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Milano: la chiusura della città è inevitabile

La situazione sanitaria in Lombardia si fa ogni giorno più preoccupante. Il responsabile del coordinamento Covid dei Pronto Soccorso lombardi, Guido Bertolini, ha parlato di una situazione ormai al limite del tracollo. Purtroppo ha, come sempre, scaricato tutte le responsabilità sulle spalle dei cittadini: mettetevi le mascherine, rispettate le distanze, lavatevi le mani.

Cose ormai risapute alla noia, entrate nelle abitudini quotidiane, che però sono palesemente insufficienti a domare o semplicemente ridurre l’epidemia in assenza di una strategia dei poteri pubblici. Il tutto mentre continua il caos sui vaccini antinfluenzali acquistati a prezzi esorbitanti dalla Regione – 28€ in luogo dei normali 5-6 – e privi dell’autorizzazione dell’Agenzia del Farmaco, la mancanza delle Unità di Continuità Territoriale e gli spostamenti di medici e infermieri tra gli ospedali per fingere di colmare la carenza di personale. In Lombardia il contagio è fuori controllo, ma ancor più sono fuori controllo le strutture e le teste degli amministratori.

Ancora più drastico Walter Ricciardi, consigliere del Ministro della Salute, che ha chiaramente denunciato l’insufficienza, almeno per la provincia di Milano, dei provvedimenti presi con il DPCM del 25 ottobre. Il virus a Milano circola con tale rapidità – ha detto Ricciardi – che si può essere infettati al bar, al ristorante, sull’autobus, evocando la necessità di un nuovo blocco totale della città.

Le parole di Ricciardi hanno indispettito sia il Presidente della Regione, Fontana, che il Sindaco di Milano Sala. I due sono da tempo in conflitto istituzionale, per contraddizioni che risalgono già alla scorsa primavera e che si rendono sempre più evidenti.

Il Sindaco Sala ha esplicitato la polemica alcune settimane fa quando ha dichiarato che come lombardo non si sentiva tutelato da un assessore al welfare come Gallera – come negare una tale evidenza-, ed è continuata in seguito su diversi temi sanitari sino a sboccare nel contrasto sulla didattica a distanza.

Fontana, il presidente che un giorno non è preoccupato e quello seguente invece è disperato, ha deciso di chiudere tutti gli istituti superiori della Lombardia al 100%, mentre Sala avrebbe preferito combinare didattica a distanza e in presenza, per non privare totalmente gli studenti del contatto fisico con la scuola.

Purtroppo Sala ha una grossa coda di paglia sulla questione poiché i mezzi dell’Azienda Trasporti Municipali viaggiano troppo affollati e la loro sanificazione è dubbia e diventano così degli incubatori di virus. Di fronte alla richiesta di aumentare le corse, Sala ha sempre opposto un netto diniego: impossibile per mancanza di mezzi e personale, che però non si fa nulla per cercare di reperire – nonostante, per esempio, la possibilità di utilizzare i bus delle compagnie private, fermi da mesi per mancanza di lavoro.

Per questa ragione, gli studenti rischiano d’infettarsi nel percorso casa-scuola e si preferisce rinchiuderli davanti al PC.

In questo scontro istituzionale ormai evidente, Fontana e Sala sono d’accordo solo su una cosa: un ritorno al fermo generalizzato delle attività è impossibile perché danneggerebbe troppo l’economia, cioè gli interessi di Confindustria.

Fontana esclude tassativamente una nuova chiusura, Sala dice di avere ricevuto un SMS di un anonimo virologo che lo rassicura che al momento ci sono nelle terapie intensive solo 80 pazienti a Milano e 200 in Lombardia. Questo permetterebbe di poter rimandare ogni decisione tra 10-15 giorni.

Cioè quando probabilmente gli ospedali saranno tanto pieni da respingere i pazienti e i decessi si conteranno a migliaia. La terrificante scena dei camion militari che trasportavano i morti di Bergamo verso i forni crematori non ha insegnato nulla a questi amministratori.

Quanto alle proteste emerse negli ultimi giorni sulle ultime decisioni del governo, che vedono in piazza categorie molto diverse tra loro, dai musicisti e attori ai gestori dei bar e ai taxisti, è chiaro che esse esprimono non tanto un’opposizione di principio a una nuova chiusura della città, che appare sempre più inevitabile, bensì la legittima preoccupazione della difesa del proprio reddito, in misura sufficiente a garantire un’esistenza dignitosa nei prossimi mesi che si annunciano difficili.

E a questa richiesta è necessario che sia data una risposta adeguata che va ben oltre i “ristori” promessi. In caso contrario, a Milano e in Lombardia ci si troverà di fronte a una strage sanitaria ma anche sociale.

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