Menu

Calci a un bambino di 3 anni. Fermato il fratello di un “pentito” sotto protezione

L’episodio è del tipo che resta in testa a lungo. Fin dall’inizio era sembrato esserci “qualcosa di più” del semplice razzismo fascioleghista. Che un bambino di 3 anni si avvicini alla carrozzina del tuo è gesto troppo normale e tranquillo per motivare – “giustificare” è ovviamente impossibile – un gesto assurdo come il prenderlo a calci, in mezzo alla strada.

Poi le notizie si sono arricchite. Il tizio è il fratello di un camorrista pentito, sotto protezione della polizia con tutta la famiglia. E allora ti puoi solo immaginare – con qualche esperienza alle spalle è più facile – il groviglio di cazzate che abita una mente. Dal superomismo camorrista a quello poliziottesco, fatto di frequentazioni quotidiane e discorsi “complici” su quei poveracci – tutti noi, di qualsiasi colore e nazonalità – che dovremmo vivere solo abbassando la testa. Davanti a un mafioso o a una divisa, specie se racchiuse in una “crisi di identità” che le riassume entrambe.

Un “pentito” assume il punto di vista della repressione, diventa la punta di lancia delle indagini della magistratura; la scorta armata incrementa questo senso di “potere tutto”. Figuriamoci su un bambino di tre anni, colpevole di essere curioso e nero di pelle.

Arrestato l’aggressore del bimbo preso a calci in strada a Cosenza

Ha un nome e un volto l’uomo che martedì scorso a Cosenza ha preso a calci un bambino marocchino di tre anni perché si era avvicinato al passeggino del figlio. Lui e la moglie sono stati individuati, fermati e denunciati a piede libero con l’accusa di lesioni personali aggravate. Al momento sono state diffuse solo le iniziali dei loro nominativi. Si tratta di T. D. di 22 anni e M. V. di 24.

Non si conoscono ancora le motivazioni che hanno spinto l’uomo a compiere un atto così folle e crudele. Gli inquirenti stanno cercando di capire se il gesto sia stato aggravato da istinti xenofobi. L’uomo non è cosentino. Fratello di un camorrista collaboratore di giustizia, si trovava a Cosenza in regime di protezione e nella giornata di ieri le autorità ne hanno disposto il trasferimento in altra località. Si è difeso negando qualsiasi movente razzista. Avrebbe agito in preda ad un raptus.

La storia è stata raccontata in anteprima da questo giornale. Il bimbo nordafricano era in compagnia dei due fratellini di 8 e 10 anni. La madre dei piccoli si era allontanata pochi minuti prima dai figli per recarsi in uno studio medico e ritirare dei certificati. Avvicinatisi al passeggino, i giovanissimi migranti hanno incontrato la reazione violenta del papà del neonato, che all’inizio li ha strattonati per poi sferrare un forte calcio nell’addome del più giovane. In difesa del bambino sono intervenuti diversi passanti, costringendo l’aggressore alla fuga e richiedendo l’intervento di un’ambulanza e della polizia. Trasportato in ospedale, il piccolo è stato medicato e dimesso dopo pochi minuti.

Rocambolesche le modalità con cui gli investigatori sono pervenuti all’identità della coppia. È stato uno dei tre fratelli, camminando per strada, a riconoscerli nel pomeriggio di venerdì. La madre dei bambini ha subito allertato la polizia. Giunti sul posto, gli agenti hanno identificato i due, procedendo poi con i riconoscimenti. Determinanti nelle indagini anche le numerose telecamere a circuito chiuso, presenti nella zona, ma soprattutto le testimonianze di alcuni dei passanti accorsi.

La più coraggiosa è stata una ragazza, Jennifer Castiglia, che dopo aver soccorso i tre fratellini, ha inseguito l’uomo col passeggino. Non riuscendo a raggiungerlo perché si è dileguato tra la folla che ogni sera riempie il corso principale, ha denunciato subito l’episodio dal suo profilo social, raccogliendo le testimonianze indignate di altri concittadini che avevano assistito alla terribile scena.

La famiglia del bambino vive in Italia dal 2003, abita in un centro a pochi chilometri dalla città. Intervistata dal manifesto, Sara, la mamma del piccolo, scarica la tensione di questi giorni. «Mentre ero in sala d’attesa, nello studio medico – spiega la signora – ho notato che i miei figli giocavano tra di loro. Per evitare che dessero fastidio agli altri pazienti, ho chiesto al più grandicello, che quest’anno frequenterà il primo anno di scuola superiore, di accompagnare i fratellini al bar all’angolo, per prendere un gelato. Pochi minuti dopo, quando sono uscita dallo studio medico, davanti ai miei occhi ho trovato il più piccolo dei miei figli, cianotico, a terra, che non riusciva a respirare, ed il fratellino maggiore con la manina al ginocchio, anch’esso contuso da un calcio. Intorno tante persone che urlavano e si agitavano. Da quella sera non riesco a dormire». La signora è riuscita a contattare Jennifer: «Ho voluto ringraziarla di persona. In quanto donna, mi sento meglio sapendo che in giro ci sono ragazze pronte a difendere i bambini».

Netta la condanna del sindaco Mario Occhiuto: «Qualsiasi sia il motivo, se di natura razzista o di cieca follia, certamente si tratta di un gesto gravissimo che non può trovare alcuna giustificazione né deve passare sottaciuto. Non possiamo assolutamente tollerare l’odio inconsulto e cruento, specie quando la vittima è un bimbo piccolissimo e specie se tale violenza si verifica a Cosenza, storicamente città di inclusione e accoglienza».

Sdegno e preoccupazione nel mondo dell’associazionismo cosentino. Da più parti arrivano accorati appelli alla mobilitazione civile contro l’intolleranza e a sostegno dei diritti dei bambini. «Ci siamo spesso mobilitati anche per meno – afferma Radio Ciroma in una nota -. L’episodio del bambino preso a calci nella storia di questa città è il più grave fatto di razzismo. Rimanere ancorati solo all’indignazione che si manifesta attraverso i social non basta. Chiamare a raccolta la Cosenza solidale diventa urgente. Usciamo dal virtuale. Concordiamo insieme un momento di mobilitazione, riempiamo Via Macallè di colori, seminiamo la cultura dell’integrazione, non facciamoci trascinare da questo pensiero intossicato».

* da ilmanifesto.it

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

1 Commento


  • Giordano Bruno

    Il più grande fa la scuola media, non le superiori. Ma anche se fosse alle superiori, la famiglia è dal 2003 in Italia ed è probabile che i tre siano stanziali, nati e vissuti in Italia. Chiamarli “giovanissimi migranti” è una tara subconscia del giornalista de ilmanifesto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *