Sulle proteste popolari di Napoli si oscilla tra mitizzazione e criminalizzazione.
Si omettono le responsabilità dei presidenti delle Regioni, che hanno mandato la sanità pubblica al collasso prima e durante la pandemia; e si nasconde il cinismo della Confindustria.
Così il sistema politico e i mass media stanno cercando di creare una falsa contrapposizione sociale sul come affrontare sul piano sanitario ed economico l’emergenza pandemica: da una parte ci sarebbero piccoli commercianti, lavoratori e figure sociali messe in ginocchio dalle chiusure, militanti politici; dall’altra operai, insegnanti, pensionati e lavoratori dipendenti in genere.
I primi vengono incitati ad accusare i secondi di essere “privilegiati”, che per questo non si mobiliterebbero e preoccuperebbero della salute; mentre gli altri vengono invitati a rispondere indicandoli come “evasori” e “ladri” – tutti… –, irresponsabili sul piano delle misure anti-Covid ed in qualche modo meritevoli del progressivo impoverimento.
A entrambe le parti il sistema di potere dà poi in pasto i percettori del “reddito di cittadinanza”, che sono diventati un po’ come i Rom o gli immigrati; ovvero odiati da tutti sebbene si trovano a vivere, come questi, nelle peggiori situazioni di disagio sociale.
È ormai innegabile che la percezione della pandemia è diversa tra chi in qualche modo è garantito sul piano economico e chi invece è immediatamente vulnerabile. E qui non si tratta solo di famiglie che vivono nell’economia marginale, ma anche di cuochi, camerieri, baristi, operatori turistici, operatori sportivi, ossia gente che aveva sì un lavoro ma adesso lo ha perso, o sopravvive con ammortizzatori sociali troppo deboli per essere credibili e dare sicurezza. Quando pure ci sono…
Potere al Popolo ritiene invece che questi settori sociali avrebbero tutto l’interesse a stare uniti in questo momento, rivendicando sia il reddito che la tutela della salute pubblica.
Quello a cui abbiamo assistito a Napoli, dove cresce l’insofferenza e la sofferenza sociale, è per certi versi inedito rispetto al passato. È qualcosa di più vicino ad una rivolta, come spesso avviene in altri paesi ma che, diversamente da quella di Napoli, trovano una simpatia e solidarietà che viene negata in questa occasione.
L’avevamo visto su qualche territorio in modo circoscritto, ma mai a questo livello e in una grande metropoli come Napoli. L’Italia ha tradizione di grandi movimenti e anche di forti momenti di conflitto, ma all’interno di una cornice politica ben definita.
Negli ultimi decenni c’è stata invece una progressiva spoliticizzazione e le forze più ideologizzate hanno ormai ben poca presa a livello di massa.
In piazza a Napoli c’erano i compagni e probabilmente anche qualche componente di destra o della piccola malavita, ma in entrambi i casi il contributo di questi ultimi in termini di partecipazione è stato del tutto marginale; come “direzione”, assolutamente nullo.
Questa proteste sono materia difficile da maneggiare, cui non siamo abituati e con le quali difficilmente nel breve periodo avremo la capacità di interagire in maniera efficace.
È bene non illudersi che dalla manifestazione di Napoli possa partire un movimento sociale e tanto meno un escalation del conflitto all’altezza dei problemi.
Le rivolte spesso sono fuochi di paglia, fanno grosse fiammate ma si esauriscono nel giro di poco.
La camorra in tutto questo non c’entra nulla e chi ne evoca la presenza lo fa solo per creare confusione e distogliere l’attenzione dai reali motivi della protesta. Al contrario, come sostiene l’intelligence, la criminalità punta al bersaglio grosso come i fondi del Recovery Fund, soprattutto nelle infrastrutture. Ma per averli tocca stare al governo, o nelle immediate vicinanze, non in piazza…
Sicuramente in un corteo tanto partecipato c’era qualcuno vicino a certi ambienti e i mass media e la polizia, non a caso, hanno enfatizzato solo questo aspetto marginale.
Nella piazza di Napoli c’era tutto il mondo dell’economia informale, chi campa alla giornata, nella marginalità, nell’insicurezza perenne; c’erano lavoratori e lavoratrici al nero che vivono di bassi e bassissimi redditi dal loro lavoro in bar, ristoranti, pizzerie messe in crisi dalle misure restrittive; c’era anche quella piccola borghesia che rischia di scivolare rapidamente verso il sottoproletariato senza neanche passare per il lavoro salariato.
Napoli ha dunque portato alla luce il versante sociale di una contraddizione tra salute pubblica e condizioni di vita delle persone, la cui soluzione non è più rinviabile. Accade esattamente quello che abbiamo visto tante volte nei territori – come Taranto o Civitavecchia – dove agisce il ricatto tra salute e lavoro. E’ un meccanismo che va spezzato, anche e soprattutto dentro un’emergenza come quella della pandemia.
Su questo vogliamo indicare quelle che a nostro avviso sono le soluzioni d’emergenza:
- I lockdown vanno fatti e rapidamente nei territori dove la diffusione del virus li rende necessari per ridurla drasticamente;
- va introdotto subito il reddito d’emergenza in forme congrue e credibili per chi deve fermare la propria attività lavorativa o commerciale;
- vanno fatti i tamponi di massa sull’intera popolazione, a cominciare dalle zone che vanno in lockdown; il che significa che personale e strutture sanitarie vanno rafforzate con questo scopo e con le dovute e necessarie assunzioni.
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