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“In guerra”, con in testa i generali, ma senza munizioni…

Mentre il Wto (organizzazione mondiale del commercio) discute la richiesta di Sudafrica e India – liberalizzare i vaccini Covid, in modo da poterli produrre autonomamente secondo il bisogno e a costo inferiore – in Italia “schieriamo l’esercito” per una “guerra” in cui non abbiamo le munizioni. Ossia le dosi per immunizzare la popolazione.

Restando alla disgraziata Italia in mano ai generali di Draghi, verrebbe da dire che le “esigenze della comunicazione” di Palazzo Chigi stanno prendendo la mano agli apprendisti stregoni.

Il “gran capo” non profferisce parola, ma come un monarca o un giudice parla “attraverso gli atti”. Pardòn, le nomine… Si circonda di prefetti e generali, quasi dovesse andare davvero in guerra. Ma non accenna minimamente all’unica misura di guerra che sarebbe logico prendere in condizioni di pandemia fuori controllo: trasformare alcuni degli stabilimenti farmaceutici sul territorio italiano in fabbriche di vaccini anti-Covid, considerando carta straccia i brevetti.

I cretini dicono che sarebbe “inutile”, perché per fare una cosa del genere occorrono dai quattro ai sei mesi. E per allora le multinazionali occidentali di Big Pharma (Pfizer, Moderna, Johnson & Johnson, AstraZeneca) promettono centinaia di milioni di dosi.

Prima questione: quelle stesse multinazionali avevano già firmato contratti – che sarebbero vincolanti, ma a quanto pare soltanto per i paesi che devono pagare – per consegnare milioni di dosi già ora. Ma in media hanno tagliato unilateralmente le forniture del 50%.

Nel frattempo misteriosi “intermediari” si presentano o vengono contattati dai personaggi più vari (presidenti di Regione, ecc) per offrire vaccini a prezzo maggiorato. Sta già indagando la magistratura ma, qui sì, sapremo qualcosa a pandemia finita…

Non si può dunque affatto escludere che “i vaccini promessi” possano essere molti meno del pattuito.

In ogni caso, il coronavirus Covid-19 sta mutando, dando luogo a numerose varianti che, al di là dell’essere più o meno contagiose e/o pericolose, annunciano una cronicizzazione mondiale di questo virus. Detto altrimenti, ha molte probabilità di diventare ciclico come la normale influenza.

Per farvi fronte, in questo caso, avremo certamente bisogno di poter ogni anno produrre la quantità necessaria di vaccini per impedire che si produca la mattanza 2020-2021 (centomila morti, fin qui). E anche – è l’unico discorso che probabilmente quelli come Draghi capiscono – per evitare di lasciare sul terreno 9 punti di Pil ogni anno…

Quindi ristrutturare qualche stabilimento farmaceutico per la produzione delle dosi (oltre a sviluppare ricerca pubblica per implementare il contrasto alle nuove varianti) dovrebbe essere la normale reazione di qualunque governo. Anche neoliberista, purché non composto di servi sciocchi del capitale multinazionale.

In subordine, o in contemporanea, si dovrebbe cercare di firmare contratti con altri produttori, visto che al mondo ci sono, già pronti, un vaccino russo (Sputnik), 17 vaccini cinesi e almeno quattro cubani in via di conclusione dei test. Più quello detto “italiano”, perché frutto della ricerca dell’ospedale Spallanzani, ma di proprietà della svizzera Reithera.

Un piccolo sguardo su quanto accade ai bordi e dentro l’Unione Europea dovrebbe scollare le palpebre e far vedere.

Il paese europeo che è più avanti nella campagna vaccinale (dopo la Gran Bretagna, che ha esercitato il suo “potere sovrano” su Pfizer e AstraZeneca, trattenendo per sé le dosi che contrattualmente sarebbero dovute andare altrove) è nientepopodimeno che la Serbia.

Non lo ha prodotto in casa, ma si è affidata alla cinese Sinopharm e al russo Sputnik, oltre che a piccoli quantitativi del prodotto Pfizer. Tanto da potersi permettere il beau geste di regalare a Montenegro e Macedonia (due repubbliche ex jugoslave, prima del “democratico” bombardamento Nato) 5.000 dosi del prodotto AstraZeneca, di cui evidentemente non sanno che farsene.

Si potrebbe dire che la Serbia non appartiene ancora all’Unione Europea (e le auguriamo di restarne fuori!), dunque non avrebbe potuto contare su una piccola percentuale delle dosi contrattate per conto dei “27” membri direttamente da Ursula von der Leyen.

E si direbbe una cazzata. E infatti diversi paesi membri hanno deciso di fare come se la Ue non ci fosse. A parte la solita Ungheria del parafascista Orbàn (comunque membro del Partito Popolare Europeo, come la Merkel, Berluska e Tabacci…), anche l’Austria del giovane ultraconservatore Sebastian Kurz, prima del suo viaggio in Israele, ha annunciato ieri un drastico cambio di rotta. Austria, Danimarca e altri “in futuro non faranno più affidamento sull’Ue e, insieme a Israele, nei prossimi anni produrranno dosi di vaccino di seconda generazione per ulteriori mutazioni del coronavirus e lavoreranno insieme alla ricerca di opzioni di trattamento”.

Nei giorni precedenti aveva incontrato direttamente Vladimir Putin per saggiare la possibilità di forniture di Sputnik.

Insomma. In fatto di lotta alla pandemia l’Unione Europea è un furgone destinato allo sfasciacarrozze. L’unico tema su cui non intende mollare la presa sono le “politiche di bilancio”, basate sullo scambio prestiti contro “riforme” improntate all’austerità. Ma non si va lontano, nella Storia, a forza di ricatti miopi.

Di fatto, questa organizzazione criminale con le proprie popolazioni è totalmente asservita ai bisogni e le ansie di guadagno dei gruppi multinazionali (il settore farmaceutico è solo uno dei tanti…). E neanche dopo un anno di pandemia e relativa contrazione economica riesce a cambiare ottica, strategia, atteggiamento.

I più attenti ricordano che questa “indifferenza” ai bisogni della popolazione, e di sudditanza nei confronti di Big Pharma, non è affatto una novità. Cinque anni orsono, al tempo dell’uscita del nuovo, efficace farmaco contro l’epatite C (protetto da brevetto), il governo italiano e l’AIFA contrattarono con l’azienda produttrice un prezzo così elevato da comportare un drammatico razionamento della terapia.

Di fatto, solo i pazienti all’ultimo stadio potevano accedervi e di conseguenza i pazienti meno gravi dovevano aggravarsi prima di poter accedere alle cure. Dal punto di vista sanitario era ed è una autentica follia, praticamente un crimine (spesso i malati morivano appena arrivati “al punto giusto” per poter ricevere il farmaco).

Certo, i malati di epatite C sono parecchi, ma non coincidono con l’intera popolazione (come invece avviene con il Covid-19). E neanche si ferma l’economia del paese, o quella europea, se ne muoiono tanti e tanti restano contagiati nei rapporti con i malati.

Allora come oggi, insomma, viene considerato “normale” garantire quel prezzo mostruoso alle multinazionali e lasciare nell’incertezza una platea numerosa ma comunque limitata. Anche in quel caso, comunque, si sarebbe potuto sospendere il brevetto, come consente il trattato TRIPs, e produrre il farmaco generico a favore di tutti quelli che ne hanno bisogno.

Ma non farlo neppure davanti a una pandemia planetaria è peggio che criminale.

E di questa natura sono i governi che abbiamo davanti, in quest’angolo di mondo.

Si capisce perché nominino ora soprattutto generali e spioni. Per proteggersi.

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1 Commento


  • E Sem

    Forse l’ unica nomina che non fa riferimento al manuale cencelli e’ quella del generale lucano/piemontese: unico esperto di logistica in un paese di esperti del malaffare, non mi sembra che il trio di amici del diportista pugliese brillassero per efficenza. Per quanto riguarda il discorso vaccini non dimentichiamoci che abbiamo aderito senza condizioni al neoliberismo criminale internazionale. Ci lagnamo solo quando siamo noi le vittime?

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