Lo sciopero dei metalmeccanici è stato un successo. Dai dati ufficiali della Federmeccanica un lavoratore su cinque avrebbe scioperato. Considerate le modalità di calcolo assolutamente riduttive delle imprese, si può tranquillamente affermare che un metalmeccanico su due si sia astenuto dal lavoro. Un risultato di tutto rispetto in questi tempi. Anche la partecipazione alle manifestazioni è stata buona, segno di una volontà di partecipazione, di farsi sentire.
Tuttavia questo sciopero, nonostante la generosità delle operaie e degli operai che hanno speso una giornata di paga e tanto impegno per farlo riuscire, rischia di non incidere sulla realtà e non solo per la chiusura del potere, ma anche per la debolezza e la contraddittorietà delle rivendicazioni e per l’incapacità, o la non volontà, di individuare le controparti.
Il primo atto di ogni lotta vera è definire con chiarezza cosa si vuole e a chi lo si chiede.
Nel linguaggio sindacale questo significa avere una piattaforma precisa ed individuare la o le controparti.
FIM FIOM UILM hanno proclamato lo sciopero con richieste così generiche che paiono più una lamentela che delle rivendicazioni.
Il primo degli obiettivi, impedire il massacro sociale che si profila con le tante chiusure di fabbriche già annunciate o in arrivo, viene tradotto dai sindacati confederali nella domanda di salvaguardia prioritaria del lavoro e di politiche industriali.
Detto così non vuol dire nulla. Queste parole infatti andrebbero declinate in misure precise. Blocco dei licenziamenti e delle delocalizzazioni, nuovi ammortizzatori sociali per tutte e tutti, intervento pubblico diretto nelle crisi per impedire la chiusura delle aziende. Nessuna di queste tre misure fondamentali è nella piattaforma di CGILCISLUIL e dei sindacati metalmeccanici, che chiamano i lavoratori ad una lotta comune, ma non offrono loro una piattaforma comune, che costringa le controparti ad una risposta valida per tutte le realtà.
Così alla fine tutte le crisi vengono affrontate una per una con il fallimentare “modello EMBRACO”. Cioè l’azienda chiude la produzione e mette a disposizione lo stabilimento, mentre i lavoratori hanno un poco di cassaintegrazione. Le pubbliche autorità dovrebbero nel frattempo trovare i nuovi imprenditori salvatori del lavoro.
Oppure ci si affida al “ modello ARCELORMITTAL”, regalando tutto ad una grande multinazionale sperando che sia buona. Questi modelli han fatto fatica a funzionare in periodi di grande espansione economica, NON FUNZIONANO ASSOLUTAMENTE OGGI che c’è stagnazione e crisi. Eppure CGILCISLUIL continuano ad accettarli, anzi a rivendicarli.
Il secondo obiettivo dello sciopero era altrettanto sacrosanto: più salario. Ma che vuol dire in concreto? Perché le imprese, con le quali si sono firmati contratti scadenti con aumenti salariali ridicoli, perché le imprese non vengono chiamate in causa? Perché non si chiede un salario minimo, magari più alto di quello proposto dai cinquestelle, per far salire tutto l’edificio delle retribuzioni? Al contrario invece si contrasta quella legge per “lesa maestà” dei tavoli contrattuali, ai quali per altro solo chi firma i contratti può sedere.
In realtà CGILCISLUIL chiedono l’aumento dei salari esclusivamente con gli sgravi fiscali: meno tasse sulla busta paga. Richiesta parziale e sbagliata perché lascia fuori le imprese, i cui rappresentanti oggi lamentano che l’introduzione del reddito, 531 euro mensili medi, abbia ridotto la disponibilità dei lavoratori ad accettare paghe di fame.
Ma anche se si pensasse davvero a far crescere le paghe solo con il fisco, bisognerebbe chiarire due cose. Che la riduzione delle tasse non dovrebbe comportare riduzioni dei servizi pubblici, che anzi dovrebbero tornare a crescere. E che dovrebbero finire tutti gli sconti fiscali e contributivi alle imprese. Invece CGILCISLUIL continuano a fare accordi dove agevolano pensioni e sanità privata e a tagliare i contributi previdenziali sul salario flessibile, insomma a regalare agevolazioni al privato e alle imprese, sotto la copertura di finti guadagni per i lavoratori.
E poi si può rivendicare la centralità del lavoro senza dire nulla sulla precarietà, sul jobsact, sulla distruzione programmata dei diritti del lavoro?
E poi si può rivendicate una soluzione per le crisi che non affronti i vincoli dell’austerità europea e dei vincoli dei trattati? Cosa vuol dire allora cambiare politica economica?
Il solo messaggio chiaro dello sciopero è la generosa combattività dei lavoratori tradotta dai gruppi dirigenti confederali in : devono ascoltarci! Giusto, ma essi cosa dicono? Nulla.
Lo sciopero del 14 giugno si è svolto senza piattaforma e anche senza controparte. E questo non solo perché CGILCISLUIL sono schierate con le imprese, ma anche perché non possono schierarsi davvero contro il governo.
Non possono farlo perché la maggioranza degli operai al Nord sta con Salvini ed al sud sta con Di Maio e solo forti rigore e coerenza nelle rivendicazioni potrebbero portare il mondo del lavoro a non fare sconti a questo governo. Ma come fanno CGILCISLUIL, che hanno concesso tutti gli sconti possibili a Monti, Renzi e Confindustria, ad essere coerenti oggi? Non possono ed infatti chiamano i lavoratori alla lotta senza chiedere davvero e senza individuare nemici davvero.
Questo abbiamo il dovere di dire a chi nelle condizioni difficili attuali ha il coraggio di lottare: non fatevi portare in giro nel nulla, PRETENDETE UNA PIATTAFORMA e pretendete di deciderla VOI.
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