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Quarant’anni fa la morte delle braccianti di Ceglie. Sembra oggi

I problemi non risolti nelle campagne italiane.

All’alba del 19 maggio 1980 un furgone Ford Transit che percorre la Brindisi-Taranto azzarda il sorpasso di un camion con rimorchio. La manovra non riesce: tre passeggere sedute sul lato destro muoiono. Si tratta di Pompea Argentieri, Lucia Altavilla e Donata Lombardi.

Hanno rispettivamente sedici, diciassette e ventitré anni. Sono braccianti, che ogni giorno si mettono in viaggio da Ceglie Messapica (provincia di Brindisi) per andare a lavorare nel Metapontino, a Scanzano Ionico, in Basilicata.

Sono circa centoquindici chilometri di distanza, un viaggio che inizia ogni giorno prima dell’alba e finisce prima di cena. Ricevono una paga bassa, spesso meno della metà di ciò che prevede la legge. A questa paga devono poi togliere il prezzo del trasporto, da girare ai caporali. L’incidente provoca le proteste della popolazione: il giorno seguente una giornata di sciopero blocca Ceglie Messapica.

Oggi si parla molto di caporalato. In genere il tema viene forzato alle convenienze degli opinionisti di turno, che si preoccupano per qualche attimo delle condizioni di lavoro dei braccianti e poi si girano dall’altra parte, alla rincorsa di qualche altra emergenza da condividere.

In realtà, è sufficiente addentrarsi anche solo con un po’ di attenzione nei contesti sociali ed economici dove è attiva l’intermediazione irregolare di manodopera per capire che il caporalato è solo uno dei problemi.

Lo sfruttamento esiste anche dove la mediazione di manodopera è del tutto legale (con il tramite – oggi – delle agenzie interinali per esempio) ed è connesso ai rapporti di produzione, alle condizioni abitative, all’organizzazione delle filiere.

I fatti del 1980 ce lo insegnano. Le lavoratrici che si muovevano da Ceglie Messapica erano dirette a Scanzano Ionico, dov’era in pieno sviluppo la coltivazione delle fragole, una produzione che era stata impiantata una quindicina di anni prima in Basilicata e aveva conosciuto uno sviluppo eccezionale proprio nella seconda metà degli anni Settanta.

Servivano molte persone e il serbatoio cui attingere erano le zone collinari della Puglia, dove la disoccupazione e il bisogno di reddito spingevano tante e tanti a muoversi: i caporali esistono se ci sono imprenditori disposti a servirsene.

Alla strage delle braccianti seguirono anni durissimi. Le organizzazioni bracciantili di massa, come la Federbraccianti, faticavano a coinvolgere nelle loro strutture una forza-lavoro giovane e giovanissima, dove la componente femminile era molto forte.

La composizione sociale di quadri e dirigenti della Federbraccianti era espressione delle lotte dei decenni precedenti, che sembravano distanti anni luce. Le spaccature all’interno dello stesso lavoro bracciantile iniziavano ad approfondirsi. La generazione più anziana, protagonista delle vertenze degli anni Cinquanta e Sessanta, aveva ottenuto un sistema di garanzie che almeno in parte teneva a distanza l’influenza degli interessi criminali. Erano soprattutto lavoratrici e lavoratori ormai vicini alla pensione, che lavoravano senza spostarsi per centinaia di chilometri ed erano inquadrati in modo regolare, accedendo quindi alla previdenza e alla tutela che scattavano grazie al raggiungimento di un minimo di giornate lavorative annuali.

I più giovani e le più giovani non sempre erano contrattualizzate e per lavorare erano costrette a percorrere anche centinaia di chilometri al giorno, aumentando la funzione di mediazione affidata ai caporali, che garantivano il trasporto.

Le trasformazioni in senso intensivo avvenute nel mondo della produzione avevano aumentato in alcune zone i picchi di offerta di lavoro in determinate stagioni, convogliando grandi quantità di manodopera che andava però impiegata ampliando di molto il raggio d’azione dell’ingaggio: dalle province di Brindisi e Taranto si partiva all’alba verso il sud-est barese e verso il Metapontino, in Basilicata.

La disponibilità sul mercato di furgoni più moderni e meno costosi contribuì in modo determinante al nuovo ciclo di reclutamento, di cui uno degli emblemi fu proprio il Ford Transit, il furgone sul quale morirono le braccianti il 19 maggio 1980, protagonista di molti altri incidenti simili anche negli anni successivi.

Omologato per poter accogliere un massimo di nove passeggeri, veniva stipato fino al superamento della capienza oltre ogni limite, facendo salire a bordo anche trenta-quaranta persone. Il susseguirsi di incidenti tragici e il dilagare delle proteste portarono le regioni Puglia e Basilicata a introdurre linee di trasporto pubbliche per collegare le zone di reclutamento e quelle di lavoro.

Parallelamente la magistratura avviò le prime inchieste per perseguire l’intermediazione abusiva di manodopera, ma gli scontri non si fermarono. Poteva anche capitare che le lavoratrici che usavano le linee regionali venissero scartate e boicottate dai datori di lavoro: i caporali non esitarono a usare le pistole contro i sindacalisti e gli attivisti. Il potere degli intermediari si mantenne forte e radicato, anche se con alti e bassi venne contrastato costantemente dal mondo dei braccianti.

La questione delle condizioni di trasporto delle lavoratrici e dei lavoratori dei campi è ancora oggi uno dei nodi cruciali nelle zone a forte vocazione agricola. I viaggi collettivi sono spesso pericolosi e avvengono su vettori fatiscenti e carichi oltre misura.

Nel novembre 2012 sei lavoratori sono morti in un incidente in provincia di Cosenza. Nell’agosto 2018 in provincia di Foggia due incidenti avvenuti nel giro di quarantotto ore hanno causato la morte di sedici braccianti, solo per ricordarne alcuni tra i moltissimi.

Negli ultimi quarant’anni l’intero ventaglio dei problemi legati al comparto agricolo è stato caratterizzato da una tendenza sempre più forte e dilagante: la progressiva ritirata del settore pubblico di fronte alla mediazione tra domanda e offerta di lavoro, e più in generale nelle relazioni sociali ed economiche.

Reclutamento, collocamento, trasporto, condizioni alloggiative, mansioni, carichi di lavoro, ispezioni, trasparenza della filiera: le assunzioni di responsabilità da parte delle istituzioni competenti anche solo minime si strappano oggi soltanto grazie a lotte durissime.

Fortunatamente la determinazione delle persone che lavorano sulla terra resta una variabile ancora viva e capace di ottenere risultati importanti: sarà indispensabile continuare a tenere alta l’attenzione sul mondo delle campagne, anche a seguito del recente provvedimento di regolarizzazione.

Sarà necessario capire quali sono i soggetti in campo e quali interessi perseguono, nella prospettiva di consegnare definitivamente alla storia e non più alla cronaca episodi come quello del 19 maggio 1980.

* da NapoliMonitor

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