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L’autunno del nostro scontento

In moltissime città italiane ci sono state ieri manifestazioni di protesta. In alcuni casi ci sono stati tafferugli, cariche di polizia, lancio di petardi e persino qualche molotov. La composizione sociale di queste manifestazioni è decisamente eterogenea, così come quella politica (in alcuni casi sono state iniziative dei fascisti, ma in quantità di fatto irrilevante).

Insomma, è finita la pace sociale, è cominciato l’autunno del nostro scontento…

A guidare la protesta soprattutto le categorie colpite direttamente dai decreti del governo e dalle delibere regionali (o comunali), e quindi, ristoratori, titolari di bar, palestre, lavoratori dello spettacolo in genere. Spesso con la compresenza di “padroncini” e dipendenti, e questo non può stupire. Nelle piccole imprese di questi settori i titolari lavorano quasi sempre a fianco dei dipendenti, non disponendo dell’organizzazione del lavoro e della scala dimensionale per starsene a casa ad amministrare l’impresa.

Poi, come sempre, ci sono avventurieri e avventurosi, disperati pronti a saccheggiare un negozio di marca (è successo a Torino, contro le vetrine di Gucci) per rivendere poi sul mercato nero; gente delle curve che cerca un’occasione di rivincita con la polizia, addetti abituali all’”economia informale” (non solo al Sud, ma in tutte le periferie metropolitane) ecc.

Una prima notazione: la giornata di lunedì ha spazzato via tutte le cazzate mediatiche sulla “camorra” alla guida delle proteste di Napoli. E dire che stavolta neanche Roberto Saviano, decano dei portavoce di questura, ci era cascato…

Non è “la rivoluzione”, chiaramente, ma una crepa consistente che si va aprendo all’interno del blocco sociale dominante, strutturalmente coeso intorno a pochi grandi gruppi industriali e finanziari, ma con una larghissima compartecipazione di media e piccola borghesia fidelizzata con molte “libertà” a lei concesse (evasione fiscale e contributiva, contratti di lavoro precari o nessun contratto, nessun controllo di sicurezza sul lavoro, ecc).

Ora gli interessi cominciano a divergere. Le grandi imprese ottengono sempre quel che chiedono (nessun blocco della produzione, incentivi, defiscalizzazioni, cassa integrazione anche senza averne diritto, contratti bloccati, licenziamenti liberi da qui a poche settimane, ecc), mentre le piccole imprese del commercio e del turismo vanno sull’orlo del fallimento. In prospettiva anche oltre…

Del resto, un governo imbelle con i più forti, ma “bisognoso” di far vedere che fa qualcosa, oltre che di far capire quanto disastrosa sia la situazione sanitaria, non può che buttarsi sulle attività più “visibili”. In generale quelle del tempo libero…

Chiarissima anche l’origine di questa crepa: le misure decise dal governo e dalle singole regioni sono di fatto inutili al fine di combattere la pandemia. La loro incidenza sul numero dei contagi, anche quando coscienziosamente applicate, è marginale. E lo verificheremo tra quindici giorni, a consuntivo.

Com’è noto, noi siamo favorevoli fin dall’inizio al “metodo cinese”: lockdown severi ma mirati a singoli focolai, tamponi di massa su tutta la popolazione interessata, in modo da identificare i contagiati (anche e soprattutto gli asintomatici) e permettere al resto di continuare a vivere, lavorare, divertirsi.

Questo metodo, ormai è ammesso anche da grandi manager-economisti statunitensi, funziona meglio anche per la salvaguardia dell’economia; mentre il laissez-faire e “contagiatevi pure” provoca stragi di massa e tracrollo economico.

Tutti i governi occidentali, invece, hanno scelto di privilegiare il Pil rispetto alla salute, ottenendo il risultato opposto (non era difficile prevederlo…).

Ora, alla “seconda ondata”, la cosa diventa evidente a tutti. La “prima ondata”, complice anche la novità e la sorpresa, aveva stimolato obbedienza e passività di massa; tutti chiusi, magari a cantare dai balconi, e massima fiducia nel governo.

Alla seconda il gioco non regge più. Per motivi economici e di reddito, perché – oltretutto – il governo ha disposto le chiusure senza preventivamente rassicurare sui “ristori” per le categorie colpite. I governi nazionale e regionali, persino quelli appena eletti con percentuali bulgare, non hanno più credibilità. Comunque ne hanno persa a valanga davanti al montare esponenziale dei bollettini giornalieri sull’andamento del contagio.

Questo incrocio – verifica dell’inutilità delle misure decretate e crollo dei redditi in molte categorie sociali – apre le porte a tutte le follie (“libertà di lavorare in qualsiasi condizione”, “no alla dittatura sanitaria”, ecc), sicuramente pericolose perché irrazionali, della serie “speriamo che io me la cavo” e che tocchi a qualcun altro…

Qui si gioca però la partita a livello di massa. Senza un intervento conflittuale diretto, politico e sindacale, l’”egemonia” del malessere sociale finirebbe fatalmente nelle mani peggiori. Dunque va eliminata in radice qualsiasi tentazione di chiudersi nel guscio aspettare che “passi la nottata”.

Anche perché, nonostante i nuovi disoccupati siano quasi un milione, ancora non si è avuta l’ondata di licenziamenti pretesa dalla Confindustria di Carlo Bonomi. Dunque mancano all’appello delle mobilitazioni fasce sociali di grandi dimensioni e ben più tradizionali nella cultura politica comunista.

Nei tempi eccezionali, quelli che segnano una crisi e la conseguente necessità di un cambio di sistema, i movimenti di piazza non si presentano del resto mai in forma pura. Non ci possiamo insomma attendere il classico movimento operaio, bandiere rosse al vento, unità di classe già data e consolidata…

Quel mondo è stato distrutto nel corso degli ultimi 40 anni (dalla “marcia dei quarantamila” a oggi), la ricostruzione di un blocco sociale per il “passaggio di sistema” è tutta da iniziare.

Ma “il grande freddo” della passività di massa si sta rompendo. Il blocco dominante comincia a sfarinarsi. Le giustificazioni sempre addotte – ancora adesso! – sulla presunta superiorità del modello neoliberista stanno diventando in-credibili.

Occhi aperti, naso al vento, capacità di distinguere tra contorcimenti reazionari e slanci di liberazione, fantasia e flessibilità estrema nelle pratiche, una chiara visione sullo stato del mondo in questa crisi. Sono solo alcune delle “virtù” che sarebbe bene possedere e sviluppare in questo frangente.

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1 Commento


  • andrea’65

    Che credibilita’ puo’ avere un Governo che prima di obbliga adeguamento a protocolli rigidi e costosi, mentre nulla fa per il limitare il maggior vettore di contagi, il Trasporto Pubblico, e poi ti fa chiudere promettendoti ristori che molti attendono da maggio?
    Con che logica si limita a 1000 spettatori uno stadio da 60mila e sui treni pendolari si permette l’80% della capienza?
    Che autorevolezza esprime consentendo la ristorazione a pranzo, forse il periodo con piu’ presenze di questi tempi, vietando la cena, rito che a Milano è diventato per Temerari Malinconici?
    Come esterno’ Cacciari dalla Berlinguer, chi vive senza preoccupazioniv economcihe durante questi mesi ( pensionati,dipendenti pubblici o privati di Corporation,) se ne sbatte di ristoratori,commercianti,pmi,artigiani,p.iva e pretende l’Esercito in strada per le Mascherine, poi si lamenteranno quando diventeranno Passamontagna?

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