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Una legge di bilancio inadeguata e ostile all’Università

18/12 giornata di agitazione nazionale universitaria.

La comparsa del Covid19 ha messo in luce tutte le storture e i limiti del modello sociale dominante e, ovviamente, dell’Università, in quanto asse strategico nella costruzione del polo imperialista europeo. Ciò ha comportato un’elitarizzazione crescente di un sistema universitario sempre più al servizio del sistema produttivo ed escludente verso fasce sempre più ampie di giovani.

La digitalizzazione che ha investito la didattica e tanti aspetti della vita universitaria, ha provocato un allargamento delle maglie della possibilità di accesso all’istruzione universitaria permettendo, spesso, un risparmio sui costi della vita che la scelta universitaria comporta.

A provarlo sono le iscrizioni all’Università che, nonostante l’incertezza e le previsioni di peggioramento generalizzato delle condizioni materiali causate dalla pandemia, hanno registrato un aumento rispetto allo scorso anno. L’altra faccia della medaglia, però, è l’inasprimento di un processo di polarizzazione fra gli atenei che spinge in avanti a grandi passi quel processo più complessivo di elitarizzazione.

Questo processo di polarizzazione si esprime in diverse forme. La forte concorrenza scatenatasi fra gli atenei del Sud e del Nord, dove alcuni dei primi si sono trovati costretti a concedere forti incentivi e riduzioni sulle tasse, se non ad azzerarle totalmente, in favore degli studenti che decidevano di iscriversi è solo uno dei dati che la realtà ci ha fornito.

Una scelta dettata dalla necessità di non soccombere alla competizione insita in questo modello universitario che ha già provocato, negli anni, l’impoverimento e la desertificazione di tanti atenei del Meridione.

Una polarizzazione strettamente legata anche alla qualità della didattica e dell’istruzione più in generale. Oggi ci si iscrive all’Università sperando di poter migliorare la propria condizione sociale, un ascensore sociale che però, nella realtà, ha smesso di funzionare.

Per rispondere ad un mondo del lavoro alla ricerca di competenze e non di conoscenze, sempre più predominanti nel percorso universitario sono diventate quelle attività extracurriculari (tirocini, stage, erasmus e via dicendo) che dipendono molto dall’integrazione dell’Ateneo nel tessuto produttivo nazionale e internazionale e dalla possibilità economica dei singoli studenti di potersi permettere esperienze di questo tipo.

In questo senso vediamo costituirsi due categorie di poli in competizione, uno fatto di una maggioranza di atenei, perdenti in questo scontro, che non hanno queste possibilità e che si configurano sempre più come dei laureifici, dall’altra poche università ben integrate e che offrono titoli più facilmente spendibili sul mercato del lavoro in posizioni di rilievo. In questo modello le università private, per pochi studenti facoltosi e per quell’uno su mille che ce la fa, come la Bocconi o la Bologna Business School che aspirano direttamente alla riproduzione della classe dirigente, sono evidentemente il faro verso cui tutto il sistema universitario si muove.

Paradigmatico di questo processo è anche l’istituzione sempre più frequente di lauree professionalizzanti, si veda ad esempio l’annuncio delle lauree di Google, con l’obiettivo di preparare direttamente lavoratori ultraspecializzati in settori specifici. Pilastro fondante di tutto ciò resta l’autonomia degli Atenei, mai messa in discussione e anzi consolidata perché utile a rafforzare la competizione e quindi il modello generale.

Le classi dominanti nostrane continuano a proporci questo modello fallimentare, come è evidente dalle (non)misure per l’Università messe in campo in questi mesi.

Per essere all’altezza della sfida, è tempo di rivendicare un modello universitario radicalmente alternativo, che rompa i meccanismi di competizione e di asservimento ai privati e rimetta in discussione la funzione stessa dell’istruzione nella società, come luogo di creazione di conoscenza e pensiero critico, accessibile e garante del diritto allo studio, al servizio della collettività e per l’emancipazione e la crescita dell’individuo e della società tutta.

Oggi tutto questo ha direttamente a che fare con la vita di tutti noi e la questione dei vaccini ne è un esempio lampante. Nel nostro mondo, l’Occidente capitalista, la scoperta di un vaccino si è trasformata subito in una gara per essere i primi a metterne uno sul mercato, al di là della sua efficacia e sicurezza, per accaparrarsi i profitti più alti.

Non è un caso che uno dei vaccini più promettenti, quello di AstraZeneca, sia sviluppato dall’Università di Oxford. Un esempio che mostra chiaramente la fallacità del sistema universitario e della ricerca. Da un lato è evidente come la ricerca sia piegata agli scopi dei privati: l’eventuale brevetto sul vaccino e i profitti derivanti sarebbero proprietà esclusiva di AstraZeneca, mentre buona parte dei finanziamenti arrivano da fondi pubblici.

Dall’altro evidenzia come la polarizzazione sia un obiettivo del modello e non un effetto collaterale. L’università di Oxford è una tra le più importanti d’Europa e, per i meccanismi di premialità secondo cui si muovono i finanziamenti per università e ricerca, ai primi posti per finanziamenti pubblici ricevuti.

Un progetto rilevante come quello del vaccino renderà l’università di Oxford ancora più attrattiva per studenti e ricercatori di successo, migliorandone ulteriormente i risultati e di conseguenza aumentando i finanziamenti ricevuti, innescando così una spirale che porta ad ampliarsi all’infinito il divario fra università al top delle classifiche e quelle che devono rincorrere in una competizione ad armi impari.

Il 18 dicembre verrà votata la Legge di Bilancio alla Camera e il Governo ha deciso di continuare su questa strada fallimentare regalando altri 84 milioni alle università private e lavandosi le mani di quelle pubbliche e dei suoi studenti. Un messaggio chiaro che conferma la logica di supremazia del privato sul pubblico e la funzione dell’università come luogo di trasmissione delle competenze utili al mercato del lavoro.

In quella data scenderemo ancora una volta in piazza per rivendicare il cambio di rotta necessario qui ed ora. Saremo in piazza per continuare la lotta per un’università libera, accessibile e di qualità, per un diritto allo studio garantito per tutti che oggi significa abolizione delle tasse, blocco degli affitti e delle utenze, investimenti pubblici per l’edilizia scolastica e residenziale, assunzioni di massa e lo stop alla precarietà, l’abolizione del numero chiuso, significa rivendicare una didattica e una ricerca libere dalle ingerenze dei privati.

Significa rimettere al primo posto il soddisfacimento degli interessi della collettività nell’Università e in tutti i servizi pubblici.

Per approfondire le nostre rivendicazioni leggi: Conquistiamoci l’Università! Piattaforma di lotta contro l’élitarizzazione dell’Università, per un servizio pubblico garante del futuro delle giovani generazioni.

Questa è l’alternativa che oggi si rende necessaria e continueremo a batterci finché non sarà realtà, il 18 dicembre e oltre!

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