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Fase 2 Emilia Romagna: Fermiamo Confindustria e Autonomia Differenziata

Come scritto a inizio mese nel documento del Coordinamento Nazionale di Potere al Popolo, siamo di fronte a un momento drammatico nella storia mondiale e nella vita del nostro paese, ma anche a un possibile punto di svolta (leggi qui l’analisi completa https://bit.ly/2XRvbmV).

Abbiamo iniziato a contare innumerevoli morti e ancora non abbiamo finito, abbiamo visto le vite di tutti noi stravolte, ma le disuguaglianze sociali sono emerse fortissime negli strumenti per reagire alla crisi, abbiamo visto i militari nelle strade, la natura di classe dell’Unione Europea calare la maschera, la sanità e il servizio pubblico tornare al centro del dibattito, la questione operaia riemergere dall’oblio a cui qualcuno sperava di averla condannata.

Lo scacchiere internazionale non uscirà uguale a se stesso da questa crisi, e come il padronato si mostra disponibile a scelte spietate allo stesso tempo l’ipotesi di una rottura con le compatibilità dell’attuale sistema trova forza guardando all’esempio di modelli sociali alternativi.

In questo contesto, si prepara la cosiddetta “fase 2”. Si prospetta una “ripresa” non pianificata in base alla diffusione del virus nelle varie regioni e aree produttive, ma in balia della “concorrenza” folle di decisioni regionali contraddittorie tra loro, sotto la pressione congiunta di imprese che pensano solo a limitare i danni del (poco applicato) lockdown, e che mettono dunque nel conto una forte ripresa della pandemia, con una classe politica incapace di pianificare un progetto di lungo respiro alla luce delle previsioni di pesante recessione economica cui va incontro l’economia mondiale. A

tal punto che la fase 2 è già iniziata nei fatti, senza regolamentazione e senza alcuna decisione omogenee. Abbiamo già visto nei giorni scorsi i dati ISTAT secondo cui due terzi circa dei lavoratori in Emilia Romagna sono a lavoro, circostanza confermata dal prefetto di Bologna che vanta come migliaia di imprese abbiano già riaperto senza nessun sopralluogo, avvantaggiandosi del folle meccanismo delle deroghe consentito dal Dpcm.

Il famigerato Fontana, sotto i cui colpi sono stati affossati la popolazione e i lavoratori della Lombardia, giustifica le sue spinte alla riapertura dicendo che, appunto, anche l’Emilia Romagna in sordina ha già imboccato da tempo questa strada.

Nonostante la nostra regione sia la seconda più colpita dal virus, le pressioni degli industriali non hanno mai davvero fermato la produzione, anche il commissario regionale Sergio Venturi ammette che a Piacenza si sarebbe dovuto agire prima, col risultato che nel piacentino, nella terra della logistica, c’è un disastro paragonabile a quello lombardo.

La Confindustria dell’Emilia Romagna è tra le più agguerrite sulla volontà di ripartenza sregolata, come è stata firmataria della vergognosa lettera sottoscritta assieme alle altre 3 associazioni gemelle delle altre regioni del Nord più colpite dall’epidemia, e come il suo stesso presidente si è incaricato di ribadire a mezzo stampa dando voce ai vari Claudio Domenicali (a.d. Ducati): senza vergogna, minacciano disoccupazione di massa coscienti che l’amministrazione pubblica non riesce a trovare i soldi per gli ammortizzatori sociali necessari.

Dando fuoco alle polveri, lo stesso Bonaccini non ha avuto remore a rilasciare dichiarazioni degne del peggior leghista: aggiungendosi alla lunga lista di chi individua nuove categorie di servi della gleba per far marciare l’agricoltura, insieme a Gori, Bellanova e Coldiretti, propone la soluzione di mandare nei campi le decine di migliaia di persone che percepiscono il reddito di cittadinanza in Emilia Romagna “per restituire un po’ quello che prendono”.

Nella proposta di Bonaccini non c’è neanche una parola dedicata alle condizioni di lavoro nei settori a basso reddito e nell’agricoltura (nonostante sia di questi giorni la notizia dell’ennesimo caso di caporalato nel ravennate), ma si legge tutto il disprezzo per chi percepisce il reddito di cittadinanza senza chiedersi come mai siano così tanti e come fare fronte a un prevedibile aumento del disagio sociale nei prossimi mesi.

Intanto, anziché spingere perché lo Stato centrale stanzi fondi sufficienti per rispondere alla domanda di reddito per i giovani che svolgono lavori precari nella nostra regione, asseconda la scelta governativa di elargire mance distribuendo qualcosa a medici e infermieri, senza che il personale sanitario sia mai stato messo nelle condizioni per lavorare in piena sicurezza durante l’epidemia, vessato in condizioni infernali durante questa crisi dopo anni in cui la regionalizzazione di quello che era il SSN ha comportato tagli, privatizzazioni ed esternalizzazioni.

Il regionalismo sta mostrando tutta la sua dannosità in questa crisi in cui servirebbe un piano omogeneo e coordinato, e qualcuno inizia finalmente a metterne in discussione il paradigma quando però non più tardi di due mesi fa Bonaccini rilanciava la partita per accelerare il percorso della autonomia differenziata.

La destra e la sinistra dell’arco parlamentare, e le loro rappresentanze locali, stanno dimostrando esattamente quello che abbiamo sempre detto, comportandosi come due facce della stessa medaglia. La mancata pretesa di ammortizzatori sociali degni di questo nome, e il gioco della parti nella vicenda della distribuzione degli insufficienti buoni pasto ne sono stati un’ulteriore conferma.

Da una parte ci sono stati i sindaci della Lega che come a Ferrara hanno cercato di gestire la distribuzione con un criterio di aperta discriminazione.

Misure che andavano invece estese a tutti i bisognosi, ma che per tutti non sono bastate: e cosa hanno fatto i sindaci “di sinistra”? Hanno chiesto più fondi?

No, hanno sporcato la bandiera antifascista che come al solito per loro esiste solo e soltanto sui moduli dei comuni. Intanto in Parlamento PD e Lega hanno proposto lo scudo penale proprio per tutelare le responsabilità dei loro amministratori locali, mentre di fronte alla crisi economica e sociale che scaturirà da questa epidemia non sembra esserci alcuna volontà di frenare la svolta repressiva nei confronti degli ultimi e della popolazione, come la situazione delle carceri la colpevolizzazione dei comportamenti individuali ci stanno ben dicendo in questi mesi anche nella nostra regione.

È alla luce di tutto ciò che si avvia davanti a noi la “fase 2” in Emilia Romagna. Nelle faglie sociali e politiche che si apriranno come Potere al Popolo non saremo disposti a tirarci indietro, coscienti che sarà nostro compito fare in modo che la voce dei lavoratori che hanno vissuto sulla propria pelle il significato del trattamento come cittadini di serie B va saputo raccogliere da una forza politica in grado di ascoltarla, coscienti che non potremo permettere all’attuale classe dirigente di lavarsi i panni sporchi in casa garantendosi che nella cabina di regia cambi poco o nulla e che la strada intrapresa sia confermata quanto e più di prima, un baratro di precarietà, smantellamento di diritti e di democrazia magari con una spolverata di welfare con il contagocce.

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Giovedì 23 aprile, ore 18.00
diretta sulla pagina FB Potere al Popolo Emilia-Romagna

introduce: PAP Emilia-Romagna

ne parliamo con:

WalterConiare Rivolta
Lottare per la redistribuzione della ricchezza fuori dai vincoli UE

Marco Bersani – Attac Italia
Autonomia regionale? È ora il momento di bloccarla!

Federico Fornasari – USB Unione Sindacale Di Base pag. nazionale
Costruire la resistenza dei lavoratori al padronato, pretendere la pubblicizzazione dei settori strategici dell’economia

Barbara GhermandiBlocco affitti e utenze – gruppo di coordinamento nazionale
Welfare e reddito per tutti

Bianca Ted – Potere al Popolo – Milano
Commissariare la regione Lombarda, fermare la classe dirigente del Nord Italia

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