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Quei nazisti scervellati di Confindustria

Per una volta prendiamo un lancio d’agenzia – dall’Agi – che per quanto ben fatto omette molte considerazioni che potrebbero gettare luce sulla situazione dell’economia. Italiana, in questo caso, anche se ovviamente legata alla situazione mondiale.

La prima considerazione – omessa – è che la gravità del crollo della produzione (del Pil sbrigativamente) è in proporzione inversa con l’efficacia del contrasto all’epidemia. Più errori sono stati fatti, insomma, più si paga.

E di errori ne sono stati fatti molti. Tutti per una sola ragione: sostenere il Pil e impedirne una caduta eccessiva.

Un paradosso? No, è la normalità, quando metti davanti l’interesse privato e sullo sfondo quello collettivo. “La madre di tutti gli errori” è stata messa in campo l’8 marzo, quando – invece di blindare alcune zone limitate delle aree industriali (a cominciare dalla Val Seriana, oggi primatista mondiale di contagiati e morti rispetto alla popolazione), dichiarandole “zona rossa” – si è fatto l’esatto opposto.

Si è infatti tolta la blindatura ai paesi di primo contagio (Codogno, Lodi, Casalpusterlengo, ecc) e si è dichiarata “zona arancione” tutta la Lombardia e altre 14 province. Ma “zona arancione” non significa un tubo, nel contrasto a un virus. Perché non c’è alcun blocco della circolazione all’interno dell’area e nemmeno tra questa e il resto del Paese.

Al massimo, arriverà la multa a chi dovesse essere fermato fuori da quella zona. E infatti migliaia di residenti in Lombardia, quella notte sono “fuggiti” verso il Sud, in treno o in auto.

L’abbiamo scritto subito: in questo modo si permetteva al virus di girare liberamente. E il risultato sarebbe stato un crollo molto più accentuato del Pil. Virologi di grande esperienza, come il prof. Massimo Galli dell’ospedale Sacco di Milano, si sgolarono inutilmente contro quella decisione.

L’agenzia Agi, oggi, ci dice che “La produzione industriale italiana è in picchiata e peggiorerà ancora ad aprile: gli effetti sul Pil 2020 saranno devastanti, anche se si può immaginare un rimbalzo. In questo quadro è indispensabile che lo Stato italiano sostenga la domanda, che registra un inevitabile crollo, dal momento che i consumatori subiscono il taglio dei redditi o in ogni caso sono frenati nei consumi dalla mancanza di fiducia. Questa l’analisi di economisti e centri studi”.

Si potrebbe dire, più precisamente, che stando chiusi in casa i consumi si riducono per condizione oggettiva. Perché oltre ad alimentari e farmaci, prodotti per la casa e poco altro, davvero non c’è bisogno di molto. Basta guardare i consumi di carburante – e dunque le vendite di auto, le riparazioni, ecc – per avere un’idea di un “crollo dei consumi” dovuto non tanto alla psicologica “sfiducia” quanto alla concretissima “inutilità”.

Ma andiamo avanti…

La perdita attesa nel II trimestre del 2020 è pari al 28% e l’impatto sul Pil della sola caduta della manifattura sarà nell’ordine del 5%, cui andranno sommate le contrazioni di altri settori come quello delle costruzioni e, in particolare, dei servizi. Il rimbalzo nei mesi successivi sarà “molto deciso”, pari all’84% a maggio e al 20,6% a giugno, ma “recupererà solo parzialmente le perdite subite“.

E’ matematico. Ma anche fisico. La “riapertura” non può essere un immediato ritorno alla “normalità”, e non solo perché il virus è ancora felicemente qui tra noi, pronto a ricominciare a far strage.

Molta gente non ha una lira da spendere, parecchie imprese non riapriranno, o quantomeno non con la stessa quantità di personale; il turismo e tutto il suo sterminato indotto resterà fermo a lungo, e comunque non riprenderà fiato se non molto dopo la sconfitta dell’epidemia a livello planetario (mica si crederà davvero che si possano sostituire i 50 milioni di visitatori annui con il solo turismo interno, no?).

E tutto perché i pezzi forti di Confindustria, soprattutto i para-nazisti di Assolombarda (quelli che hanno imposto anche il nuovo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi) sono riusciti a “convincere” il governicchio” in carica a non bloccare nulla. Almeno fino a quando non è stato obbligatorio far chiudere la gente in casa in tutta Italia, ma non i lavoratori che dovevano far marciare comunque il Pil della grandi e piccole imprese del nord.

Se la Lombardia paga prezzo con il 50% dei morti italiani, lo deve esclusivamente al proprio ceto “imprenditoriale”, che aveva oltretutto già provveduto a smantellare la sanità pubblica, come si è visto nei momenti topici, con le terapie intensive costrette a scegliere chi provare a salvare e chi no.

Adesso quella “furbata” – strattonare il governo e continuare a cercare di produrre anche nel pieno dell’inferno – si rivela una boiata pazzesca, un suicidio (solo economico) anche per chi l’ha pretesa con toni sbrigativi, minacciosi, “dirigenziali”.

Gli stessi toni usati ora per chiedere che i (non molti) soldi da distribuire per rimettere in moto l’economia vadano… soltanto alle imprese, che “sanno cosa fare”, perché “i posti di lavoro li creano le imprese” e altre stronzate piccole e grandi che ci appestano la vita da decenni.

Neanche davanti al disastro da loro creato riescono a trovare l’attimo per tirare il fiato, riflettere e finalmente tacere.

Anzi, pretendo una dose maggiore della stessa droga che ci ha portato tutti a questo punto. Noi più poveri e malmessi, loro come prima e forse anche meglio.

La genialità dei nostri “imprenditori” si vede anche da questo: nel momento in cui il commercio internazionale si è praticamente fermato, pretendono di comprimere ancora di più i salari e i redditi. Come se potessero davvero “vivere di esportazioni” (a chi? Ma soprattuto “e quanto?), invece che cercare almeno respiro nella “domanda interna”.

Per la quale, però, serve che ci siano consumatori con qualche soldo in tasca…

Nazisti liberisti che si sono bevuti il cervello.

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