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La semplificazione degli appalti da Conte a Draghi

Siamo ormai agli sgoccioli per il provvedimento che il governo dovrebbe adottare entro la fine di giugno per stabilizzare il nuovo Codice degli Appalti pubblici in sostituzione dello “Sblocca Cantieri” del 2019, che scadrà a fine anno.

La bozza di provvedimento partorita in questi giorni è stata inviata (in ritardo) all’UE per una sua approvazione, perché anche sulla normativa che dovrebbe garantire la trasparenza negli appalti pubblici italiani, non si muove foglia in Italia se Bruxelles non dà il suo consenso.

Quel che è certo è che alcuni punti sono stati messi in sicurezza prima di altri, in continuità o in peggioramento rispetto allo scorso DL Semplificazioni.

Tra questi, ciò che determinerà la morte del Codice degli Appalti è l’eliminazione di alcuni punti essenziali che garantivano (almeno in via teorica) la trasparenza e l’anticorruzione negli appalti pubblici: dall’adozione del “principio del silenzio-assenso” per velocizzare l’avvio delle opere alla semplificazione della procedura di valutazione ambientale, guidata da una “supercommissione” nazionale che centralizzerà le valutazioni.

Tutte cose peraltro già presenti nel “decreto semplificazioni” di Conte, ma che ora si incastrano in un modo ancora più scandaloso e criminale.

C’è poi il ritorno all’”appalto integrato”, ossia alla possibilità, per l’appaltatore, di aggiudicarsi il lavoro di progettazione ed esecuzione in un’unica volta e l’innalzamento delle soglie di gara, che consente l’”affidamento diretto” senza bando fino ai 139.000 euro di contratto (prima la soglia era 75.000).

Sarà inoltre necessario avviare la consultazione di “almeno 10 operatori” solo per le opere superiori a 1 milione di euro (prima era necessario per quelle oltre i 350.000 euro).

Tradotto in parole semplici, il monopolio degli affidamenti pubblici potrà avere le mani molto più libere di prima, mentre la concorrenza (al ribasso) sarà riservata solo ai grandi, quelli a cui si affideranno i milioni di euro per le grandi opere pubbliche.

C’è infine il ritorno al passato per quanto riguarda il subappalto, che nel vecchio “sblocca cantieri” era previsto fino a un massimo del 40% del valore complessivo del contratto, mentre in questa nuova bozza viene completamente sdoganato grazie all’assenza di una soglia massima.

Tutto ciò significherà favorire la corsa al massimo ribasso, favorendo lo sfruttamento della manodopera da un lato e l’abbassamento dei criteri di qualità e sicurezza dall’altro, senza contare gli appetiti della criminalità organizzata per ” i servizi a  contorno”, come il movimento terra.

Su questo punto persino i sindacati “complici” hanno per ora proclamato lo sciopero (significativamente solo dopo l’analoga iniziativa dell’Usb), allarmati da quanto queste misure incideranno soprattutto nelle condizioni di lavoro, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza nei cantieri, ma anche i tassi di sfruttamento a cui saranno soggetti i dipendenti delle stazioni subappaltartici.

Questo primo “decreto economico” del governo Draghi segna sicuramente un passo in avanti verso lo sviluppismo selvaggio, in un momento in cui paradossalmente si finge di ragionare molto sulla crescita sostenibile, in equilibrio con l’ambiente e con il territorio.

E numerosi passi indietro, però, dal punto di vista della trasparenza, ne tanto meno su quello della sostenibilità sociale.

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