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Dentro la Farnesina gli uomini dell’Eni, grazie ad un accordo segreto

La pagina web di Re:Common – associazione che conduce inchieste e campagne contro la corruzione e la distruzione dei territori in Italia, in Europa e nel mondo – ha pubblicato alcuni giorni fa una inchiesta  dal titolo “Tutti gli uomini del Ministero” nella quale  rivela l’esistenza di un protocollo tra il Ministero degli Esteri e l’Eni che consente ad uno dei più grandi gruppi industriali italiani di collocare i propri uomini presso il ministero per un periodo illimitato di tempo. Il tutto motivato per facilitare un “raccordo” tra l’azione della diplomazia italiana, la promozione del made in Italy all’estero e i concretissimi interessi dell’azienda.

In questi decenni, in molti sono arrivati alla conclusione che molto spesso l’Eni sia stata una sorta di “ministero degli Esteri parallelo” che ha influenzato pesantemente le scelte internazionali dell’Italia. Ma che addirittura ci fossero i suoi manager dentro alla Farnesina non è proprio una notizia di poco conto.

Il documento di cui Re:Common è entrata in possesso risale al 2008 e non è mai stato reso pubblico. In questo trova conferma la tesi secondo cui la politica estera del nostro Paese molto spesso viene determinata dall’ Eni, tanto che la protezione dei suoi asset petroliferi ha motivato persino alcune delle missioni militari italiane all’estero, molte delle quali tutt’ora in corso.

A partire dal 2009 (governo Berlusconi, ministro degli Esteri Frattini), i manager dell’Eni risultavano ben inseriti al ministero degli Esteri. Per alcuni di questi, il quotidiano Domani ha ricostruito anche gli incarichi più recenti. Si tratta di Giuseppe Ceccarini, Alfredo Tombolini e Sandro Furlan.

All’interno della Farnesina sono presenti due cabine di regia proprio per indirizzare l’azione dell’Italia in materia di energia, assicurando così un pieno coordinamento con la politica estera nazionale.

È in queste cabine di regia che si discute il posizionamento dell’Italia nell’ambito dei vertici internazionali sul clima come la COP 26 e il G20. La presenza di Eni e delle altre compagnie fossili italiane all’interno di questi organi di coordinamento è notevole. Durante l’ultima riunione della Cabina di regia “Ambiente e Clima” erano presenti tre rappresentanti di Eni, due di Snam, due di Saipem, e uno di Enel.

Quello in corso sarà un anno fondamentale per la politica energetica italiana. Il nostro paese avrà la co-presidenza della prossima COP 26 e quella del G20. Un tema chiave sarà proprio quello dei finanziamenti pubblici a nuovi progetti fossili. Alla luce di quanto abbiamo scoperto, viene da chiedersi però quali siano le possibilità concrete che l’esecutivo smetta di finanziare i devastanti progetti di Eni, fintanto che la compagnia godrà di una posizione privilegiata all’interno della stessa Cabina di regia incaricata di coordinare la posizione dell’Italia nell’ambito di questi negoziati”, ha affermato Alessandro Runci, campaigner di Re:Common e autore del rapporto.

La rivelazione di Re:Common – pubblicata anche su Il Fatto Quotidiano – non è stata molto gradita dal Ministero degli Esteri che ha inviato una nota al quotidiano definendo la notizia accattivante quanto fuorviante. La Farnesina prova a giocare del “ma lo sapevano tutti!!”, anche se in realtà ammette di essere stata costretta a farlo da una esplicita richiesta di accesso agli atti.

Nella nota inviata a Il Fatto, il ministero degli Esteri scrive che in realtà, “non c’è alcun “accordo segreto”, come dimostrato dal fatto che la presenza di dipendenti ENI (così come di quelli di tutti gli altri “esterni” che a vario titolo collaborano con il MAECI) è doverosamente pubblicata sul sito della Farnesina”.

Ma successivamente deve precisare che: “Segnaliamo anche che le “rivelazioni” contenute nel citato rapporto di Re:Common, altro non sono se non le informazioni fornite alla stessa Re:Common proprio dalla Farnesina nell’ambito di una richiesta di accesso agli atti FOIA (Freedom of Information Act)”.

Non solo. La nota della Farnesina ammette che: “Quello che l’articolo definisce ”infiltrazione” per noi è dare forma al concetto di “Sistema Paese”. Per svolgere questa azione strategica la Farnesina – lo confermiamo – collabora stabilmente, come consentito dalla legge, non solo con ENI, ma anche con molte altre aziende (quali ENEL, SNAM, LEONARDO..) distaccando presso di esse un consigliere diplomatico. Si tratta di uno schema che funziona molto bene, come dimostrano i significativi risultati ottenuti”.

Insomma quanto denunciato da Re:Common si rivela vero e la Farnesina per ammetterlo ha dovuto cedere ad una richiesta di accesso agli atti FOIA. Una volta che la vicenda è stata resa pubblica, ricorre alla modalità di rendere una anomalia una sorta di normale amministrazione.

La replica di Re:Common alla nota dela Farnesina non si è fatta attendere. “Il ministero menziona significativi risultati ottenuti dalla osannata partnership pubblico-privata, quale quella tra il Mae e l’Eni. Ci chiediamo per chi questo schema abbia funzionato “molto bene”. Di certo non per le comunità che vivono nel Delta del Niger, o nella regione mozambicana di Capo Delgado: loro ci dicono che il Sistema-Italia è una vera e propria maledizione”, è scritto nella replica dell’associazione alla Farnesina.

“Vorremmo sapere quale è stato il miglioramento della condizione dei diritti umani e del rispetto di accordi internazionali al riguardo da parte dell’Egitto in seguito all’azione congiunta Farnesina-Eni? E cosa ha portato la continua presenza di Eni nello scenario di guerra in Libia? Oppure nel contesto della guerra in Iraq e quello che ne è seguito? Se la politica estera e di sviluppo deve essere results-based, come chiede la comunità internazionale, è tempo che la Farnesina dettagli i propri successi”.

Insomma non sono proprio domande irrilevanti  o quisquilie. Il fatto che spesso i militari italiani siano stati spediti in “missione di pace” che in realtà tutelavano gli interessi dell’Eni non è sfuggito agli osservatori più attenti.

Del resto qui siamo decisamente nel cuore della contraddizione di un paese come l’Italia, fortemente dipendente sul piano energetico e quindi alla ricerca di continue diversificazioni di rapporti sul piano delle forniture,  ma che deve far convivere tale esigenza strategica con i vincoli imposti dalle alleanze dentro la Nato e dentro l’Unione Europea. Il frequente ricorso a sanzioni contro paese strategici sul piano delle forniture (vedi Russia o Iran o Venezuela) mette in crisi alcune delle migliori possibilità.

Il Rapporto sulla politica estera 2020 dell’Astrid  (il Gruppo di Riflessione Strategica, insediato al Ministero degli Affari Esteri nell’ottobre del 2007, ndr), afferma che: “Sicurezza e affidabilità delle forniture di energia, competitività del mercato (nazionale ed europeo), protezione del clima, sono tre aspetti congiunti di un approccio strategico alla sfida energetica, che deve coinvolgere scelte pubbliche e settore privato. In questo contesto, i Ministeri degli Affari Esteri sono chiamati ad un ruolo più attivo che in passato, utilizzando la diplomazia in una logica di sicurezza energetica (diversificazione dei fornitori e delle fonti)”.

E’ in questo senso che si comprende bene la strettissimo intreccio tra un grande gruppo monopolistico come l’Eni e la Farnesina. Sempre secondo il rapporto dell’Astrid 2020:  “la politica estera nazionale – più che svolgere un ruolo di facilitazione degli scambi fra singoli paesi – è impegnata nella tutela degli interessi più generali dei paesi consumatori nei confronti di quelli produttori (dove si registra un aumento del peso delle Compagnie di Stato, anche in ambito internazionale). Per contro, nel caso degli approvvigionamenti di gas naturale, i rapporti bilaterali – politici e commerciali – fra il singolo paese esportatore e il singolo paese importatore rivestono un’importanza cruciale”.

L’Eni è comunque una società pubblica quotata in borsa, la cui golden share è saldamente in mano allo Stato (per il 26,369% con Cassa Depositi e Prestiti, per il 3,934 direttamente al ministero dell’Economia). Dunque non è strano, né disdicevole che abbia una relazione stretta anche con il ministero degli Esteri, visto che la quasi totalità del suo business – cercare, estrarre e commercializzare petrolio/gas e derivati – avviene in altri Paesi.

Il problema è se sia l’Eni a comandare la politica estera dello Stato italiano oppure, come molte volte è apparso manifesto, l’opposto.

Che spesso gli interessi dell’Eni abbiano piegato gli interessi generali della politica estera italiana non è certo un dettaglio di secondo piano. Le recenti vicende della guerra civile in Libia o dell’Egitto nel caso Regeni o nelle inenarrabili vicende africane dell’Eni, sono lì a dimostrarlo concretamente, come avviene in ogni paese che – grande o piccolo che sia – ha una natura e qualche ambizione di tipo imperialista.

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