Il “tagliando” della Corte dei Conti sul sistema universitario in Italia ha prodotto un verdetto impietoso.
Analizzando parametri come finanziamento, composizione, modalità di erogazione della didattica, offerta formativa e ranking delle università italiane, i giudici contabili emettono un giudizio severissimo sia sull’incapacità del sistema di offrire sbocchi occupazionali adeguati ai laureati italiani, sia sulla fortissima selezione su base sociale introdotta nei fatti nell’accesso ai livelli di istruzione superiore.
La Corte dei Conti ha preso in esame di dati di 98 atenei, di cui 67 statali, 3 Scuole Superiori e 3 Istituti di alta formazione e di 31 Università non statali, di cui 11 telematiche.
La Corte sottolinea il mancato accesso o l’abbandono dell’istruzione universitaria dei giovani provenienti da famiglie con redditi bassi. Secondo la relazione su questo pesano, oltre a fattori culturali e sociali, il fatto che la spesa per gli studi terziari, caratterizzata da tasse di iscrizione più elevate rispetto a molti altri Paesi europei, grava quasi per intero sulle famiglie, vista la carenza delle forme di esonero dalle tasse o di prestiti o, comunque, di aiuto economico per gli studenti meritevoli meno abbienti.
Tale aspetto per la Corte dei Conti, richiede un’opera di aggiornamento e completamento dell’attuale normativa per dare piena attuazione alla disciplina del diritto allo studio con la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e l’attivazione degli strumenti per l’incentivazione e la valorizzazione del merito studentesco.
La Corte dei Conti segnala con forza anche le profonde criticità nell’ambito della ricerca scientifica in Italia, con particolare attenzione a quella del settore università: “nel periodo 2016-2019 l’investimento pubblico nella ricerca appare ancora sotto la media europea“, mentre le attività di programmazione, finanziamento ed esecuzione delle ricerche si caratterizzano “per la complessità delle procedure seguite, la duplicazione di organismi di supporto, nonché per una non sufficiente chiarezza sui criteri di nomina dei rappresentanti accademici in seno ai suddetti organismi, tenuto conto della garanzia costituzionale di autonomia e indipendenza di cui all’art. 33 della Costituzione“.
Infine, e non certo per importanza, la Corte dei Conti sottolinea la notevole percentuale del lavoro precario nel settore della ricerca determina la dispersione delle professionalità formatesi nel settore.
La conseguenza è che le limitate prospettive occupazionali, con adeguata remunerazione, spingono sempre più laureati a lasciare il Paese. L’incremento della fuga dei cervelli all’estero è stato impressionante: +41,8% rispetto al 2013.
Non solo. Le università, anche quelle pubbliche, troppo spesso “portano l’acqua con le orecchie” alle imprese private. Infatti è quasi raddoppiato il numero dei brevetti concessi e riconducibili alle attività di ricerca delle università italiane. Il problema è che questi brevetti, in moltissimi casi, vengono poi appropriati e commercializzati dalle imprese private e non dalle università.
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