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Le lezioni telematiche all’epoca del coronavirus

La diffusione del coronavirus nel nostro paese ci ha portati a vivere in una condizione di emergenza. I provvedimenti varati dal governo e da alcune delle regioni più colpite ci permettono di rilevare ancora una volta la fragilità dell’attuale modello di sviluppo di fronte a uno scenario di crisi (paradigmatica la questione della sanità pubblica), ma anche la capacità di sfruttare queste crisi per sperimentare e rafforzare nuove modalità di organizzazione della società.

Il mondo della formazione non è chiaramente escluso dalle misure di prevenzione. In queste settimane molte scuole e università delle zone più colpite sono state chiuse. Per evitare il blocco completo della didattica per un periodo troppo lungo alcuni atenei (e anche alcune scuole) hanno avanzato la sperimentazione di riprendere le lezioni, e persino gli esami e le discussioni di laurea, in via telematica.

In una situazione emergenziale come quella che stiamo vivendo, questa risulta in parte una soluzione razionale al problema, tuttavia soltanto se queste misure rimangono, appunto, emergenziali. Spesso ciò che viene sperimentato in condizioni di emergenza diviene elemento strutturale della società, la condizione di “crisi” crea la legittimità per scelte rapide e decise.

Crediamo che proprio in questo senso sia da leggere l’introduzione sistematica delle lezioni telematiche. Stiamo parlando di una misura neutrale e sostanzialmente innocua se presa singolarmente, tuttavia nessuna decisione è mai neutrale (specialmente se va ad incidere su un settore strategico come il mondo della formazione) e assume tutt’altro significato se la inseriamo in una prospettiva di medio-lungo periodo.

Le riforme dell’istruzione, nella cornice delle linee guida europee, degli ultimi decenni hanno elevato a mantra i concetti di competitività e meritocrazia provocando effetti devastanti sul corpo studentesco. Hanno trasformato l’università in un luogo di competizione, il cui tessuto sociale è stato lentamente ma costantemente distrutto e sostituito dall’individualismo e dalla frammentazione sociale, un processo analogo che vediamo a tutti i livelli della società.  

Non crediamo di prendere un abbaglio dicendo che la teledidattica diventerà prassi sistematica, svuotando completamente alcuni dei pochi spazi di aggregazione ancora vivi nella nostra società, l’università e la scuola, facendo aumentare ancora di più l’isolamento e la frammentazione. I pochi spazi di confronto che ancora sono a disposizione dei giovani verrebbero definitivamente compromessi riducendo lo studente ad un ascoltatore passivo, chi vive l’Università conosce la difficoltà ormai quasi insormontabili per prendere spazi – anche solo temporanei – dentro gli atenei o proporre attività extracurriculari nelle aule, un elemento materiale che rende sempre più difficile concepirsi parte di un corpo unico.

In questo senso, la digitalizzazione della didattica rappresenta, in ambito studentesco, un processo molto simile, se ci pensiamo, a quello avvenuto nel mondo del lavoro negli ultimi quarant’anni e che trova negli smart work la sua pericolosa acme. Infatti, nel nostro paese come la maggioranza dei paesi a capitalismo avanzato in occidente, abbiamo assistito ad un vero e proprio smantellamento (che non significa scomparsa ma delocalizzazione) dei grandi poli industriali che concentravano un enorme numero di lavoratori nelle fabbriche.

Non è un elemento da poco, fu proprio questa concentrazione uno degli ingredienti che ha permesso lo sviluppo ed il rafforzamento del movimento operaio negli anni ’70 del 900.

Tra gli strumenti di difesa che il capitale mise in campo come risposta, quali ad esempio la repressione, uno fondamentale fu il risultato proprio di una crisi – la stagflazione degli anni ’70 – che diede una forte spinta al progetto di ristrutturazione capitalista. Il modello fordista venne lentamente sostituito da modalità di organizzazione della produzione via via sempre più flessibili, che sono diventate elementi strutturali del modo di produzione. Questa nuova organizzazione flessibile ha prodotto una enorme  frammentazione della classe lavoratrice, attraverso lo smantellamento delle grandi fabbriche, le delocalizzazioni, la precarizzazione sfrenata del lavoro.

Anche il telelavoro che oggi viene proposto esaspera la condizione di frammentazione della classe, rendendo i lavoratori sempre più soli, deboli e difficilmente organizzabili sul piano sindacale. Risulta, inoltre, un utile strumento per scaricare sui lavoratori una parte maggiore dei costi della produzione (dal riscaldamento ai servizi) facendo così aumentare i margini di risparmio dei padroni.

Per lottare contro queste tendenze di isolamento nella società, al quale bisogna sommare la frammentazione già prodotta da trent’anni di lavoro ideologico della controrivoluzione neoliberale, è necessario opporre una spinta contraria nella società che porti alla ricomposizione. Un risultato che solo l’organizzazione può costruire.  

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