La prima volta che ho visto davvero l’emigrazione è stata nel maggio del 1968 alla stazione di Bologna. In quel mese in Francia esplodeva un movimento di ribellione generale che avrebbe cambiato la storia, mentre in Italia si svolgeva la campagna per le elezioni politiche.
Anche da noi era dilagata la contestazione studentesca, che già cominciava a contagiare tanti settori della società a partire dagli operai. Il PCI aveva instaurato un dialogo aperto con il movimento, al contrario di ciò che avrebbe fatto nel 1977, e da molti leader degli studenti era venuto l’appello a votare “scheda rossa”. Così, come comunista e studente mi impegnai nella campagna elettorale.
Tornavano in Italia i migranti per votare e per stare qualche giorno in famiglia. Venivano dalla Germania, dalla Svizzera, dalla Francia, dal Nord Europa e viaggiavano su lunghi treni straordinari, cui occorreva una caterva di ore per giungere nel nostro Sud. Partivano di pomeriggio dai paesi ove i nostri migranti lavoravano, viaggiavano tutta la notte e alle prime luci del mattino si fermavano alla stazione di sosta e smistamento di Bologna. Lì noi giovani comunisti lì aspettavamo.
Non avevamo generi di conforto, poi scoprimmo che non ce ne sarebbe stato bisogno perché i treni erano osterie e salumerie viaggianti. Avevamo invece l’Unità, volantini, coccarde rosse, adesivi vota PCI. Ricordo ancora che mi avvicinai intimidito al finestrino da cui si affacciavano un paio di uomini dal volto che a me parve scurissimo, che si appoggiavano assonnati, con la prima sigaretta in bocca, come tanti altri per tutti il lunghissimo treno.
Volete l’Unità? Perché tu sei comunista? Sì. Anche noi siamo comunisti compagno dacci il giornale, hai volantini, hai le bandiere? Dacci tutto che lo mettiamo sul treno. E lo stesso accadde agli altri miei compagni di propaganda.
In breve, senza neppure avere il tempo di capire bene cosa stesse succedendo, noi fummo saccheggiati di tutto il materiale che avevamo portato, che comparve su tutti i finestrini del treno trasformandolo in un treno rosso. Improvvisamente da un vagone si affacciò sventolante un bandierone con falce e martello: compagni questo viene da Brusselle, gridò chi teneva l’asta.
Il treno ripartì tra canti ed evviva e noi corremmo a prendere ancora materiale perché ne arrivava un altro. Dove si ripeté la stessa scena, come anche sul terzo treno. Il quarto non riuscimmo ad intercettarlo, perché nel frattempo la Polfer aveva intercettato noi, ci aveva portati al posto di polizia della stazione e rilasciati dopo averci intimato di andarcene, pena l’arresto.
Tornammo anche i giorni successivi, ma più clandestinamente.
Ho rivissuto questa esperienza grazie alle compagne e ai compagni di Potere al Popolo di Napoli, che hanno preso la bellissima iniziativa di accogliere i migranti che tornano a casa per le feste di Natale.
Dopo il 1968 le grandi lotte e conquiste sociali dei lavoratori e del paese avevano fermato l’emigrazione dal Mezzogiorno. Che ora, dopo trent’anni di politiche liberiste e dieci di austerità è ripresa a valanga, sconvolgendo vite, famiglie, intere comunità.
I nostri migranti che tornavano nel 68 portavano un messaggio di lotta che si sarebbe diffuso nel Sud e in tutto il paese. Oggi i migranti tornano in una Italia dove la rassegnazione sociale è tanta e dove la società, pur infinitamente più ricca di quella di allora, sta sempre più regredendo sul piano dei diritti e della democrazia. Ma ciò che ho appreso quel giorno alla stazione di Bologna vale ancora.
L’emigrazione è comunque una scelta di lotta. Chi emigra cerca di cambiare la sua condizione personale, ma non per questo rinuncia per sempre a cambiare quella del proprio paese. Valeva allora, vale ancora oggi sia per chi va via, sia per chi arriva. L’emigrazione è una forma individuale di lotta di classe che può tornare ad essere collettiva, bisogna crederci e lavorarci.
Bisogna denunciare la vergogna della devastazione sociale del Mezzogiorno e bisogna chiarire che il tanto esaltato successo di Milano è in realtà un insuccesso del paese, ove metà sprofonda. Bisogna mettere sotto accusa politica e morale le politiche liberiste di tutti i governi, che hanno riportato in Italia i tassi di emigrazione degli anni 50.
Ma soprattutto bisogna contare sulla volontà di riscatto degli oppressi e degli sfruttati in carne ed ossa. E i migranti, sia che siano giunti qui da paesi lontani, sia che siano andati lontano da qui per lavorare, sono una coscienze ed una forza di cui abbiamo bisogno. Quella delle compagne dei compagni di Napoli è la via giusta.
Avanti così. #bentornatiemigranti
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