Il Tribunale di Torino ha confermato la sorveglianza speciale a Eddi senza attenuazioni.
Ecco alcune parti del comunicato dei Comitati torinesi in sostegno all’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est:
La procura torinese non ha rispetto per le cadute e i caduti della guerra di liberazione contro Daesh, lo Stato Islamico, in Siria – e in tutto il Medio Oriente. Non ha rispetto per le Unità di difesa della donna – YPJ di cui Eddi ha fatto parte. A causa di questa scelta la Procura sabauda ritiene anzi Eddi “socialmente pericolosa”.
La procura aveva affermato il 12 novembre che l’attivismo politico di Eddi è inseparabile dalla sua partecipazione siriana. Questo è vero: non si ha una “Eddi” senza l’altra. Ma è anche ciò che i giudici non possono accettare.
Le manifestazioni universitarie, ambientaliste, No Tav, per i diritti sul lavoro e contro l’invasione turco-jihadista del Rojava sono definite «pericolose» e «gravissime». Nessuna sentenza definitiva ha mai addossato a Eddi alcunché di illecito e non potendo fare leva su sentenze, il tribunale si fonda su «segnalazioni» di singoli poliziotti.
La proibizione più grave, e maggiormente contraria ai diritti umani e costituzionali – quella di manifestare e anche parlare in pubblico – viene giustificata in base a questi «paradigmi di pericolosità soggettiva».
Se qualcuno ancora avesse dubbi su cosa è oggi il tribunale di Torino, si consideri la provocazione conclusiva del decreto. Eddi ha chiesto che le venga restituita almeno in parte la somma di 1.000 euro che ha dovuto versare allo stato come “cauzione” per essere sorvegliata, facendo presente che, per una lavoratrice della ristorazione, questo non è un periodo facile; e che chi è sottoposto a sorveglianza speciale perde automaticamente il diritto a qualsiasi sussidio corrisposto dallo stato.
Il collegio risponde a p. 24: «Tra il 2018 e il 2019 la proposta ha affrontato le spese di un lungo viaggio in zona di belligeranza, per poi rientrare per via aerea, così palesando capacità reddituale non minimale».
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