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Lombardia e Wuhan davanti al Covid-19. Un confronto

Al 22 marzo 2020, le popolazioni di Cina e Italia ammontano rispettivamente a 1.38 miliardi e 60.5 milioni di persone – la prima ha cioè una popolazione quasi 23 volte superiore alla seconda. Sebbene il virus denominato COVID-19 sia comparso sul territorio cinese con largo anticipo rispetto a quanto avvenuto su quello italiano, le vittime in Cina ammontano 3.261, mentre in Italia a 4.825.

Tuttavia, per una comparazione più accurata, conviene focalizzarsi su quanto sta avvenendo all’interno degli epicentri dell’epidemia, ossia nella città di Wuhan, nella provincia della Hubei, e l’intera Lombardia. Da un punto di vista demografico, infatti, le due aree hanno una popolazione piuttosto simile: 11,08 milioni a Wuhan contro i 10,04 milioni in Lombardia. Va inoltre notato che quest’ultima ha una superficie quasi tre volte superiore – e quindi è plausibile assumere che il rischio di contagio sia potenzialmente inferiore.

Nonostante ciò, la velocità della diffusione e la fatalità del ‘coronavirus’ pare colpire con maggiore ferocia la regione italiana: dopo circa un mese dal primo caso, le vittime residenti sul territorio lombardo sono 3.095 (dati del 21 marzo 2020). Al contrario, i decessi documentati a Wuhan dovuti al COVID-19 si fermano a 2.504, sebbene l’epidemia si sia sviluppata con largo anticipo.

Quello che è importante notare è la tendenza in atto: al termine di un trend discendente nel numero dei contagi da ormai 4 settimane, negli ultimi tre giorni (19-21 marzo) non sono riportate vittime nella città cinese. In aggiunta, nessuno tra il personale medico-sanitario pare avere contratto il virus, non solo a Wuhan, ma in tutta la regione dello Hubei (in tutto, circa 40.000 lavoratori) nelle ultime settimane.

Al contrario, negli ultimi giorni si è assistito ad una drammatica escalation in Lombardia, con oltre duemila vittime, e con centinaia di contagiati tra medici, tecnici e infermieri.

La strategie di azione contro il COVID-19 a Wuhan e in Lombardia

Assunto che gli stock iniziali di strutture ospedaliere esistenti, tecnologia e personale medico per abitante siano piuttosto simili (e quindi, la capacità di cura nei due contesti sia comparabile), la divergenza dell’impatto dell’epidemia va ricercata primariamente nelle differenti strategie adottate dai decisori politici locali.1

Ci riferiamo alla scelta adottata dal Partito Comunista Cinese (PCC) di attuare il cosiddetto ‘lockdown’ (blocco) della quasi totalità di attività presenti a Wuhan, già a partire dal 23 gennaio 2020, ossia 12 giorni dopo il primo decesso ufficialmente causato dal COVID-19.

Formalmente, anche il governo italiano ha percorso una via simile, anche se con un certo ritardo – vale a dire 20 giorni dopo il primo caso riconosciuto, e con l’aggravante di possedere già una piena informazione circa gli effetti devastanti di questa forma di polmonite, specie per i soggetti più deboli della società.

Ad ogni modo, in entrambi i territori sono state implementate misure volte alla cancellazione di eventi, la richiesta di non lasciare le proprie abitazioni per minimizzare il rischio di contagio, e la chiusura di scuole.

Vi è una importante differenza però: la chiusura totale delle attività produttive, e con essa il blocco del trasporto pubblico locale così come il divieto totale di fuoriuscita dal territorio cittadino – provvedimenti attuati unicamente a Wuhan.

Nel momento in cui si stende questo articolo, il presidente del consiglio italiano ha annunciato, dalla solennità di un famoso social media, l’imminente chiusura di attività ‘non essenziali’, senza tuttavia entrare nel merito della questione.2

In ogni caso, la scelta di replicare il ‘modello Wuhan’ pare essere stata scartata immediatamente dai policy maker italiani, sia a livello nazionale sia a livello locale, tant’è che in Lombardia (come nel resto d’Italia) pare esserci una discrepanza tra le misure (e il clima) di emergenza che limitano la vita dei cittadini sul versante sociale, e la ‘normalità’ che vige sul versante produttivo.

Ipotizzando che il COVID-19 mantenga intatta la propria carica virale dalle 8 di mattina alle 6 di sera, e che le guardie che popolano i luogo di lavoro non abbiano competenze epidemiologiche superiori a quelle dei virologi, la natura sociale della produzione tende così ad incrementare il numero di persone contagiate, che a loro volta diffondono il virus all’interno dei loro nuclei familiari. Non solo.

L’incongruenza tra la stretta regolamentazione cui è sottoposta la vita sociale e familiare, da un lato, e professionale dall’altro, può anche minare il consenso sociale verso i provvedimenti presi dal governo e volti a minimizzare i rischi di contagio, in quanto gli individui sono di fatto incentivati a sottostimare la pericolosità del virus.

Il contesto produttivo della Lombardia e della città di Wuhan

Tornando ai differenti gradi di severità del ‘lockdown’ in Cina e in Italia, va notato che l’ostinazione delle imprese lombarde di continuare le loro attività produttive non può essere ricondotta a una divergenza di valutazioni circa l’impatto economico del ‘lockdown totale’, rispetto alle valutazioni compiute dalle controparti cinesi.

Sia la Lombardia che Wuhan infatti, rappresentano i poli manifatturieri, commerciali e logistici dei rispettivi paesi: per quanto riguarda la regione italiana, essa produce oltre il 20 percento del PIL italiano. Dal punto di vista dell’importanza dei segmenti produttivi, circa la metà dell’output lombardo proviene dal settore industriale e delle costruzioni (27.2 percento), e dal commercio, trasporti e magazzinaggio, e comunicazioni (25.2 percento)3.

Benché in termini relativi ricopra un peso inferiore all’interno della Cina, anche la città di Wuhan costituisce un centro nevralgico per l’economia nazionale, essendo il polo di una delle attività a più alto valore aggiunto come l’industria automobilistica – con giganti asiatici come Honda, Hyundai e Nissan che da tempo hanno stabilito impianti produttivi all’interno della città.4

Più in generale, nell’ultimo trentennio la città si colloca tra i primi tre posti in termini di crescita del PIL a livello nazionale, divenendo uno dei principali centri manifatturieri, scientifico-tecnologici e commerciali dell’intera Cina.

L’efficacia del lockdown totale in Cina

Nonostante la centralità occupata dalla città di Wuhan all’interno della vita economica del paese, le autorità non hanno esitato ad imporre il blocco delle attività produttive e dei trasporti una volta avuta la certezza della letalità della COVID-19. Questo provvedimento pare abbia giocato un ruolo chiave nel ridurre la velocità di diffusione del virus, e il suo definitivo annichilimento.

Come si può notare dalla figura sottostante, due settimane dopo l’annuncio di totale ‘lockdown’ compiuto il 23 gennaio, il tasso di crescita dei nuovi casi a Wuhan ha subito un deciso rallentamento, passando dal picco di 12 mila infetti giornalieri del 12 febbraio a circa 100 della settimana successiva. Il numero di pazienti colpiti da COVID-19 ha iniziato progressivamente a scendere dopo il 18 febbraio, mentre dopo il 18 marzo 2020 non si registrano più decessi. Essendo il fulcro dell’epidemia, la caduta del numero dei contagi e dei decessi a Wuhan ha così trainato i dati aggregati, al punto che nell’ultima settimana le nuove persone contagiate presenti sul territorio cinese provengono quasi interamente da altri paesi.

Casi di Covid-19 nella citta di Wuhan, Hubei and in Cina.

Fonte. National Health Commission of the People’s Republic of China

Non è peregrino pensare che la decisione governativa di chiudere gli stabilimenti abbia contribuito ad attivare un circolo sociale virtuoso, mobilizzando il consenso dei cittadini cinesi verso l’adozione di comportamenti responsabili, ossia tendenti alla minimizzazione dei contatti sociali (e pertanto circoscrivendo la diffusione dell’epidemia).

In Lombardia, il numero di casi positivi ha ormai superato la doppia cifra già dall’inizio della settimana scorsa, mentre il numero di decessi non conosce rallentamento alcuno.5 Nonostante l’evidenza mostri come il blocco totale delle attività produttività sia la carta vincente nella lotta contro al COVID-19, le autorità italiane e lombarde sono ancora oggi ostaggio delle associazioni d’interessi delle imprese, per le quali la difesa della salute pubblica non pare essere l’obiettivo da massimizzare.

Conclusione

La straordinaria efficacia mostrata dalla città di Wuhan in particolare, e dalla Cina in generale, nel contenere la diffusione del COVID-19 impone una seria riflessione circa le ragioni di tale successo – tanto più se paragonato all’attuale situazione in Lombardia e in Italia la quale, con una popolazione di oltre venti volte inferiore e un livello di sviluppo sensibilmente superiore (almeno comparando il reddito pro-capite), ha già sofferto un numero di decessi maggiore rispetto a quello cinese.

Le misure draconiane adottate dal Partito Comunista Cinese segnalano una certa indipendenza dei decisori politici dalle esigenze di massimizzazione di profitto del sistema delle imprese. Di fatto, la totale chiusura degli impianti produttivi accompagnata dal sostegno al reddito ai lavoratori, la limitazione dei trasporti e delle attività commerciali nelle zone maggiormente colpite hanno fornito un contributo decisivo all’isolamento dei focolai virali.

Sebbene il prezzo da pagare in termini economici sia stato mastodontico,6 questa strategia ha scongiurato la veloce diffusione dell’epidemia su tutto il territorio nazionale. L’attuale incapacità di replicare tali misure nel mondo occidentale, Italia compresa, evidenzia cioè il diverso peso dell’influenza delle organizzazioni imprenditoriali sulla sfera politica nel mondo capitalisticamente avanzato.

L’identificazione di tale divergenza conduce a due conclusioni: da un punto di vista della pratica politica, va supportato il blocco della produzione, della logistica, dei trasporti ed in generale di tutte le attività non strettamente essenziali alla riproduzione della classe lavoratrice. Nel frattanto, è necessario premunirsi affinché i costi di queste misure non vengano su di essa scaricati.

Da un punto di vista della lotta ideologica, è auspicabile un profondo ripensamento riguardo la natura del modello cinese, il quale è stato (forse troppo frettolosamente?) tacciato come neoliberale o comunque totalmente asservito agli interessi del capitale nazionale e transnazionale.

* Docente universitario di economia politica in Islanda.

1 Si specifica stock ‘iniziale’ perché, in realtà, nelle immediatezze dello scoppio dell’epidemia nella città di Wuhan sono stati edificati due ospedali con un totale di 2600 posti netto nel giro di poco più di una settimana, oltreché creati 16 ospedali temporanei con circa 13000 posti letti. Ad oggi 22 marzo 2020, nessun nuovo ospedale è stato edificato né in Lombardia né in Italia, se non qualche ‘ospedale’ da campo, o di fortuna.

3 Le statistiche provengono dal report pubblicato dall’ISTAT denominato “Anno 2017. Conti economici territoriali”. Vedi qui: https://www.istat.it/it/files/2018/12/Report_Conti-regionali_2017.pdf

4 Wuhan ha beneficiato di un impetuoso sviluppo fin dai primi anni ‘90, dopo che il Partito Comunista Cinese l’ha scelta come ‘città pilota’ per un comprensivo piano di riforma improntato all’apertura e l’attrazione di investimenti esteri. Fin dal decennio successivo, il tasso di crescita dell’economia cittadina supera mediamente il 16 percento.

5 Tra l’altro, l’incompetenza esibita del mondo politico non ha certo costituito un esempio responsabile, tanto che a livello sociale si è passati immediatamente da un clima di assoluta tranquillità al panico quasi generalizzato con tanto di corsa ai treni, supermercati, e in generale all’assembramento di massa in luoghi chiusi, con tutti i rischi che ciò implica in termini di diffusione degli agenti patogeni.

6 Nei primi due mesi del 2020, i consumi privati e gli investimenti in Cina hanno visto un crollo in termini reali rispettivamente del 23.7 percento e del 24.5 percento su base annua (National Bureau of Statistics of China).

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