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Guerra fredda, guerra anche di spie…

Ma davvero la “guerra di spie” è roba del secolo scorso? Ma davvero “soltanto la Russia” continua a battere quella pista?

Lì per lì – apprendendo la notizia dell’arresto di un ufficiale della Marina militare, distaccato allo stato Maggiore, durante l’incontro con un “collega” russo, cui doveva consegnare foto di documenti secretati – avevamo preso l’evento come “la normalità”.

Viviamo infatti da anni in una nuova “guerra fredda”, che ha le proprie radici nella profonda crisi – non solo economica – dell’imperialismo ad egemonia Usa. E dunque vediamo ogni giorno provocazioni, sanzioni, contromisure, ritorsioni, accuse (spesso campate in aria, altre con ovvio fondamento ma senza alcuna differenza con quanto viene fatto da questa parte) che alzano pian piano la temperatura delle relazioni internazionali tra Paesi e/o sistemi diversi.

In questo ampio ventaglio di strumenti di “guerra fredda”, la guerra delle spie è sempre stato un must, ovviamente poco enfatizzato ma iperattivo.

Ascoltando invece Enrico Mentana, direttore del Tg su La7, e altri opinion maker “democratici”, ci simo accorti che “il messaggio” che ci viene consegnato dall’establishment è che “noi” (l’Occidente neoliberista) queste cose non le faremmo più, mentre quei retrogradi di russi (diverse volte, ai giornalisti più maturi, sembra sul punto di sfuggire il termine “sovietici”) hanno ripreso a farle.

Naturalmente è una stronzata. Basterebbe riguardarsi la vicenda di Edward Snowden, o anche soltanto il film basato sulle sue memorie, per sapere che l’attività spionistica occidentale è vastissima, pervasiva, totalizzante, continua, sempre più tecnologicamente implementata. Ed è rivolta sia contro i “nemici” ufficiali, sia contro i propri alleati-subordinati e finanche contro la propria popolazione.

Semmai, ad apparire obsoleta è la “tecnica” usata nel caso dell’ufficiale italiano (incontro fisico, in una stazione della metro, tra venditore e compratore di documenti secretati), non certo la pratica.

D’altronde, vorremmo chiedere, com’è stato scoperto questo micro-commercio di documenti? Col controspionaggio. Ossia tramite l’attività di un servizio segreto dedicato a sorvegliare, anche pedibus calcantibus, che le proprie infrastrutture strategiche e militari siano al riparo da “infiltrazioni” nemiche (i servizi Usa, invece, per antico trattato segreto, sono alla guida dei “nostri” servizi; ma non fa scandalo…).

Anche le motivazioni alla base del “tradimento” – secondo quanto riportato dai giornali di oggi – sono assolutamente tradizionali e tipiche. Si tradisce la propria parte (il Paese oppure la formazione politica) per una lunga serie di motivi: soldi (pare si questo il caso del capitano di vascello arrestato), crisi di valori, sesso (spessissimo), necessità improvvise e irrisolvibili con le risorse a disposizione.

In tutti i casi, di fronte a un’esigenza, si presenta qualcuno con sorriso di chi può risolverti tutti i problemi in un fiat. Se dietro c’è uno Stato, non è difficile (“i soldi li stampiamo noi”, dicevano i carabinieri di Dalla Chiesa agli arrestati per convincerli a tradire). Non trovi un lavoro, non riesci a far curare tua madre o tuo figlio? Lavora con noi, non avrai più preoccupazioni. Se non con lo specchio, quando ci passi davanti…

Dunque, la “guerra di spie” è talmente normale anche oggi da far mantenere ben due servizi distinti (uno “interno”, dedicato alla sorveglianza/infiltrazione delle opposizioni politico-sociali, l’altro “esterno” dedicato allo spionaggio e controspionaggio). Autori, fra l’altro, di un discreto numero di stragi nel nostro paese (usando manovalanza fascista oppure in proprio).

Ci rendiamo conto che per molti compagni più giovani stiamo parlando di un mondo molto poco conosciuto, mentre la generazione post ‘68 lo considerava appunto la “normalità della lotta di classe”. Il che, fra l’altro, costringeva a strutturare una “controinformazione” almeno dignitosa per non ritrovarsi con “il nemico che marcia alla tua testa” dopo averti sapientemente infiltrato.

Il fatto che non se ne parli più non significa affatto che quella “pratica millenaria” sia cessata. Anzi, procede senza più ostacoli… Ma, concentrati sulle nuove tecnologie di controllo (dai social al riconoscimento facciale, dalle intercettazioni telefoni che a quelle informatiche, ecc), è andata persa quella sana abitudine a chiedersi “ma chi è questo/a?” per ogni nuovo contatto o simpatizzante.

Paranoia? Macché… Giusto per fare un esempio: persino un partito che stava progressivamente posizionandosi “sotto l’ombrello della Nato”, come il Pci, negli anni ‘70 manteneva il criterio statutario per cui ogni nuovo iscritto doveva essere “presentato” da almeno due militanti.

A livello internazionale, nei rapporti tra Stati “avversari”, la guerra delle spie è normale, istituzionalizzata, regolata da un preciso galateo diplomatico (nel caso di arresto o espulsione di uno o più agenti è uso reagire con espulsioni proporzionali, ecc). Quindi le sviolinate in stile Mentana hanno un senso tutt’altro che “giornalistico”; puntano soltanto a irrobustire il “senso comune” per cui la Russia o la Cina, e altri Stati non subordinati all’imperialismo made in Usa, sarebbero “aggressivi, antiquati, illiberali”, ecc.

Va sottolineato che in questa lista di “nemici potenziali” sono presenti sistemi ed interessi molto diversi, niente affatto simili tra loro. La Russia di Putin, per esempio, è come sistema economico altrettanto liberista dell’Occidente. Mentre la Cina, oppure Cuba e il Venezuela, presentano varianti davvero diverse di sistemi basati su programmazione e pianificazione statuale. Per non dire poi dell’Iran e altri Paesi islamici, autentici “estranei” rispetto all’universo “culturale” qui egemone.

Nella propaganda occidentale tutte queste differenze svaniscono e rimane solo il tratto comune: “non sono dei nostri, non ci obbediscono, non si sottomettono, dunque sono nemici”.

E’ la normalità di questo mondo che marcia verso nuove guerre, dalle forme nuove per obbiettivi vecchi. Decisivo non farsi infinocchiare…

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