso lo svolgimento di cortei a Roma ma anche in altre città.

Il 30 novembre prossimo a Roma manifesteranno in alcune piazze e sotto diverse sedi ministeriali studenti, insegnanti e lavoratori di vari comparti impegnati in vertenze di carattere sociale e sindacale. L’8 dicembre a Torino il popolo No Tav rilancia la sua storica battaglia contro questa inutile e devastante opera ma anche per rispondere alla canea reazionaria ed affaristica che qualche giorno fa nella città piemontese ha inteso riproporre (in malo modo) lo scenario “marcia dei 40000” del 1980 contro le ragioni sociali della vertenza No Tav ed, infine, il 15 dicembre a Roma gli immigrati, i sans papier ma anche tantissimi lavoratori, disoccupati e numerose forze politiche e sociali ribadiranno la loro opposizione al Decreto Sicurezza del governo giallo/verde e ribadiranno la necessità dell’unità nella lotta tra il proletariato immigrato ed autoctono in direzione di un nuovo movimento operaio e popolare.

Abbiamo il fondato sospetto che attorno a queste manifestazioni si metterà, di nuovo, in moto il dispositivo di criminalizzazione preventiva, di asfissiante controllo ed intimidazione poliziesca e di opacizzazione e distorsione mediatica degli obiettivi di queste manifestazioni.

Lanciamo, quindi, un campanello di allarme a quanti, a vario titolo, sono interessati ad impedire la limitazione formale (e soprattutto sostanziale) del diritto di manifestare nel nostro paese, a quanti hanno colto nel recente Decreto Sicurezza del governo la natura liberticida di questo provvedimento.

Un articolato legislativo che nella sua concreta applicazione ed esemplificazione, colpisce oggi i nostri fratelli immigrati e le varie espressioni del conflitto politico, sociale e sindacale ma, in un prossimo futuro che non possiamo escludere aprioristicamente, può minare il complesso delle stesse (già limitate) forme dell’esercizio democratico nel nostro paese.

Le provocazioni di questi mesi prima, durante e dopo le manifestazioni ed il clima di isteria che, puntualmente, viene montato ad arte alla vigilia di qualsiasi corteo devono essere stoppate e respinte al mittente.

La Questura di Roma e, soprattutto, il Ministero degli Interni non possono essere  i soggetti deputati e/o delegati ad affrontare le domande sociali e rivendicative avanzate dalle manifestazioni e dal montare della protesta.

Occorre che il diritto a manifestare sia tutelato e garantito senza discriminazioni, senza assurde limitazioni e senza, soprattutto, la messa in opera di comportamenti aggressivi che puntano a scoraggiare la partecipazione alla forme della protesta.

Su questo terreno – concreto e non astratto – si misura la cifra culturale e politica del “mondo democratico” il quale è chiamato a battere un colpo per infrangere il clima di paura e di oscurantismo con cui si tenta di ingabbiare ed irreggimentare il nostro paese.

*Rete dei Comunisti

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