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25 gennaio: la scuola in piazza, con qualche domanda da sciogliere

Nella mattinata di lunedì 25 gennaio, le piazze di 24 città italiane sono state animate dalla manifestazione nazionale promossa da “Priorità alla scuola” con l’adesione della CGIL e della UIL di settore, dei COBAS, di Rifondazione Comunista e di Potere al Popolo.

La data non è stata scelta a caso poiché segnava il rientro alla scuola in presenza – ma al 50% – dei giovani di molte regioni e anche la chiusura delle iscrizioni agli istituti per il prossimo anno scolastico. Su quest’ultimo tema si sono incentrate gran parte delle parole d’ordine, poiché dal Ministero, ancora una volta, non è giunta alcuna nuova disposizione sulla formazione delle classi, che, in base ai rischi della pandemia, dovrebbero essere drasticamente ridotte nel numero sino al loro dimezzamento.

Resta poi da segnalare che il rientro in classe di lunedì scorso è avvenuto più o meno nelle stesse condizioni di quando si era ripresa la didattica a distanza, dato che ben pochi sono stati i provvedimenti adottati per garantire maggiore sicurezza.

Le altre richieste lanciate nelle manifestazioni riguardavano soprattutto l’aumento dell’organico del personale scolastico, il ripristino delle infermerie nelle scuole, un aumento delle corse del servizio di trasporto pubblico associato agli orari delle scuole e anche, conseguentemente, più finanziamenti all’istruzione.

Richieste ripetute ormai da mesi senza che il governo abbia mai voluto ascoltarle, in particolare quella di nuove immissioni in ruolo per titoli e servizio dei precari che ne avrebbero diritto e che invece la ministra Azzolina (peraltro ora dimissionaria come tutto il governo)  continua a legare a un concorso già sospeso per ragioni sanitarie e di cui, incredibilmente, ha fissato nuove prove scritte per la metà di febbraio, come se la pandemia fosse finita.

È comunque da ricordare che l’assunzione di tali precari, iscritti all’improbabile concorso straordinario, non sarebbe sufficiente a permettere uno sdoppiamento delle classi, poiché si tratta di docenti che lavorano già da anni e quindi il numero totale dell’organico, di ruolo o non di ruolo, non aumenterebbe in modo significativo. È quindi necessario un nuovo piano di assunzioni, su cui il ministero tace e tacerà data anche l’attuale crisi di governo.

Peraltro, il tema della crisi di governo si lega anche alla rivendicazione generale di maggiori fondi all’istruzione. Infatti, è abbastanza chiaro che la crisi scatenata da Renzi su mandato della Confindustria è legata strettamente alla questione dei fondi europei – non solo il Next Generation Fund, ma anche l’eventuale MES – e della fedeltà italiana alla UE. Non è un caso che si ipotizzino presidenze del consiglio di personaggi più affidabili, per l’UE, rispetto a Conte, come Draghi o Cottarelli.

Sappiamo che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza la parte dei fondi del Next Generation Fund destinati a scuola e formazione che arriveranno (forse) all’Italia dalla UE una parte significativa spetta a scuola e formazione.

Abbiamo già analizzato la questione in un precedente articolo (https://contropiano.org/news/politica-news/2021/01/01/la-scuola-dal-7-gennaio-verso-il-next-generation-fund-0135061) in cui si rileva che tale quota ammonta al 10% del totale. Tuttavia, questi fondi saranno sottoposti al rispetto di alcune linee guida dettate dalla UE e finiranno in tasche private e in progetti di intromissione del privato nella scuola pubblica, con la formula della sussidiarietà.

Una tale scelta non stupisce, poiché tutta la politica europea in materia di istruzione e formazione, negli ultimi decenni, è stata improntata alla sottomissione del settore ai bisogni delle imprese e della associazioni industriali.

L’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro e della didattica per competenze rispondono esattamente ai principi di subordinazione della scuola alle imprese e di formazione di una mano d’opera flessibile e malleabile agli interessi del cosiddetto mercato del lavoro.

E’ un tema su cui il movimento dovrà sicuramente confrontarsi nei prossimi mesi, poiché non basta oggi rivendicare più fondi alla scuola senza entrare nel merito di cosa si vuole fare con tali finanziamenti. Chiediamoci se si vuole assumere docenti, realizzare una diminuzione degli alunni per classe -che sarebbe un provvedimento di qualità anche oltre alla pandemia – lottare contro la selezione e l’abbandono scolastico, diminuire il divario di strutture e attrezzature tra regioni e città.

Oppure, aumentare tutti i problemi che abbiamo enunciato, andando verso una scuola sempre più asservita alle imprese? Su questi temi crediamo si debba discutere, anche perché forze come la CGIL e la UIL scuola che oggi aderiscono alle mobilitazioni di “Priorità alla scuola”, in passato non hanno fatto che sostenere la svolta aziendalista e di concorrenza tra le scuole-impresa inaugurata dall’autonomia scolastica di Bassanini e Berlinguer, accettando la formazione duale e, nella sua essenza, la 107/2015 cosiddetta “buona scuola” renziana.

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