Quando ci si riempie la bocca di “giustizia” e “democrazia” bisognerebbe sempre gettare uno sguardo sulle pratiche di uno Stato, anziché sulle dichiarazioni autocelebrative.
Prendiamo una notizia d’oggi (anzi, ieri).
E’ stato arrestato in Francia Vincenzo Vecchi. Per nulla famoso, mai stato sulle prime pagine di nessun giornale mainstream.
Chi è? Uno dei parecchi “latitanti politici” di questo cesso di paese. Detta così, qualcuno potrebbe pensare che il compagno Vecchi fosse un protagonista minore degli “anni di piombo”, un guerrigliero di un altro secolo e di altre cruente battaglie.
Niente affatto. In pratica Vincenzo non ha mai torto un capello a nessuno. Eppure un tribunale italiano lo aveva condannato, con sentenza poi diventata definitiva, a 11 anni di carcere per “devastazione e saccheggio, rapina, porto abusivo di armi, resistenza e violenza nei confronti di contingenti delle forze dell’ordine”. é i gazzettieri di regime segnalano che fosse, all’epoca, “di area anarchica”, ergo…
La giustizia italica è infatti quella che classifica come reati “gravissimi” fatti decisamente meno eclatanti. La “devastazione e saccheggio” sarebbero gli scontri avvenuti a Genova, nel 2001, nella manifestazione contro il G8. Effettivamente, negli scontri, ci furono dei danni. Qualche automobile venne usata per le barricate e uscì distrutta tra cariche, lanci di lacrimogeni, lanci di pietre, speronamenti dei blindati di polizia, carabinieri e finanza lanciati a folle velocità contro la folla a piedi.
Venne danneggiato anche qualche bancomat, qua e là; forma di protesta elementare e ben poco incisiva contro il potere delle banche.
La “rapina”, con tutta probabilità, è stata contestata per aver preso qualcosa per difendersi.
Il “porto abusivo di armi” non si riferisce al girare per la città con un mitragliatore in spalla, ma più modestamente al presunto “porto” di una bottiglie molotov improvvisata, con benzina magari presa da automobili in strada (è forse questa la “rapina”?). Una delle tante genialate giuridiche della “legislazione d’emergenza” degli anni ‘70, quando diventarono per legge “armi” tutta una serie di strumenti fin lì considerati – dai codici penali di tutto l’Occidente – poco più che “oggetti atti ad offendere”.
“Resistenza e violenza contro le forze dell’ordine”, come sappiamo, è reato contestato anche se stai fermo e ti fai manganellare senza muovere un muscolo. Quindi…
Non stiamo dicendo che Vincenzo sia stato un pacifista. Forse si offenderebbe pure… Stiamo dicendo che i fatti per cui è stato condannato potrebbero essere considerati al massimo “reati contro le cose” (auto, bancomat, vetrine, ecc). E ricordiamo che persino i pacificissimi radicali di Marco Pannella indulgevano in simili “reati”, nettamente distinti da quelli contro le persone.
Non ci vuole molto a capire che spargere sangue oppure calcinacci sono due cose di gravità decisamente diversa, no?
Eppure per queste “monellerie” Vincenzo non solo è stato condannato ad undici anni di carcere, ma inseguito in giro per l?Europa mettendo in moto un dispositivo degno della caccia agli uomini dell’Isis: intercettazioni dei familiari, pedinamenti, coordinamento operativo tra varie polizie di diversi paesi, ecc. Fino a rintracciarlo in un paesino della Bretagna, Saint Gravé dans le Morbhian, dove lavorava come nientepopodimeno che come… imbianchino.
Per restituire la misura delle cose forse è bene ricordare le condanne subite da alcuni dei funzionari di polizia (o simili) responsabili dell’uccisione di Carlo Giuliani, della mattanza della scuola Diaz, delle torture inflitte nella caserma di Bolzaneto.
Mario Placanica, carabiniere materialmente individuato come l’assassino di Carlo, è stato indagato per omicidio e poi prosciolto per legittima difesa e uso legittimo delle armi.
Francesco Gratteri, che nel frattempo era diventato capo del dipartimento centrale anticrimine della Polizia, condannato a 4 ani per “falso aggravato” a proposito della scuola Diaz (per l’pisodio delle false molotov, portate nella scuola direttamente dai poliziotti)
Giovanni Luperi, vicedirettore Ucigos ai tempi del G8, in seguito capo del reparto analisi dell’Aisi (servizio segreto interno), 4 anni per lo stesso motivo.
Gilberto Caldarozzi, diventato durante il processo capo servizio centrale operativo, 3 anni e 8 mesi.
Filippo Ferri, capo della squadra mobile di Firenze, condannato per falso aggravato, a 3 anni e 8 mesi e all’interdizione dai pubblici uffici per 5 anni.
Vincenzo Canterini, ex dirigente del reparto mobile di Roma, temporaneamente famoso per i video che lo ritraevano tirare calci in faccia a un ragazzo tenuto fermo dai suoi “uomini”, 3 anni e 6 mesi.
Gianni De Gennaro, capo della polizia e poi con una carriera da capo del Dipartimento informazioni per la sicurezza, sottosegretario di Stato alla presidenza del consiglio (con Mario Monti), nonché alla presidenza di Finmeccanica, 1 anno e 4 mesi (sentenza poi annullata e prescritta).
Spartaco Mottola, 1 anno e 2 mesi (poi annullata per prescrizione).
Fare voi i paragoni. Per questo Stato una vetrina vale più del sangue di un essere umano.
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ToniNo
Condanne mai scontate quelle dei funzionari, che nella quasi totalità dei casi hanno ricevuto interessanti promozioni