Menu

Risultati del referendum, tra centro e periferia

I risultati del voto referendario hanno visto ancora una volta contrapposte città e campagna, metropoli e periferica, centro e hinterland, ricchi e poveri.

La differenza non è stata così marcata come in altre votazioni. Ma una differenza c’è stata, e in alcuni casi anche molto accentuata. Per esempio, a Crotone il 79,04% ha votato Si, mentre solo il 20,96% ha votato No. Anche se il capoluogo è andato meglio (si fa per dire) della Provincia, dove il Si ha toccato l’81,94%.

A Milano Città, anzi, a Milano City, come si legge su alcuni cartelli stradali fatti piantare dall’amministrazione, manco l’italiano fosse diventata una lingua periferica o da BruBru, a Milano Città solo il 56.54% ha votato Si, mentre il 43,46% ha fatto la scelta contraria.

La Provincia è andata molto peggio, registrando un 65,69% per il Si.

Stessi dati a Bologna, dove in Città il Si ha raggiunto appena il 57,24%, mentre il No ha toccato la considerevole quota del 42,76%. E anche qui, giusto per confermare un trend generale, la Provincia – la campagna – è andata peggio del capoluogo, segnando un 65,48% .

Differenze tra Capoluogo e Campagna si ritrovano nelle Province di Agrigento, Cosenza, Potenza, Bari, Campobasso, Chieti, Ancona, Perugia, Firenze, Venezia, Genova, Torino, Aosta, Trieste, Bolzano – insomma, tutti i capoluoghi registrano un risultano migliore delle rispettive provincie, certificando una differenza conclamata tra Metropoli e Periferia.

Questa differenza elettorale è il sintomo di una differenza ben più importante. Il nord-ovest, che comprende la Lombardia, il Piemonte, la Valle d’Aosta e la Liguria, con una popolazione di poco più di 16 milioni di residenti, nel 2018 ha registrato un Pil di € 580.111 (dati istat in milioni), mentre il Sud (6 regioni), con una popolazione complessiva di quasi 14 milioni, ha realizzato un Pil di € 270.706 – meno della metà.

Milano, da sola, nel 2017 ha raggiunto un Pil di € 207.549 (dati eurostat), quasi tre volte e mezza quello di Napoli, che ha totalizzato € 59.667, e quasi 9 volte quello di Palermo.

Quando la metropoli meneghina viene accostata ad una vera star globale, la musica cambia, i rapporti si invertono, dando ragione al sindaco quando, molto in ritardo, si affanna a costruire grattacieli e improbabili foresterie. Sempre nel 2017 Londra, da sola, ha raggiunto la cifra stratosferica di € 782.839, quasi 4 volte Milano.

Non è sufficiente tradurre i cartelli in inglese per togliersi di dosso la puzza di stalla o di fabbrica. E nemmeno vantarsi di esseri i primi in questo o in quel ramo dell’arte o della moda. I numeri dicono che Milano sta a Londra nello stesso rapporto in cui Napoli sta a Milano. Anzi, peggio.

Questi numeri in gran parte si spiegano con il ruolo dalle Metropoli quali centri finanziari globali, ruolo assunto negli anni Ottanta ed esploso negli anni Novanta. Questo ruolo ha generato un processo di ristrutturazione urbana che ha portato alla costruzione di torri e grattacieli, emulando, prim’ancora che lo stile Newyorchese, quello delle città italiane del Medioevo.

L’economia ha sempre voluto identificare la sua potenza con l’erezione di torri e grattacieli, su un modello fallocratico che a Barcellona hanno interpretato più che alla lettera. Lo sfoggio di virilità ha attirato torme di campagnoli, desiderosi di sedere ai tavolini di Starbucks o Domino’s Pizza e verificare con i propri occhi chi ce l’aveva più lungo.

Dalle finestre dei grattacieli, dove avevano trovato dimora gli uffici di banche e assicurazioni, gli impiegati ben pagati assistevano al Grand Tour dei pezzenti, con quel disprezzo per una popolazione che aveva scomodato aerei e treni per andare a degustare ciò che potevano ormai trovare ad ogni angolo di strada, persino a Bisceglie; con quel disprezzo malinconico che solo chi ha il privilegio di andare al lavoro in ciabatte e capelli rastafari può sentire.

E non importa che quei pezzenti ossequiosi e sobri generassero tutti i presunti aumenti di produttività del settore finanziario, di cui i funzionari godevano allegramente.

In un periodo in cui l’intelligenza artificiale può quasi completamente meccanizzare i sevizi di banca commerciale, di Gestione patrimoni e investimenti eccetera, non si capisce cosa significhi produttività, aumento della produttività – e stipendi e prebende legati proprio a questi aumenti di produttività – se non un trasferimento di ricchezza dalla campagna alla città.

Nell’Ideologia tedesca Marx dice che la più grande divisione del lavoro materiale e intellettuale è la separazione di città e campagna. La città, dice, è già il fatto della concentrazione della popolazione, degli strumenti di produzione, del capitale, dei godimenti, dei bisogni, mentre la campagna fa apparire proprio il fatto opposto, l’isolamento e la separazione. L’antagonismo fra città e campagna può esistere solo nell’ambito della proprietà privata. Esso è la più crassa espressione della sussunzione dell’individuo sotto la divisione del lavoro.

Le storia non ha sempre riservato alla periferia il lato triste del campo di battaglia. Nei primi anni venti del secolo scorso, in Germania, ma soprattutto in Austria, la crisi finanziare e il crollo del corso delle valute avevano portato alla fame gli abitanti delle grandi città.

Mentre la campagna poteva contare su riserve alimentari ridotte, ma pur sempre consistenti, gli abitanti della città, un tempo anche benestanti, erano costretti a rovistare nella spazzatura e a elemosinare un tocco di pane. I loro figli denutriti arano soggetti alla Kinderkranheiten, a ritardi fisici e mentali dovuto alla sotto-alimentazione.

I raffinati funzionari di banca o delle assicurazione oltre alla fame dovettero anche subire lo smacco dell’introduzione della Roggenmarks, «Buoni di segale» emessi dalla banca di Stato tedesca, con scadenza 1927. Il prezzo di emissione era pari al valore attuale di 125 chilogrammi di segale, ed il rimborso alla scadenza avrebbe dovuto essere una somma pari al valore medio di 150 chilogrammi di segale registrato nel primo trimestre del 1927: i 25 chilogrammi in più rappresentavano l’interesse di quattro anni.

Durante l’Emergenza sanitaria, per un breve periodo, la presa della Metropoli sulla periferia si era allentata. I grattacieli si erano svuotati, le vie dei centri erano deserte di turisti. Un broker salito sulle terrazze a 200 metri da terra guardava oltre l’orizzonte, e sperava che i contadini producessero cibo, gli operai producessero mascherine e ventilatori, i chimici producessero medicine e disinfettanti.

Le luci a led e le facciate a specchio avevano lasciato il posto alla stalla e alla fabbrica. Per qualche mese il lavoro era tornato al centro della scena.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *