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La guerra ai murales, ultima infamia della borghesia napoletana

Negli ultimi anni molti giovani napoletani sono caduti ammazzati dalla polizia o dai carabinieri.

Esistenze fragili, che correvano sul filo di una “illegalità” fatta di piccole rapine (spesso solo tentate) o la non osservanza all’alt incrociando un posto di blocco. Ragazzi – non ancora uomini – forse sedotti da stili di vita e modelli comportamentali illusori e catastrofici, ma sideralmente diversi dal prototipo camorristico e dalla particolare catena del valore di questa holding che agisce totalmente nelle pieghe dell’accumulazione capitalistica.

I loro nomi: Mario Castellano, Davide Bifolco, Ugo Russo, fino all’ultimo ammazzato di pochi mesi fa, Luigi Caiafa e, sicuramente, dimentico qualcuno.

Tutte morti che non hanno ricevuto nessuna giustizia. Anzi, nei casi in cui si è già celebrato il processo, le pene comminate al poliziotto o al carabiniere di turno sono state irrisorie e ulteriormente offensive per le vittime e i loro familiari.

Nel corso del tempo, attorno ad ognuno di queste vicende, in vari quartieri della città, sono sorte associazioni e comitati i quali, oltre a svolgere un lavoro di decostruzione delle “verità ufficiali”, hanno alimentato il ricordo collettivo attraverso iniziative culturali e di nuova aggregazione sociali.

Ad esempio il film Selfie, del regista Agostino Ferrante (2019), racconta la vita quotidiana di due adolescenti del Rione Traiano a Napoli, lo stesso quartiere dove fu ucciso Davide Bifolco, attraverso analogie e riferimenti che richiamano al male di vivere e di sopravvivere in una particolare zona periferica della città.

Accanto, però, a queste operazioni culturali – un po’ più complesse – è capitato che gli amici di due degli ultimi ragazzi ammazzati quest’anno (Ugo Russo e Luigi Caiafa) hanno realizzato due murales nei quartieri dove vivevano Ugo e Luigi (i quartieri Spagnoli e la zona dei Tribunali).

Due eventi che hanno dato la stura all’ipocrita “indignazione” di quanti lamentano la legalità violata e l’apologia del crimine.

Subito si è messo in moto l’abusato rito del giornalista in cerca di improbabili scoop, dei soliti sociologi di seconda linea a caccia di visibilità in questi tempi cupi, del sempiterno consigliere regionale che campa unicamente sul sensazionalismo d’accatto… Con il “grande obbiettivo” della rimozione di questi murales e all’inibizione di ogni iniziativa che ricordi queste giovani vite spezzate.

Naturalmente non sarà facile rimuoverli, visto che sono meta continua di una sorta di pellegrinaggio di quanti vivono costantemente il loro rapporto con la società solo attraverso la polizia, la sanzione e la pena; e che dunque sono “venerati” come icone che alimentano e preservano una identità in cui riconoscersi, a fronte dell’inenarrabile serie di torti e di ingiustizie subite lungo l’arco di una difficile esistenza.

A tale proposito fanno rabbrividire le dichiarazioni della Assessora al Comune di Napoli, Alessandra Clemente, la quale invoca un “tavolo di concertazione” sulle espressioni della “street art” che dovrebbe valutare, scegliere ed autorizzare questa o quella opera.

Insomma una ridicola riedizione del famigerato MinCulPop di cui, francamente, non si avverte né la necessità né, tanto meno, l’autorevolezza in materia.

Ancora una volta, quindi, ci troviamo davanti alla evidente contraddizione tra una manifestazione di critica sociale che non riesce a trovare ascolto, e che sbatte contro il muro di gomma delle istituzioni (anche nella versione che dichiara di essere attenta alla “parte debole” della città), strutturalmente incapaci – prima sul piano culturale e poi sul versante dell’azione amministrativa – di rapportarsi e dialogare con determinati ceti e figure sociali della popolazione napoletana.

Come terminerà questa saga inutile e oltremodo tossica per l’informazione cittadina, non siamo in grado di prevederlo.

Intanto diamo la parola al Comitato “Verità e Giustizia per Ugo Russo”:

Oggi alle 18.00 ci incontreremo in Piazza Parrocchiella S.Maria Ognibene (ai Quartieri Spagnoli) insieme a familiari, abitanti del quartiere, attivisti del comitato civico e chi vorrà ascoltare dal vivo le ragioni del murales appena terminato dall’artista Leticia Mandragora che chiede “Verità e Giustizia” per Ugo Russo, giovanissimo ragazzo cresciuto proprio in queste strade e morto davvero troppo presto in quella maledetta notte del 1 marzo 2020.

Una morte su cui grava fortissimo il sospetto che sia stata un’esecuzione, ucciso con tre colpi di pistola di cui l’ultimo alla testa da un carabiniere fuori servizio a cui Ugo stava cercando di portare via un orologio con una pistola giocattolo. Il militare, che in totale ha sparato cinque volte, è stato subito indagato per omicidio viste le circostanze e la dinamica della morte, ma da allora è calato il silenzio totale. Dopo oltre otto mesi non esiste neanche il risultato pubblico dell’autopsia… E’ necessario in Italia fare un murales che chieda verità e giustizia per un ragazzino ucciso da un membro delle forze di sicurezza!?

Noi pensiamo di si. Le storie iniziate con l’assassinio di Carlo Giuliani, Mario Castellano, Federico Aldovrandi, Stefano Cucchi, Davide Bifolco e troppi altri ci dicono di si.

Storie, circostanze e biografie anche diversissime tra loro e che pongono però da questo punto di vista simili interrogativi. E’ diventato un tema globale, quando l’abuso della violenza è compiuto da chi detiene costituzionalmente il monopolio della “violenza legittima”: dagli Usa all’Italia, dal Brasile alla Nigeria.

Contesti e significati anche qui complessi e differenti, ma in tutti i casi un tema che tocca naturalmente la tenuta delle garanzie democratiche di un paese. Che non riguardano solo chi non sbaglia mai come i troppi indici puntati sembrano volerci continuamente ricordare. George Floyd era un ex rapinatore ed è stato fermato per spaccio di monete false. Ma non è per difendere lo spaccio di denaro falso che centinaia di migliaia di persone si sono rivoltate negli Usa e nel mondo. Lo stesso discorso quando la polizia militare brasiliana uccide un ragazzino delle favelas trovato a commettere un reato.

Questo murales però non vuole essere solo questo. E’ sicuramente e volutamente un segnale ai tanti ragazzi come Ugo che vivono nei nostri quartieri sugli esiti potenzialmente tragici di scelte, sbagli ed esperienze spesso affrontate senza neanche una vera consapevolezza. Ma anche e soprattutto una spinta a interrogarsi rivolta a un’intera comunità, a partire dall’ambito più vicino e familiare per finire alla città sulle responsabilità mancate e sulle reali opportunità disponibili agli Ugo Russo di costruirsi una strada e di realizzare i propri diritti. Ragazzi sempre più dimenticati anche dalla politica “ufficiale”, ridotti a etichette e facili retoriche. Retoriche intrise anche del razzismo sociale che questa città raccoglie dal dibattito pubblico nazionale e riversa sulla sua parte di sotto. Sarà presentato in questa occasione anche il progetto, l’impegno e gli scopi di un’associazione di quartiere realizzata insieme ai familiari.

Certo è anche un segno della memoria verso un ragazzo cresciuto proprio in queste strade, che tutti conoscevano. Ugo aveva soli 15 anni e se ha commesso un grave sbaglio doveva avere la possibilità di misurarsi con quello sbaglio e di determinare la sua vita. Non è “cresciuto nel crimine” come pure un pò vigliaccamente si è scritto da parte di chi nemmeno lo conosceva, ma piuttosto ha vissuto la sua adolescenza tra lavoretti malpagati e frustranti e il disorientamento sul futuro. Era solo un ragazzo…

Ci sono state diverse polemiche su questo murales, alcune le accettiamo perché l’arte serve anche per fare discutere, altre invece ci sembrano strumentali e ipocrite (come quelle che accostano la vicenda di Ugo alle vittime della mafia), altre ancora vengono da personaggi che sfruttano ogni circostanza per un’ossessiva ricerca di visibilità. Quasi tutti hanno criticato il murales senza vederlo da vicino, senza vedere lo sguardo scelto dall’artista per Ugo, senza interrogarsi se le parole “Verità e Giustizia” debbano essere intese come una “provocazione” o addirittura una “celebrazione” e non piuttosto valori che dovrebbero essere garantiti dalla Costituzione della Repubblica.

Vogliamo ricordare infine che il murales è stato realizzato facendo tutti i passaggi burocratici normalmente previsti, finanziato con un piccolo crowdfunding da parte del comitato, di familiari e amici (e in tal senso chi vuol contribuire può contattare la posta di questa pagina) e la sua realizzazione è costata molto poco (poco meno di duemila cinquecento euro) grazie alla sensibilità dell’artista Leticia Mandragora, autrice di altri pezzi importanti nel nostro quartiere, che ancora una volta ringraziamo.

Napoli, 7 Novembre 2020

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