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La regione Lombardia ha chiesto a tutti coloro che hanno più di 65 anni di restare a casa.

Siccome rientro in questa categoria non mi muoverò, se non per ragioni necessarie e non rinviabili. E non perché pensi che questa sia una misura particolarmente saggia ed efficace nel contenimento del coronavirus, ma semplicemente perché credo che in questo momento ognuno di noi debba assumere anche sul piano personale responsabilità collettive.

Certo che si dimentica che in Italia, dopo la legge Fornero, tanti anziani sopra i 65 anni lavorano e molti per questo si infortunano e perdono la vita. Costoro non credo potranno tutti stare a casa e così dovranno affrontare il doppio rischio del lavoro insicuro e dell’epidemia. Che viene ancora presentata come meno pericolosa proprio perché sono gli anziani e i più deboli a morire.

Non è una difesa della mia generazione, anzi da padre e nonno sono anche contento di essere più a rischio di figlie e nipoti. Ma non accetto che il sistema sdrammatizzi il virus usando la maggiore vulnerabilità ad esso di chi è più vecchio.

In Italia ci sono già più di 2000 contagiati e di 50 morti. Una percentuale del 2,5 % che può sembrare bassa solo se la malattia non si diffonde, ma fin dove arriva il barbaro concetto di rischio accettabile?

Questa crisi epidemica ci impone di cambiare.

Dobbiamo prima di tutto dire basta ai tagli ed alla privatizzazione della sanità di cui la Lombardia è modello. Dobbiamo rovesciare un sistema di sviluppo economico che ci trascina da crisi economica a crisi ambientale, a crisi epidemica e poi di nuovo a crisi economica.

Dobbiamo capire che non possiamo più affidare al mercato le nostre vite così come la natura; e che questo capitalismo, che crolla quando non può essere frenetico, è anch’esso una malattia da cui uscire.

E infine dobbiamo considerare la vita e la dignità delle persone e il rispetto del mondo in cui viviamo la priorità assoluta, prima di affari, competitività, produttività a tutti i costi e follie simili.

C’è un sistema sbagliato e malato da superare, con l’impegno e la lotta di giovani e anziani, compresi quelli che ora stanno a casa e che da giovani questo mondo han provato a cambiarlo.

Non ci sono vite o ambiente sacrificabili in una società davvero giusta.

Nella foto gli anziani di oggi, cinquant’anni fa.

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1 Commento


  • Maurizio

    Fai bene a ricordare che i 65 anni oggi in Italia sono età lavorativa per la maggioranza della popolazione. Poi, visto che fai riferimento alle tue cose personali, parlando di figli e nipoti, lo faccio anche io. E’ stato calcolato l’effetto che una segregazione forzata può avere sulla vita di un anziano, solo, in termini di solitudine, depresssione ecc.? Effetti forse più gravi del rischio contagio anche se meno evidenti. Comunque questa storia mette in luce le contraddizioni del sistema: per lavorare siamo giovani a oltranza, poi però dobbiamo stare in casa perchè siamo fragili. E allora?

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