Passare dalle parole ai fatti, si sa, è un’operazione complessa, necessita di coerenza, visione lunga e spirito d’iniziativa, altrimenti la parola, foss’anche scripta, rimane vuota di significato politico, ossia di ciò che permette alla fine di cambiare la realtà in cui si vive.
Ma questo non sta succedendo al percorso iniziato il 10 dicembre con un’assemblea all’occupazione di viale delle Province, riunitosi di nuovo pubblicamente a quella di via del Caravaggio a metà gennaio, sceso in piazza a piazza Vittorio la settimana successiva, e che ieri ha preso la piazza del Campidoglio per il primo appuntamento di quel febbraio di mobilitazioni lanciato proprio da quella piazza.
Una piazza importante, che ha radunato movimenti, organizzazioni politiche, studenti, comitati, sindacati conflittuali, associazioni, singoli interessati, nel luogo del potere decisionale capitolino che negli ultimi trent’anni ha spesso disatteso gli interessi della maggior parte degli abitanti della città, e soprattutto delle lotte presenti in piazza.
Ventuno interventi (21!) si sono alternati al microfono, un fuoco di fila proveniente da tutti gli angoli della capitale, da uomini e donne in carne e ossa stanchi delle promesse disattese e dei “giochetti di palazzo” di tutto l’arco politico – comunale come nazionale –, ma ancora abbastanza arrabbiati per provare a dar vita a un percorso autonomo e indipendente di rappresentanza politica e istituzionale.
Il tema principale è ovviamente quello della casa, vero buco nero della città dove si intrecciano speculazione edilizia, rendita di posizione e ingiustizia sociale. Gli sgomberi delle occupazioni effettuati da tutte le amministrazioni, da destra alla “finta sinistra” fino all’amministrazione Raggi-M5S, la truffa dei piani di zona, la mancanza di edilizia e manutenzione popolare che innalza i prezzi di compravendita e affitto di tutta l’area metropolitana, giù fino all’infame articolo 5 del Dl Renzi-Lupi targato Partito democratico che nega residenza e diritti sociali come lo studio, la cura, il voto, protetto fino a oggi da tutti i partiti dell’arco parlamentare.
Ma negli interventi si è racchiuso un alto livello di complessità dei problemi che attanagliano la città, dal futuro delle nuove generazioni, alla gestione del ciclo dei rifiuti e delle sciagurate nuove discariche, alla privatizzazione della sanità e dell’acqua pubblica, alla cementificazione del territorio, al rifiuto dell’ennesima grande opera inutile come la Roma-Latina, al sistema dei trasporti, ai lavoratori precari e chi il lavoro non ce l’ha, alla qualità della vita in periferia, alla gestione della pandemia, agli spazi di socialità e di studio, al diritto all’aborto gratuito e garantito, da sud a nord, da est a ovest.
A tutto questo, la risposta amministrativa non può essere la delega al prenditore privato di turno o allo sforzo dei volontari delle associazioni del Terzo settore, perché ciò significa la de-responsabilizzazione della politica istituzionale, perché rimanda ma non risolve il problema, perché fa dell’emergenza la normalità, perché subordina l’interesse collettivo all’orticello individuale, e soprattutto perché apre le porte al guadagno privato in aree di intervento che solo il pubblico può garantire indiscriminatamente, dal colore della pelle al sesso alla fede religiosa, per tutti gli abitanti.
La scommessa della piazza del Campidoglio allora è l’organizzazione di tutti coloro che hanno subìto questa de-responsabilizzazione, l’alleanza di tutti quei pezzi di città che dimostrano la disponibilità alla lotta, il riconoscimento reciproco di chi ha ancora voglia di mettere in moto un percorso conflittuale che sappia darsi come obiettivo la riconquista dei diritti, a tal proposito sfruttando in autonomia l’occasione delle prossime elezioni amministrative.
È per questo che la nascente coalizione ha incontrato i rappresentanti di Rifondazione comunista la scorsa settimana, e ha in cantiere a breve un incontro con Potere al Popolo (ambedue presenti in piazza), per cominciare a configurare nei temi una alternativa e quella visione di Roma Città Pubblica che ha già messo in campo nelle mobilitazioni di queste settimane.
Ma l’ambizione è quella di porsi come interlocutore credibile per chiunque abbia ancora voglia di riscattare l’incuria, la corruzione, il menefreghismo e il degrado in cui versa la città. Le condizioni? La fine della mediazione e della compatibilità politica con l’intero arco politico odierno, da destra al Pd-Leu fino al M5S, che la storia ha sancito essere inadeguati al cambiamento in favore di lavoratori, studenti, piccoli commercianti, migranti, disoccupati, precari, poveri. Noi, in buona sostanza.
I balletti della politica nazionale, alla faccia dei quasi 100mila morti da inizio pandemia, con il rinculo dell’indecente classetta politica del paese sotto l’orbita di Mario Draghi, sono l’ennesima riprova dell’asservimento di questi miseri politicanti, i soli abusivi in quanto occupanti delle Istituzioni, alle brame di profitto delle multinazionali (il caos sui vaccini è emblematico!), di speculazione delle banche e di governance dell’Unione europea.
Ridare dignità alla politica cacciando via i politici di oggi, proteggendo gli interessi della nostra gente, mettendo in moto un percorso conflittuale e virtuoso che miri alla ritrovata partecipazione popolare sulle scelte che riguardano il NOSTRO futuro.
Su questo, la piazza ha rilanciato l’appuntamento per un corteo dall’Assessorato alla casa fino alla Regione Lazio per il prossimo 16 febbraio, così come il presidio di domani sabato 6, alle 11:00 a piazza San Silvestro, contro l’approssimarsi del governo Draghi, e il 13 nell’occupazione di Casal Boccone e un webinar con la piattaforma Rent strike.
Perché non esistono governi amici. La Raggi ha sentito la nostra voce, la prossima sarà la volta di Zingaretti.
La Roma che lotta esiste, e si è messa in marcia.
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