Così, dopo cinque giorni di attesa, la montagna ha partorito il topolino, cioè l’unico provvedimento preso dalla giunta lombarda a fronte di una situazione epidemiologica in regione a dir poco drammatica. Si tratta del cosiddetto “coprifuoco” che impone la chiusura dei locali pubblici e limita gli spostamenti tra le 23 e le 5 del mattino.
Un provvedimento inadeguato e insufficiente, che non si capisce come possa cambiare la situazione dato che tra le 23 e le 5 la grande maggioranza dei cittadini, anche senza coprifuoco, è a casa propria a dormire. Si attendono invece decisioni sull’apertura domenicale dei centri commerciali.
La giunta lombarda si conferma lenta e incapace, a fronte di un risultato impressionante di contagi arrivato nella giornata di ieri 21 ottobre a oltre 4000, un numero maggiore della tragica giornata del 21 marzo quando furono 3251.
La riunione tra Comitato Scientifico Regionale, amministratori regionali e sindaci di venerdì 16 ottobre è stata, in effetti, teatro di uno scontro tra esperti scientifici e politici, poiché i primi insistevano per decisioni più incisive, soprattutto ma non solo per la città di Milano, sino ad arrivare a eventuali altri confinamenti.
Il virologo Pregliasco, componente del CTS non ha nascosto la sua rabbia, poiché –sostiene- il “coprifuoco” non basta per Milano, a causa della concentrazione di attività produttive e per l’alta densità abitativa e perché ormai l’aumento dei contagi appare incontrollabile.
Il capoluogo lombardo era stato inaspettatamente meno colpito dalla prima ondata pandemica, ma ora la situazione è grave e l’epidemia sta dilagando in una concentrazione metropolitana di 3.000.000 di abitanti con conseguenze ancora non immaginabili. Tuttavia, il presidente Fontana ha preferito assumere un provvedimento che ha definito “simbolico e che non danneggia l’economia”, vera ossessione di tutti i responsabili politici, al di là della loro appartenenza partitica.
Gli esperti del CTS hanno trovato comprensione solo nel sindaco di Bergamo, Gori, evidentemente scioccato da quanto avvenuto nella sua città tra marzo e aprile.
La Lombardia appare quindi un treno in corsa lanciato verso il baratro, dove pure qualcuno disperatamente aziona l’allarme, senza essere ascoltato. Il nuovo direttore della sanità lombarda, Trivelli, ha dichiarato -senza vergognarsene come dovrebbe, visto il suo ruolo- che ormai il tracciamento non funziona più, che non si è più in grado di effettuarlo con efficacia dati i troppi casi.
La percentuale dei positivi ha ormai raggiunto l’11% dei tamponi effettuati. Gli ospedali sono in sofferenza e cominciano ad aprire reparti Covid a danno di quelli destinati ad altre patologie, abbandonando i pazienti che ne soffrono; anche le terapie intensive, da tempo ben al di sotto del livello d’allarme, cominciano a preoccupare.
A questo proposito la Regione ha annunciato che in qualche giorno si potrà riattrezzare l’Ospedale della Fiera, ideato e poi rinnegato da Bertolaso che ha funzionato a primavera con estremo ritardo e per pochissimi casi e che costò una quantità di milioni ancora sconosciuta (forse 26). Tuttavia ora si scopre che un settore, pari a circa un terzo dei 220 posti letto previsti non è mai stato completato e che nella struttura mancano i bagni per i pazienti.
Inoltre per far funzionare tale ospedale si dovrebbe inviarvi personale dal Policlinico, con l’evidente risultato di sguarnire quest’ultimo nosocomio. Ciò mette in luce un altro dei problemi della sanità lombarda, poiché anche se si aumentano i posti letto e i respiratori, mancano i medici e gli infermieri per farli funzionare. Questo fatto è il risultato delle mancate assunzioni promesse, mai effettuate.
L’insufficienza di medici coinvolge anche la medicina di base, di cui più volte si è denunciata la carenza. A causa della scarsità dei medici di base, la Regione li ha obbligati ad accettare sino a 1800 assistiti ciascuno, un numero che evidentemente contrasta con ogni logica di prima assistenza sul territorio e anche, in questo momento, con la necessità di condurre un’adeguata campagna di vaccinazione antinfluenzale.
Peraltro, i vaccini sono forniti ai medici con il contagocce. A oggi i medici di base (e non tutti) hanno potuto rifornirsi di 20-30 dosi a testa, una quantità risibile rispetto al fabbisogno. Sembra che la situazione non migliorerà, poiché molte delle undici gare per la fornitura indette dalla Lombardia sono andate deserte poiché si offrivano prezzi d’acquisto troppo bassi, salvo poi, a settembre, quando era troppo tardi, arrivare a proporne di esageratamente alti.
La Lombardia sta mendicando le dosi avanzate dalle campagne vaccinali di altre regioni che l’hanno ormai praticamente conclusa. La situazione è tale che le autorità sanitarie del Canton Ticino hanno vietato alle farmacie locali di fornire vaccini all’estero sino ai primi di dicembre, poiché molti lombardi, disperati di non potersi vaccinare, si sono riversati in Svizzera pur di avere il vaccino anche a pagamento e ciò potrebbe mettere a repentaglio la disponibilità per i cittadini elvetici.
Tutto ciò mentre Fontana si dice “non preoccupato” e Gallera suo assessore al welfare, dichiara a Repubblica che in Lombardia va tutto bene, tutto funziona e che le cifre alte dei contagi e dei decessi (oltre 17.000 a oggi) si spiegano con il numero degli abitanti, maggiore che in altre regioni. Un’affermazione che fa a pugni con la matematica.
Tutta la situazione sanitaria in Lombardia testimonia che la giunta regionale non ha tratto alcun insegnamento dalla strage avvenuta in regione tra marzo e aprile: nessun rafforzamento della prevenzione e della medicina territoriale, nessuna assunzione di nuovi medici, scarsa programmazione ospedaliera.
Migliaia di persone sono ammalate nella loro casa, febbricitanti e senza assistenza, e non riescono a sapere se sono affette dal Covid o da un’altra patologia. Inoltre non si sa dove siano finiti i 109 milioni di donazioni private ricevuti dalla Lombardia nella scorsa primavera e destinati a un rafforzamento della sanità.
Così la seconda ondata che, come si diceva e si temeva da mesi, poteva essere ancora più devastante della prima, si sta abbattendo su una regione totalmente impreparata ad affrontarla.
Ancora una volta, peraltro, s’insiste a voler individuare le cause dell’aumento dei contagi nei comportamenti, a volte poco responsabili ma non certo decisivi, della “movida” giovanile, non volendo intervenire sui luoghi della produzione e del lavoro né sui trasporti pubblici, veri incubatori d’infezione.
Insomma, tutto come a marzo, anzi, peggio che a marzo.
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