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Da commercialista a rider felice. Ma non è vero…

Fare giornalismo non è difficilissimo, però richiede un po’ di onestà intellettuale. Il che già spiega perché la categoria – sebbene molto supponente – sia così mal considerata “tra la gente”. Fino a rischiare, in alcuni casi, l’aggressione fisica.

Facendo questo mestiere, conosciamo anche la differenza tra “dare una notizia” e “fare ideologia”. Se vogliano dire la nostra, la diciamo; se vogliamo esemplificare il nostro pensiero tramite fatti concreti, “diamo la notizia”, che dovrebbe parlar da sola o anche con minimo di “spiegazione”.

Ovvio che la notizia, per poter servire da esempio, deve esser vera. Ossia le parole devono corrispondere a un fatto reale. Altrimenti non solo si fa una pessima ideologia, ma si ottiene il risultato opposto a quello voluto.

L’incidente capitato al La Stampa, ex glorioso giornale di casa Fiat (oggi Stellantis, col Paris St. Germain nel cuore al posto della Juve, che infatti…), è un classico del wishful thinking neoliberista. Ossia un esempio di come l’ideologia possieda la mente fino a far prendere lucciole per lanterne. O, più banalmente, a dire una cazzata.

Il titolo del 15 gennaio era davvero “acchiappesco” (un grazie eterno a Gigi Proietti): «Da commercialista a rider felice». Conoscendo la vita dei rider, e avendone scritto spesso, già sentirne uno dirsi “felice” sa di farsa. Che poi un commercialista – mestiere come minimo più sedentario – possa riconvertirsi “felicemente” in porta-pizze in bicicletta, diciamolo, suonava un po’ incredibile.

Però la crisi è vera e grossa, anche i commercialisti ci vanno di mezzo: molte piccole imprese chiudono, è possibile che pure qualche commercialista resti senza clienti.

La il quotidiano torinese ora diretto dall’onnipresente Massimo Giannini decide di esagerare. La storia restituisce addirittura un nome e un cognome, tale Emiliano Zappalà, costretto a chiudere il suo studio a causa dell’emergenza sanitaria Covid19, per prendere – letteralmente – la strada del rider. E anche felicemente. Guadagna tanto (non ne abbiamo conosciuto uno…), si tiene in forma pedalando (parecchi li abbiamo visti finire in ospedale o peggio), non avverte nemmeno lo smog della grande città.

Citiamo: «All’inizio dello scorso anno ho chiuso lo studio che avevo avviato da poco, oggi guadagno in media più di duemila euro netti al mese e sto pure mettendo da parte i soldi per aprire un mutuo e comprare casa con la mia compagna. Insomma non mi posso lamentare».

Troppo bello per essere vero. E qualcuno decide di verificare…

La fonte iniziale sarebbe un altro articolo, questa volta de Il Messaggero, scomparso però prematuramente dall’archivio. Purtroppo per La Stampa, era stato però “salvato” da Dagospia.

I problemi, per rintracciare Zappalà, non mancano. Non risulta iscritto all’albo dei commercialisti, non è specificata la città in cui vive e lavora. Ma, come ricostruisce Open (testata online fondata da Enrico Mentana), esiste davvero. Peccato che lui stesso racconti la sua storia in modo un po’ diverso:

Ci sono inesattezze, il rider sono io emanuele zappala età 37 anni, ho studiato ragioneria, sono stato tirocinante in uno studio commercialistico addetto alle buste paga. Ho anche altre esperienze lavorative, non sono passato direttamente dal commercialista al rider, sicuro al telefono ci siamo capiti male. Detto questo come detto mille volte, ho guadagni per dimostrare il tutto, e sono a disposizione di chiunque voglia fare una giornata di lavoro con me, al signor danzi (Osvaldo, l’editore di SenzaFiltro, autore del post qui sotto, ndr) L ho proposto mille volte , e ne approfitto per riproporlo. Saluti

Insomma, Zappalà conferma di essere un rider che guadagna discretamente facendosi un mazzo rilevante (anche 110 km al giorno, senza contare l’andata e il ritorno a casa sua), ma non di “aver chiuso lo studio da commercialista”.

La differenza è decisiva, perché in questo modo salta completamente l’operazione ideologica messa su da La Stampa (grosso modo: “a fare il rider si guadagna così tanto che conviene lasciare il posto da commercialista”). Un modo per “dimostrare” – a là Ichino – che la precarietà è bella, conviene, fa persino bene alla salute…

Al punto che anche il buon Osvaldo Danzi aveva avuto il sacrosanto sospetto: “ha il sapore amaro di un favore offerto a chi deve rifarsi il trucco dopo la recente condanna del Tribunale di Bologna per l’utilizzo improprio dell’algoritmo con cui si gestiscono i riders, dopo la delegittimazione del CCNL da parte di tutte le sigle sindacali e dopo la notizia della morte di un rider di qualche giorno fa.”

E, visto che ci siamo, vale la pensa di segnalare lo scambio di post tra Danzi e Zappalà, in cui si accusa quest’ultimo di fare il “difensore d’ufficio” di Deliveroo ogni volta che ci sono problemi…

Certo, in questo, La Stampa poteva vantare una “potenza di fuoco” e una credibilità maggiore.

Fino a ieri…

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