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Chiacchierate della Fase 2. Giovanni Pagano

Incontriamo Giovanni Pagano, attivista sociale ma anche uno dei responsabili della Federazione del Sociale USB.

E’ iniziata la cosiddetta Fase 2 della crisi pandemica. Siamo immersi in una società particolarmente stressata/provata da una condizione di vita inedita e – soprattutto – dal palesarsi di stringenti problemi derivanti dalla crisi economica incalzante. Come hai vissuto l’impatto con questa pandemia e cosa hai registrato di particolarmente significativo nelle lunghe settimane di lockdown?

Uno degli elementi che sicuramente mi ha più colpito è il panico sociale che ha attraversato queste due settimane, che si è concretizzato in un’autodisciplinamento che forse non si era mai visto nella recente storia repubblicana.

La paura del virus e la retorica “da guerra” ha costruito un contesto nel quale le persone si sono immedesimante nell’azione di governo, in maniera completamente acritica, diventando loro stesse vettori del controllo sociale.

E’ sicuramente vero che una parte importante della popolazione ha agito per senso di responsabilità nei confronti della collettività, dimostrazione ne è anche il grande ruolo della solidarietà e del mutualismo nella tenuta rispetto alla crisi economica, però non si può restare indifferenti davanti al fatto che nonostante le condizioni di estrema povertà di migliaia di persone e l’incessante avanzare della crisi economica, l’attenzione dell’opinione pubblica si sia concentrata su i runner o su chi passeggiava vicino casa, invece di guardare all’assenza di misure economiche o allo stato penoso della sanità pubblica.

Dal tuo osservatorio – nella metropoli partenopea – cosa hai colto dal punto di vista degli effetti sociali sulla città e sui settori popolari investiti dal precipitare di queste nuove contraddizioni che stanno modificando le condizioni di vita e di lavoro di milioni di persone?

La città si appresta a vivere anni terribili. Napoli e la Campania non erano ancora uscite dalla crisi del 2008-2010, questa pandemia è una tragedia che sarà impossibile affrontare con le ricette economiche che hanno già ampiamente fallito in questi anni.

Le misure di sostegno ai lavoratori e alle famiglie stentano ad arrivare, interi settori dell’economia meridionale sono destinati a soccombere, come il turismo, la ristorazione o la cultura.

Purtroppo non è andato tutto bene o per lo meno non per tutti.

Se non ci saranno risposte adeguate, e mi sembra evidente che ne dal Governo nazionale ne tanto meno dall’Unione Europea arrivino segnali confortanti, nei prossimi mesi ci saranno migliaia di licenziamenti.

Molti di più di quelli che abbiamo già visto 10 anni fa, con la crisi finanziaria, voglio ricordare che in Campania tra il 2008 e il 2017 si sono persi circa 200.000 posti di lavoro, con un aumento dei tassi di emigrazione che non si vedevano da oltre 30 anni.

In città c’è una cupa consapevolezza di questa condizione, soprattutto tra le fasce popolari, la speranze è che questo sentimento possa trasformarsi in azione e rivendicazione.

Il Governo Conte ha varato alcuni provvedimenti di “impatto sociale” per arginare la crisi e le tensioni sociali. Come valuti tali pacchetti legislativi e che ricaduta avranno nei territori meridionali già lungamente penalizzati dai dispositivi di differenziazione/spoliazione che da lungo tempo vivisezionano il Sud d’Italia?

Non voglio sembrare retorico con questa affermazione, ma per il Sud non è nulla.

I DPCM sono cuciti sull’economia centro settentrionale, che nei fatti non si è mai fermata, grazie al gioco dei Codici Ateco e del silenzio assenso.

Questa crisi poteva essere un’opportunità per colmare il gap ultra centenario che esiste tra Nord e Sud, ma ancora una volta la volontà politica è stata un’altra.

Le Regioni meridionali,seppure con numeri di contagio lontanissimi dalle regioni più colpite hanno dovuto aspettare i tempi e i modi “nazionali” per riprendere le attività o programmare il futuro di convivenza con il Covid.

Sul fronte delle misure economiche, se si esclude la CIG che comunque incide molto di più sul centro Nord, al Sud si può dire che non sia arrivato nulla.

I Bonus Spesa sono un’elemosina non sufficiente neanche a coprire una piccola parte della platea di nuovi poveri che ormai avanza sui nostri territori, il REM è un pasticcio politico segno che questo governo tiene al suo interno forze diametralmente opposte che si tengono insieme solo grazie al consenso dovuto alla crisi sanitaria.

L’accesso al credito per le piccole imprese è connesso al sistema bancario che come sempre fa prevalere i propri interessi, rifiutando prestiti a chi è più esposto economicamente aprendo, quindi, le porte alla malavita e all’usura.

Non ci sono accenni al blocco di utenze o a misure sugli affitti e intanto crescono le fila davanti ai Compro Oro o ai Banchi dei Pegni.

Nei prossimi mesi molti comuni meridionali che sono in dissesto o in pre-dissesto dovranno presentare i propri bilanci, visto il mancato incasso delle tasse dovuto dall’impossibilità per molti di pagare le imposte, con il rischio di vedere tutti finire sotto la scure della Corte dei Conti e dei Commissariamenti.

L’art.81 della Costituzione va sospeso anche per gli enti locali, che devono fare spesa in deficit per garantire i servizi sociali, senza che questo indebitamento ricada sulle spalle delle future generazioni.

Che attività hai svolto – avete svolto -in questi mesi e di che indirizzo progettuale e programma d’azione deve dotarsi una moderna forma di Confederalità Sociale/Sindacalismo Metropolitano che vuole interpretare una funzione di ricomposizione delle diverse figure sociali con cui oggi si articolano le forme dello sfruttamento capitalistico?

Abbiamo provato innanzitutto a mettere su un piano di mutualismo e di solidarietà verso le famiglie e i lavoratori più esposti alla marginalità sociale, con delle collette on line per consegnare veri e propri pacchi spesa, spesso sostituendoci alle istituzioni locali completamente incapaci di far fronte all’enorme richiesta di aiuto che arriva in questo momento.

Stiamo provando a mettere insieme questi soggetti, molti dei quali vengono dal lavoro autonomo o dal ceto medio, per costruire un’Inchiesta Sociale che ci chiarisca meglio le prospettive sulle quali provare a intervenire nei prossimi mesi.

E’ una fase molto complessa, si affacciano al mondo del Sindacalismo Sociale soggetti che fino a ieri non avrebbero mai pensato di doverlo fare: lavoratori dello spettacolo, dello sport, operatori del terzo settore, ambulanti, mercatari, partite Iva e titolari di piccole attività commerciali.

L’obiettivo è quello di costruire delle rivendicazioni che ricompongano questo tessuto estremamente frammentato, per provare a rompere il muro di gomma che in questi anni è stata eretto attorno al tema del cambiamento radicale della nostra società.

Sicuramente il tema dell’estensione del Reddito di Cittadinanza e l’eliminazione dei suoi odiosi paletti (base familiare, Isee, patrimoni mobiliari) può essere un elemento di ricomposizione; però in questo momento tutti abbiamo la responsabilità storica di mettere al centro il fallimento di un modello produttivo, che ci ha mostrato quanto fragile sia sistema nel quale viviamo e che ci hanno spesso spacciato come perfetto e immutabile.

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