La sequenza di morti sul lavoro si allunga quotidianamente, lo stesso INAIL ne certifica da alcuni anni un aumento costante e consistente, segno evidente che lo sfruttamento avanza, che le condizioni di lavoro peggiorano ogni giorno di più e che la normativa in vigore e le sanzioni in essere non sono assolutamente in grado di fermare questa vera e propria valanga di omicidi sul lavoro.
Quindi c’è bisogno di individuare strumenti ulteriori che inducano il padronato ad adottare vere misure a tutela dell’integrità fisica dei propri dipendenti e a rispettare le norme già in vigore.
Per le morti da incidenti stradali il Parlamento ha individuato quattro anni fa uno strumento repressivo molto forte istituendo il reato di omicidio stradale da attribuire a coloro che, nella guida, provocano la morte di altre persone per colpa grave, cioè guida in stato di ebbrezza, sotto l’effetto di droghe eccetera.
Perché allora non ipotizzare analogamente l’istituzione del reato di omicidio sul lavoro, prevedendo cioè – similmente all’omicidio stradale – una fattispecie autonoma di reato, e non più quindi soltanto una fattispecie aggravata dell’omicidio colposo semplice?
La previsione di una fattispecie autonoma di reato evidenzierebbe l’importanza per il sistema della necessità di tutela della vita e della sicurezza dei lavoratori e l’estrema rilevanza della necessità di contrastare in ogni modo la mancata attuazione delle disposizioni normative esistenti a tutela dell’incolumità del lavoratore. L’allarme sociale che le morti sul lavoro devono determinare non può essere inferiore a quello delle stragi dovute alla circolazione di veicoli.
Va considerato anche che la legge 41 del 2016, istitutiva del reato di omicidio stradale, ha anche inserito un complesso sistema di circostanze aggravanti in presenza di specifiche condizioni (stato di ebbrezza del guidatore, particolari infrazioni, pluralità degli omicidi, fuga dell’investitore) e che invece l’attuale disciplina sanzionatoria prevede, per l’omicidio colposo commesso con violazione delle disposizioni in tema di sicurezza sul lavoro, la stessa pena prevista (da due a sette anni) per l’omicidio stradale, senza ulteriori specifici aggravamenti dovuti a violazioni delle disposizioni antiinfortunistiche particolarmente gravi e reiterate.
Dov’è la differenza con l’omicidio stradale? Forse sta nel fatto che in materia di lavoro si mettono in discussione i margini di utile dei datori di lavoro che dovrebbero investirne una quota per adeguare gli impianti, garantire i Dispositivi di Protezione Individuali e tutte le altre previsioni di legge, certamente onerose ma indispensabili alla salvaguardia della vita umana.
L’impennata di morti sul lavoro dovuta al presentarsi del virus Sars Cov-2 che provoca l’epidemia di Covid-19, in particolare tra il personale sanitario ma non solo, è principalmente dovuta alla mancata attuazione da parte dei datori di lavoro delle prescrizioni in ordine alla fornitura di Dispositivi di Protezione Individuale nelle quantità e forme previste espressamente dalle leggi in vigore, dalla pervicace insistenza a mantenere aperte fabbriche e uffici non indispensabili ai fini del contrasto sanitario al virus o degli approvvigionamenti essenziali.
È possibile ipotizzare, davanti ad una vera e propria strage come quella a cui stiamo assistendo, che una consistente parte dei decessi che il coronavirus ha determinato potevano essere evitati se i datori di lavoro avessero garantito a tutti i lavoratori e le lavoratrici le tutele e le protezioni indispensabili previste dalla legge?
È venuto il tempo di mettere ciascuno di fronte alle proprie responsabilità, se si è soggetti attivi nel provocare le condizioni per la morte di un lavoratore nei luoghi di lavoro, allora si deve essere considerati assassini, così come avviene se si ha un comportamento attivo nel provocare un incidente stradale che porta alla morte di qualcuno.
La USB ritiene che l’assenza della previsione del reato di omicidio sul lavoro e delle sue connesse conseguenze a rilevanza penale, così come avviene per l’omicidio stradale, abbia favorito un atteggiamento fino ad oggi assolutamente insufficiente da parte dei datori di lavoro nel garantire la tutela della vita dei lavoratori e delle lavoratrici che deve essere duramente sanzionato e represso con l’accusa di omicidio sul lavoro, non un nuovo reato ma la certificazione di un reato esistente da quando esiste lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
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