Incontriamo Giuliano Granato, candidato Presidente alla Regione Campania per la lista di Potere al Popolo, in uno dei suoi rari momenti in cui non è impegnato a girare come una trottola per il territorio. Giuliano e l’insieme della comunità di Potere al Popolo stanno conducendo una difficile ed anomala campagna elettorale contro avversari potentissimi che mettono in campo risorse economiche enormi ed una articolata rete di interessi affaristici e speculativi con addentellati che arrivano fino a settori della criminalità organizzata.
Potere al Popolo è presente con propri candidati in tutte le province della Campania e partecipa, con proprie liste, a due importanti elezioni comunali: a Giugliano, con Arianna Organo candidato a Sindaco e a Cava dei Tirreni, con Davide Trezza candidato a Sindaco.
DOMANDA: Da qualche giorno la lista di Potere al Popolo è ufficialmente ammessa alla sfida elettorale per il rinnovo del Consiglio Regionale della Campania. Giuliano Granato è stato designato, dalle varie assemblee territoriali di PAP, come candidato alla Presidenza della Regione. In realtà, però, Giuliano è da almeno un mese che sta girando il territorio campano incontrando attivisti, comitati di lotta, associazioni indipendenti e le mille espressioni del conflitto politico e sociale che si producono nella nostra regione raccogliendo le ragioni sociali di questo spaccato della società ma anche illustrando ed articolando il programma di Potere al Popolo. Sulla scorta di questo primo step che bilancio hai tratto di questa vera e propria inchiesta sul campo che stai compiendo?
RISPOSTA: C’è un’immagine che spiega il punto in cui ci troviamo. È una foto scattata il 21 agosto a Piazza del Carmine a Napoli, dinanzi a un centro di distribuzione pasti della Caritas. Ritratte decine e decine di persone, in attesa di un pasto gratuito.
Non è più l’epoca del lockdown, eppure la situazione non è cambiata poi granché. File c’erano nei mesi della quarantena e file ci sono tutt’ora, facendo venire alla luce il nervo scoperto della povertà e del disagio nelle nostre città. Un aumento delle difficoltà per molti che si accoppia a un duplice fenomeno: l’aumento delle diseguaglianze, per cui anche in Campania il pezzettino più ricco della nostra società continua a macinare denaro, in alcuni casi anche più che in passato, mentre per la maggioranza la vita si fa più complicata; e le fragilità di un “Terzo Settore” che avrebbe dovuto sostituire lo Stato e che si è rivelato del tutto inadeguato.
Questi dati di fatto dovrebbero portarci a riflettere sulla necessità di un’inversione “a U”, che rimetta al centro il ruolo del pubblico e dello Stato, declinato ai diversi livelli territoriali. Se non fosse per le reti di solidarietà che spontaneamente sono nate nei quartieri delle grandi città come nei piccoli borghi dell’entroterra, un esercito di “nuovi poveri” si sarebbe trovato assolutamente ai margini, senza mezzo alcuno per la semplice sopravvivenza. Gli studi effettuati da CGIL, Caritas e altre organizzazioni ed enti, confermano inequivocabilmente che c’è una sofferenza diffusa, a volte sottotraccia, e che nei radar della politica entra difficilmente.
Rischio povertà che colpisce il 41,4% della popolazione, una disoccupazione giovanile al di sopra del 50%, peggio dei livelli della Grecia post passaggio della Troika,un rischio povertà che colpisce più della metà della nostra gente, una percentuale di “neet” del 35,9%, giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Un disagio che si rende più evidente ai tempi della pandemia e si traduce anche in divaricazione sociale tra chi ha accesso a rete internet e chi ha un dispositivo e chi, invece, deve fare a turno con un genitore o con un fratello. La DAD qui è ancor più un problema, perché si innesta che su linee di classe tutt’altro che inattuali.
I numeri rischiano tuttavia di sembrare freddi. Bisogna trasformarli in carne e ossa per capire la loro vera portata. Partiamo dal mondo del lavoro: in ogni settore si è fatto fortissimo il ricatto degli imprenditori. Dinanzi a lunghi periodi senza alcuna forma di reddito e di entrata, molte lavoratrici e lavoratori sono maggiormente disponibili a mettere da parte rivendicazioni legittime su diritti e salari e ad accettare, per contro, condizioni di lavoro che solo pochi mesi fa avrebbero probabilmente rifiutato. Così, nel mondo dei lavoratori stagionali, del turismo ma non solo, quelli che ho conosciuto a Sorrento, ad esempio, la prassi sembra esser diventata quella del lavoro grigio, con contratti part-time che in realtà sono full-time, ma pagati poche centinaia di euro.
Allo stesso tempo, però, visto che dobbiamo sempre esser capaci di leggere la dialettica dei fenomeni che viviamo, in settori del nostro popolo, sta maturando la consapevolezza della necessità di una rottura col sistema che ha retto le nostre esistenze fino a ora. Avanza una nuova coscienza secondo cui il Covid ha portato alla luce debolezze che erano pre-esistenti: la precarietà che a troppi non ha concesso nemmeno il “lusso” di un bonus era ed è il vero problema. Le regole del passato sono il problema. Tutto ciò non conduce necessariamente a intraprendere percorsi di lotta, ma configura come uno spazio di possibilità che starà anche a noi riuscire ad allargare e a riempire di progetto politico.
Inoltre, in questa “inchiesta itinerante” che è la nostra campagna elettorale, stiamo cercando di far conoscere e valorizzare quelle esperienze che già oggi prefigurano soluzioni ai problemi impellenti delle nostre comunità. Dal campo dell’agricoltura a quello dell’istruzione, da esperienze di bonifica dei territori a comitati civici come luoghi della partecipazione e della decisione collettiva. Perché la nostra Campania, ma più in generale tutto il nostro Paese, contengono già in sé le soluzioni. A noi portarle alla luce, farle diventare sistema, dar loro forza, gambe, non lasciarle come cattedrali nel deserto ma farle divenire punti di un progetto politico. È anche il tentativo di lasciarsi alle spalle una sorta di “tradizione”, di una vulgata secondo la quale possiamo solo piangerci addosso e limitarci al momento della denuncia. Riprendendo l’impulso del Gramsci dei tempi dell’occupazione delle fabbriche a Torino, dobbiamo avere la capacità di pensarci non come “classe resistente”, bensì come “classe di governo” e dobbiamo sperimentarci giorno dopo giorno nella gestione di settori via via più ampi delle nostre società.
DOMANDA: Il sistema di potere di De Luca appare come un moloch che fagocita tutto e tutti. Da settori della destra fino a soggetti che, fino a qualche mese fa, non si sarebbero fatto scrupolo di dichiararsi della “sinistra radicale” a cui si stanno sommando i vecchi dinosauri alla Pomicino, De Mita e Mastella assistiamo ad una scomposta corsa a salire sul “carro del vincitore”. Insomma De Luca sembra invincibile. Come ritieni si possano aprire crepe sociali nei dispositivi di controllo e di gestione affaristica e clientelare del potere e che funzione può avere una forza anomala come Potere al Popolo in questa campagna elettorale e – soprattutto – oltre la data delle elezioni?
Se dovessi ragionare solo sui tempi brevi di una campagna elettorale, non esiterei a definire alcuni salti della quaglia cui stiamo assistendo come operazioni vergognose. Il simbolo del fenomeno cui stiamo assistendo è probabilmente Salvatore Vozza, che nelle cronache passa invece in secondo piano. Vozza nel 2015 era il candidato presidente della lista “Sinistra al Lavoro”, coalizione di diverse organizzazioni di sinistra alternativa a De Luca. Cinque anni dopo Vozza sale, insieme ad alcuni dei vecchi compagni di viaggio, sul carro di De Luca. Mi pare sia il simbolo di una bancarotta politica prima ancora che morale.
Ma faremmo un errore a ragionare solo sul tempo breve delle elezioni. Quel che sta accadendo in Campania è ben più complesso e foriero di conseguenze di medio-lungo periodo, che non possono essere affrontate solo sulla base dell’indignazione per alleanze elettorali.
Per capire quel che sta accadendo in Campania credo che un buon punto di osservazione sia quello che succede nei diversi territori. Qui De Luca sta mobilitando i potentati locali e li sta schierando nel suo esercito di candidati. Nelle sue liste trovano spazio il presidente del consorzio idrico della Piana del Sele, Nello Fiore; il presidente del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, Pellegrino; pezzi di quel mondo che fino a ieri era legato al centrodestra, ben rappresentati dalla candidatura della Beneduce, passata da Forza Italia a definire De Luca “albero della vita”; esponenti di spicco del mondo della sanità privata… E l’elenco potrebbe essere praticamente infinito.
De Luca sta tirando in piedi un sistema neo-feudale in cui il ruolo del suo stesso partito, il PD, è assolutamente marginale. Potere e denaro arrivano dal contatto diretto con i vertici della Regione Campania. Basti pensare al caso della registrazione audio della voce del sindaco di Sant’Antonio Abate Irene Abagnale che in una chat suggeriva ai consiglieri di votare per due esponenti delle liste di De Luca perché “ho una rata da pagare”: l’assessore Fortini aveva permesso di ottenere tre milioni di euro per le scuole e il vice-sindaco della città Metropolitana, Iovino, fondi per le strade.
De Luca è una sorta di sovrano senza corona, contorniato da una schiera di vassalli, valvassori e valvassini. Un sistema che sembra invincibile e che i sondaggi danno stra-vincente alle elezioni del 20 e 21 settembre.
Non dobbiamo però sopravvalutare la sua forza. Le fedeltà delle truppe mercenarie che ha assoldato è tutt’altro che salda e, come dimostra il caso dei transfughi da Caldoro e De Luca, sono pronti a cambiare vessillo sotto cui scendere in campo.
È su questa possibile debolezza e contraddizione che dobbiamo cercare di operare. Nel tempo breve della campagna elettorale, ma a maggior ragione nei tempi lunghi delle nostre vite. Riuscire a far saltare qualche addentellato del potere di De Luca e del suo sistema neo-feudale è tutt’altro che impossibile. Certamente, però, lo si fa non solo sulla base della mera propaganda, ma provando a modificare concretamente il tessuto nel quale siamo inseriti. Incrinare il potere delle industrie conserviere e del pellame che inquinano il fiume Sarno o quello di FederAlberghi tra costiera amalfitana, isole e penisola sorrentina, giusto per fare due esempi, non permetterebbe solo di migliorare le esistenze di migliaia di lavoratori, ma andrebbe a indebolire la trama di potere che si è costruita sui nostri territori.
DOMANDA: Come sai l’azione antisociale dell’Unione Europea, non da ora, ha sempre penalizzato i Sud del continente e, nella fattispecie, il Meridione d’Italia. Anche gli annunciati provvedimenti post crisi pandemica prevedono una differenziazione, a scapito dei settori popolari, nei meccanismi di spesa e di investimento previsti. Come ritieni si possa delineare una risposta verso questo ennesimo tassello antipopolare e che ruolo può svolgere l’Ente/Regione e gli altri Enti Locali verso le politiche di austerity, comunque camuffate, che provengono dalla gabbia europea?
Si fa un gran parlare dei miliardi di euro che arriveranno in base al Recovery Fund. Sulla stampa meridionale in queste settimane è ritornato improvvisamente in auge un afflato meridionalista che in passato era tutt’altro che presente. È evidente che pezzi di classe dirigente del Mezzogiorno sentono che si giocherà a breve una partita importante, il cui primo tassello è riuscire a indirizzare i fondi verso il Sud.
Le Regioni, a quanto pare, avranno un ruolo determinante, perché saranno anello chiave nell’indirizzo e distribuzione di questi miliardi. Per cui è necessario attrezzarsi fin da subito in due direzioni: controllare l’utilizzo dei fondi, per evitare che si disperdano nel foraggiare le solite clientele e imporre il loro utilizzo per gli interessi collettivi.
Cosa significa nella pratica? Che non potranno e non dovranno valere le regole del passato. L’allentamento di alcune regole finora ferree dev’essere considerato non come un dato di fatto, ma come un processo nelle cui contraddizioni insinuarsi per farla finita con la logica dell’austerity, che ha significato sacrifici per tanti e utili per pochi. Significa, ad esempio, che la necessità di una vera transizione ecologica, riconosciuta praticamente all’unanimità, non sia solo specchietto per le allodole per un’operazione di “green washing” del peggio dell’imprenditoria nostrana, ma reale cambio di paradigma.
Autobus elettrici, piste ciclabili, mobilità “dolce”, riattivazione delle linee ferroviarie dismesse, produzioni medicali necessarie alla popolazione, messa in sicurezza del territorio, prevenzione a ogni livello, da quello ambientale a quello sanitario: le necessità della Campania e dell’intero Paese sono tante e gli attori privati hanno mostrato a più riprese la totale inadeguatezza per affrontare una tale sfida. Anziché utilizzare i fondi per sostentare ancora una volta a botta di incentivi e di veri e propri regali, occorre che lo Stato e le sue articolazioni ripensino al proprio ruolo, smettano i panni dei “facilitatori” dell’intervento privato e si facciano direttamente artefici della trasformazione.
Non ci nascondiamo dietro a un dito: innanzitutto non è qualcosa che si raggiunge con un semplice schiocco di dita. Negli anni la classe dirigente ha scientemente distrutto le capacità del pubblico e ora vanno ricostruite. Va per l’appunto avviato un processo che si ponga lo scopo di ricostruire quelle professionalità, quell’humus anche culturale che oggi c’è solo parzialmente. Individuare alcuni settori specifici, magari dalla forte carica simbolica, per renderli modelli del possibile cambio di paradigma è un’opzione sul tavolo.
Se penso a uno stabilimento specifico mi viene in mente la Whirlpool di Napoli: la multinazionale, stracciando gli accordi siglati col governo e mostrando in maniera lampante l’incapacità della classe politica nostrana a difendere gli interessi del nostro popolo, ha deciso di chiudere il sito di Via Argine. La riconversione che qualcuno ha proposto è inaccettabile per i lavoratori e per tutta una comunità che ha visto negli ultimi anni fallire qualsivoglia processo di questo tipo condotto dai privati, a partire dalla Ex Embraco, passando per la Blutec di Termini Imerese e arrivando alla Ex Irisbus di Avellino (AV). Solo la direzione dello Stato potrebbe fornire una garanzia di avviare effettivamente un percorso che non miri a lucrare sugli incentivi e a condurre a una lenta morte, bensì al rilancio produttivo e alla promozione di nuova occupazione.
In secondo luogo pubblico non deve essere sinonimo di inefficienza e mala politica, ma l’esatto opposto. La continua propaganda neoliberista ha costruito un senso comune che però – dobbiamo riconoscerlo – affonda le sue basi in alcuni elementi di realtà, chiaramente distorti e portati al parossismo. Per farlo serve un modello che non si configuri come nostalgico ritorno al passato, ma come strumento del futuro, mettendo al centro dei modelli gestionali la partecipazione e il protagonismo popolare. A partire dal controllo popolare, arrivando a un coinvolgimento attivo e non solo consultivo delle comunità.
Infine, i tranelli sono dietro l’angolo. Come quando si parla di fondi ingenti che arriveranno alla sanità. La questione che si pone è che se non si dà il via a un piano di investimenti che preveda assunzioni, riapertura dei presidi chiusi e soprattutto un giro a trecentosessanta gradi dell’attuale modello, così che le fondamenta divengano finalmente prevenzione e assistenza domiciliare, assisteremo a nuovi regali alla sanità privata, dunque alla promozione dell’interesse di pochi e non delle nostre comunità.
DOMANDA: Potere al Popolo considera i passaggi elettorali come “occasioni” per interloquire con settori sempre più vasti dei ceti subalterni e come “strumento” per rafforzare il radicamento del proprio progetto politico. Del resto la campagna elettorale in Campania, in Toscana, in Valle d’Aosta ed in altre località dove siamo presenti coincide temporalmente con il lancio del Tesseramento Nazionale alla nostra Organizzazione. Per cui agitazione e propaganda elettorale si intrecciano con la costruzione organizzativa di Potere al Popolo e con una ulteriore definizione politica e programmatica. Da questo punto di vista la composizione della lista in Campania riflette questa ricchezza umana e politica che fanno di Potere al Popolo un soggetto dichiaratamente autonomo ed indipendente, con un profilo popolare, e sideralmente distante dalle vecchie alchimie politiciste di una “sinistra” sempre più compatibilizzata e foriera di sconfitte culturali e materiali. Che Appello, quindi, fai ai compagni e agli attivisti tutti per queste settimane che ci separano dal voto e come possiamo meglio qualificare la nostra campagna elettorale?
RISPOSTA: Potere al Popolo non nasce per essere l’ennesima organizzazione nella galassia della sinistra italiana. L’obiettivo era ed è ben diverso. Per comprendere i nostri scopi non si può non partire dalla fotografia di una realtà che ci dice che la frammentazione e l’atomizzazione sociale che spesso lamentiamo hanno avuto ripercussioni anche sulla struttura mentale con la quale siamo soliti organizzare il nostro pensiero sul mondo e sulle nostre vite.
Sempre più spesso interpretiamo l’universo di cui siamo parte come fosse a compartimenti stagni, perdendo la capacità di elaborare una visione d’insieme. Questo si riflette anche nell’attivismo di tante cittadine e cittadini, magari impegnati e preparatissimi su temi specifici, ma assolutamente disinteressati o – peggio – diffidenti quando si tratta di ragionare e agire sul carattere sistemico.
La frammentazione, prima ancora che politica, è immediatamente sociale. Ma non credo si superi con un po’ di Bostik, con qualche accordo a tavolino che permetta di incollare le diverse organizzazioni politiche, magari solo per il tempo di un’elezione.
Occorre, invece, armarsi della pazienza che richiede il tempo lungo della storia e superare gli scogli della sfiducia e della paura. Come? Facendo prima ancora che dicendo. Come diceva Martì – e non è un caso che questa frase l’abbiamo scelta per le tessere della nostra campagna di iscrizione a Potere al Popolo! – “la miglior maniera di dire è fare”. Chiaro, però, che si tratta di una parte e non della chiave di volta complessiva.
Se guardiamo anche fuori dall’Italia, quand’è che hanno avuto successo, in termini di consenso e organizzazione, altre esperienze? Non certo quando hanno rincorso le alleanze elettorali a ogni costo, frutto di una concezione matematica della politica, secondo cui fusioni dovrebbero portare a più voti nelle urne, tranne poi ricredersi a parole dopo ogni fallimento e riprovarci, come se la storia non avesse insegnato nulla, alle elezioni successive nello stesso identico modo.
Hanno invece avuto successo quando sono riuscite a dare vita a un progetto politico che fosse innervato nel “senso comune” della maggioranza e che, contemporaneamente, permettesse a questo senso comune di tramutarsi in “buon senso”. Non si tratta di un processo meccanico, ma di un percorso che procede per strappi e fasi di stasi. Chi oggi pensa che il nostro scopo debba essere “riunire la sinistra” mi sa che arriva fuori tempo massimo. Dov’è il “popolo della sinistra” di cui pure tanti parlano? A me pare si viva troppo di nostalgia, attaccati al passato e poco vivi nel presente. Come se l’obiettivo fosse quello di testimoniare l’esistenza in vita di un pezzo di una storia gloriosa e non quello di trasformare il mondo in cui viviamo.
Ecco, noi non siamo sacerdoti del passato, ma uomini e donne in carne ossa che vivono, soffrono e si emozionano nel presente perché con tutte le nostre forze proviamo ad aprire le porte a un futuro che trova sorde le orecchie dell’attuale classe dirigente. Quella che in Campania si identifica con De Luca e che vorrebbe convincerci di una nuova fine della storia, di un eterno presente, fatto di rapporti sociali, economici e politici immutabili.
Eppure il futuro c’è. Come diceva qualcuno, i semi di socialismo esistono già ora, perché non sono parto delle nostre menti, bensì realtà quotidiana. Solo che i semi per poter dare vita a fiori e piante hanno bisogno di protezione e cura contro chiunque vorrebbe impedire che sboccino. Questa è la sfida che abbiamo davanti, anche in queste settimane. Far sbocciare il futuro, difenderlo dai predatori che vorrebbero distruggercelo. Né più né meno. In Campania come nel resto del Paese.
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