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Parigi. Bergamin e Di Marzio tornano liberi e non estradabili

Si affloscia giorno dopo giorno la “struttura giuridica” (si fa per dire…) dell’operazione mediatica organizzata a Parigi nei giorni scorsi e cinematograficamente intitolata “ombre rosse”.

Nelle ultime 24 ore due dei dieci esuli che l’Italia di Draghi aveva “chiesto indietro” alla Francia di Macron sono definitivamente diventati uomini liberi a tutti gli effetti. Per entrambi è infatti scattata la prescrizione del reato e delle relative condanne.

Converrà entrare nei dettagli, perché in questa materia l’ignoranza (insieme alla menzogna) regna sovrana.

Partiamo dalla definizione stessa di “latitanti”, usata a pen di segugio dalla stampa italiana e anche dalle “istituzioni” (a conferma che l’autorità nel comandare non si sposa sempre con l’autorevolezza e la serietà).

Come già scritto ieri, “latitante” è chi si nasconde, adotta un’identità di copertura, non può possedere o comprare nulla. Un fantasma che il paese ospitante neanche sa di avere nel suo territorio.

Rifugiato” è invece chi ha ottenuto un permesso dal paese ospitante, con tutte le conseguenze legali del caso (documenti, diritto di proprietà, residenza, lavoro, ecc). Un essere umano che vive ed agisce con il suo nome alla luce del sole e secondo le leggi del paese ospitante.

E veniamo alla notizia del giorno.

La Corte d’Assise di Milano ha dichiarato estinta per intervenuta prescrizione la pena a 16 anni, 11 mesi e un giorno che doveva scontare Luigi Bergamin, ex militante dei Proletari Armati per il Comunismo (Pac), costituitosi lo scorso 29 aprile in Francia, un giorno dopo l’operazione che ha portato all’arresto di sette ex membri di organizzazioni estremiste di sinistra.

La decisione dei giudici è arrivata all’indomani dell’incidente di esecuzione sollevato con un ricorso della difesa. Bergamin, oggi 72enne, il 30 marzo era stato improvvisamente dichiarato “delinquente abituale” dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, su richiesta della Procura.

La ragione? Una sola: il ministero della giustizia stava preparando la “grande operazione” e dunque era necessario interrompere il decorso della prescizione, in modo da poterlo arrestare all’estero pochi giorni prima che scattasse.

La logica tutta politica di questa mossa non ha però tenuto conto neppure delle leggi italiane. Quel provvedimento inventato (“delinquente abituale” è chi vive di reati contro il patrimonio, ovvero ladri, rapinatori, al limite spacciatori, ecc, non certo chi da 40 anni ha un lavoro retribuito o un’attività propria), come ogni altro, può essere impegnato dall’avvocato difensore.

Cosa che è avvenuta (e probabilmente la Procura sperava che la lontananza di Bergamin rendesse meno probabile l’azione del difensore) e dunque a rigor di legge quella dichiarazione non era ancora “irrevocabile”.

La Corte d’Assise di Milano che ha esaminato il ricorso non ha potuto far altro che registrare la successione dei tempi e dichiarare pertanto non valida la decisione del Tribunale di Sorveglianza. Pronunciandosi invece per l’avvenuto prescrizione della pena inflitta a suo tempo a Bergamin.

Nella sentenza si dice infatti: Risultano essere trascorsi non solo più di quaranta anni dai gravissimi fatti di reato per cui Bergamin è stato ritenuto responsabile, ma soprattutto più di trenta anni dall’irrevocabilità della pronuncia di condanna della cui esecuzione si discute”.

Per i giudici va rimarcato come “il legislatore” abbia ritenuto che “a seguito del decorso di trenta anni” dalla irrevocabilità della sentenza che riconosce la colpevolezza di un soggetto e che gli infligge una pena temporanea, “debba ritenersi venuto meno l’interesse dello Stato all’esecuzione della stessa e ciò anche se il termine di 30 anni è inferiore al doppio della pena inflitta o è, come nel caso di specie, non di molto superiore a quella originariamente comminata”.

Strano che ai vertici del ministero della giustizia non conoscano le basi del codice penale italiano…

Sempre ieri è scattata la prescrizione anche per Maurizio Di Marzio, l’unico che si era reso irreperibile e non si era presentato alle autorità francesi. Nel suo caso non ci potevano essere neanche i piccolissimi margini di manovra escogitati invece per Bergamin. La sua pena residua da scontare – 5 anni e 9 mesi – lo rendeva comunque quello con la posizione meno “pesante” tra i dieci esuli interessati dalla “grande operazione”.

Da oggi può tornare uomo libero.

Chissà se ai vertici del governo e del ministero comincia a circolare il sospetto di aver fatto una scemenza di proporzioni colossali. Conoscendo un po’ la loro psicologia, e il loro bisogno di intestarsi “successi facili”, questo mezzo fallimento li renderà ancora più feroci nei confronti degli altri otto…

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