Negli anni ‘70 qualsiasi formazione di sinistra, soprattutto rivoluzionaria, definiva l’Italia “anello debole della catena imperialista”. Naturalmente, venivano tutte accusate di essere “ideologiche”, non realistiche, astratte, ecc.
Contrordine, compagni! Avevamo ragione… Anzi, avevamo così ragione da convincere, alla fine, persino il direttore de La Stampa, foglio di casa Agnelli – ora transitato nell’orbita di Repubblica-L’Espresso – che gli operai torinesi hanno sempre chiamato, senza affetto, la busiarda.
Maurizio Molinari non è un direttore qualsiasi. Ex inviato negli Stati Uniti e a Gerusalemme si è sempre distinto per assoluta osservanza delle indicazioni provenienti dai governi che lo ospitavano. Tanto da far sospettare ai soliti “complottisti” che avesse ottimi rapporti sia con la Cia che con il Mossad…
E oggi, quasi alla vigilia della firma del Memorandum of Understanding con la Cina, alla presenza di Xi Jinping, scrive: “bisogna tenere presente che l’Italia è diventata l’anello debole di un Occidente in difficulta davanti a due rivali strategici divenuti temibili: Cina e Russia. Dal crollo del Muro di Berlino nel 1989 Pechino e Mosca non sono mai stati cosi in crescita. Nel caso della Cina si tratta di una crescita soprattutto economica che consente di gareggiare testa a testa con Washington per la leadership sul pil globale disponendo al tempo stesso di un formidabile progetto di infrastrutture per estendere la propria influenza all’Euroasia e di una tecnologia – il 5G – capace di cambiare il modo in cui comunichiamo. Se a tutto ciò aggiungiamo un apparato di intelligence Che supera il milione di effettivi – il più numeroso al mondo – non è difficile arrivare alla conclusione Che Pechino sia oggi porlatrice di una sfida mollo efficace all’Occidente perché punta a spostare il baricentro dello sviluppo del Pianeta dalla dorsale New York-Londra alla macroregione Pechino-Shanghai.”
Tono allarmato, sguardo cupo, accuse esplicite (oltre al dossier cinese si citano quelli sugli F35, l’”ambiguità sul Venezuela”, una certa freddezza con la “narrativa” UE), minacce velate. Va avanti come un treno dell’intelligence ricordando il Donbass, le presunte cyber-offensive dei russi, il ruolo in Medio Oriente e Africa di entrambi. Il tutto in un contesto di “debolezza intema di Nato e Ue dovuta a carenza di leadership, rivalità nazionali e protesta sociale”.
Un analista serio si fermerebbe, a questo punto, per chiedersi la ragione di questa triade di problemi interni irrisolti, visto che non ce li ha regalati il “nemico” ma si sono creati in casa. Se le leadership (da Merkel a Macron, per non parlare degli altri fantasmi che appaiono e scompaiono nel giro di qualche mese in Italia,e Spagna) sono di bassa qualità significa che i meccanismi storici per selezionarla dalla culla al ministero– i partiti di massa dotati di ideologia e visione – si sono inceppati o sono rimasti annientati. Se le rivalità nazionali rinascono prepotenti dentro un sistema di trattati e fedeltà pensato per renderle impossibili significa che quel sistema è strutturalmente sbagliato. Se riesplode la protesta sociale – per ora soprattutto in Francia, l’ultima arrivata alle “riforme strutturali” imposte dall’ordoliberismo europeo – vuol dire che non è possibile comprimere ancora le condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione.
Soprattutto: se i cinesi crescono a velocità inimmaginabile per le stanche economie Usa e Ue, significa che il “modello occidentale” che aveva privilegiato la finanza rispetto alla produzione materiale (lavoro mentale compreso) non regge la prova dei fatti.
Ma Molinari non è pagato per fare l’autocritica dell’Occidente. Il compito che si è assunto con l’editoriale di stamattina è quello di infilare nelle orecchie dei governanti gialloverdi – e soprattutto in quelle di Sergio Mattarella, che ha dato pochi giorni fa il suo “ok” alla firma del Memorandum – il tarlo della paura. Per essere proprio espliciti:
“Ciò spiega perché Washington, Parigi e Berlino guardano sempre più al Quirinale quando entrano in gioco temi cruciali per la sicurezza dell’Occidente. In attesa di comprendere se il governo di Giuseppe Conte riuscirà ad esprimere posizioni capaci di superare le incertezze di questi mesi. Tutto ciò non significa che l’Italia debba rinunciare alla tutela dei propri interessi nazionali, economici e politici, ma la sfida è armonizzarli con la nostra adesione alle alleanze Ue e Nato. Senza le quali il nostro benessere e la nostra sicurezza sarebbero a rischio.”
Crediamo che mai in tempi recenti, almeno dalla caduta del Muro ad oggi, un presidente della Repubblica era stato minacciato così apertamente da parte degli Stati Uniti (sia pure per la via “informale” di un editoriale di quotidiano).
E il fatto che avvenga dà la misura del livello di tensione che si è prodotto in questo scontro a tre geopolitico (tra Ue, Usa e Cina) intorno al futuro dell’Italia, non appena si è prospettata la possibilità di diventare un terminale privilegiato (per la posizione centrale nel Mediterraneo) della nuova Via della Seta.
Come osserva Pasqale Cicalese, “nel gioco abbiamo tre civiltà millenarie: Cina, Italia, Vaticano. E una nazione che ha 300 anni di vita, di cui gli ultimi 80 anni ha dominato, gli Usa. Che sono in uno spaventoso declino industriale. La Cina ha 1,4 miliardi di persone, il Vaticano ha 1,2 miliardi di cattolici nel mondo, moltissimi in Africa. I cattolici in Cina sono 10 milioni, gli evangelici filo americani 100 milioni. Xi preferisce il Vaticano agli evangelici e a settembre scorso ha fatto un accordo per la nomina dei vescovi con il Vaticano. Entrambi attendono pazienti uno storico accordo, hanno tutto il tempo necessario. L’impronta del Mou è del Vaticano, oggetto di attacchi da parte dei cardinali americani dopo l’accordo di settembre con la Cina, in merito alla questione della pedofilia. Francesco ha resistito e ora gioca la carta italiana. Con l’imprimatur di Mattarella”.
E’ tutto molto più complicato di quanto provano a raccontare i “terminali passivi” di questo o quel protagonista globale. E non fanno neanche un buon lavoro di “istruzione” per questa classe politica di absolute beginners, costringendoli dunque a muoversi senza mai capire bene dove stanno mettendo i piedi (un po’ come Draghi, no?).
Non siamo complottisti, e quindi non crediamo che Molinari abbia obbedito a una telefonata giunta da Washington o dall’ambasciatore in Italia. Di certo, stavolta, non gli è arrivata da Tel Aviv. Basta leggersi come gli israeliani, invece, sognano di moltiplicare il business grazie all’arrivo dei cinesi nel fu Mare Nostrum.
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