I bollettini quotidiani sull’andamento della pandemia non ci restituiscono più i numeri pesanti e dolorosi dei lunghi mesi trascorsi. Le terapie intensive hanno drasticamente ridotto i ricoveri e i reparti Covid vengono smantellati. Se le varianti del virus non nascondono brutte sorprese e la copertura vaccinale della popolazione farà in qualche modo da barriera, la sensazione è che si stia tornando alla “normalità”. Ma è proprio questa che deve preoccuparci e sin da subito.
La normalità del sistema sanitario nazionale (che noi preferiamo ancora definire “servizio”) prima della pandemia gridava vendetta e i suoi enormi buchi sono venuti fuori dolorosamente con l’emergenza Covid.
Esiste il rischio che, passata l’emergenza, tutto ritorni come prima e con una sanità pubblica decimata, taglieggiata e al collasso? Si questo rischio esiste e dovremo fare di tutto affinchè non accada.
Per avere un’idea di come stavano le cose, è sufficiente andare a vedere l’Annuario diffuso dal Ministero della Sanità e relativo al 2019.
Andando a confrontare i dati del medesimo rapporto in relazione a quelli del 2010 emerge con la limpidezza dei numeri la vera e propria garrota alla quale i vari Governi che si sono succeduti nello scorso decennio hanno sottoposto il Servizio Sanitario Nazionale
In 10 anni la sanità pubblica si è ritrovata con ben 173 ospedali in meno, con meno personale (sono stati tagliati oltre 46 mila tra dipendenti e medici convenzionati) e una medicina territoriale ridotta ai minimi termini con solo pochi e insufficienti progressi nell’Assistenza domiciliare integrata.
Nel 2010 gli ospedali in Italia, tra pubblici e privati, erano 1.165 mentre nel 2019 sono scesi a 992, con un taglio più pesante per quelli pubblici.
Le strutture per l’assistenza specialistica ambulatoriale erano 9.635 nel 2010 e sono scese a 8.798 dieci anni dopo. Ancora più marcato il taglio dell’assistenza Territoriale Residenziale che a fronte delle 9.635 strutture presenti nel 2010 ne conta 7.683 nel 2019. In controtendenza invece l’assistenza territoriale semi residenziale che invece vede crescere le strutture: erano 2.644 nel 2010 e sono 3.207 nel 2019. Stesso dicasi per quella Riabilitativa che da 971 strutture è passata 1.141. Stabili invece i numeri per l’altra assistenza territoriale.
Ma è drammaticamente evidente come i tagli abbiano riguardato soprattutto il settore della sanità pubblica che nel 2019 rappresentava il 41,3% delle strutture sanitarie totali contro il 46,4% di 10 anni prima.
Nei dieci anni trascorsi tra pubblico e privato sono stati tagliati 43.471 posti letto tra degenze ordinarie, Day hospital e Day surgery. In riduzione anche il numero dei Consultori: ne sono stati chiusi 1 su 10 (erano 2.550 nel 2010 contro i 2.277 del 2019). Sono cresciuti invece i Centri di Salute mentale (erano 1.464 dieci anni e fa sono diventati 1.671 nel 2019).
E poi ci sono stati i dolorosi tagli al personale sanitario. In 10 anni si registrano 42.380 unità in meno (-6,5%). Nello specifico 5.132 medici in meno (erano 107.448 nel 2010 e nel 2019 sono scesi a 102.316) e 7.374 infermieri in meno (erano 263.803 nel 2010 e nel 2019 sono scesi a 256.429).
Non sono stati risparmiati neanche i medici di famiglia, diminuiti dai 45.878 nel 2010 ai 42.428 nel 2019 (-3.450). In calo anche i pediatri (-310 in 10 anni per un totale nel 2019 di 7.408 unità). In frenata anche i medici di continuità assistenziale (ex guardia medica) che dai 12.104 che erano nel 2010 sono diventati 11.512 nel 2019 (-592).
Praticamente nei dieci anni prima dell’emergenza Covid il servizio sanitario pubblico è stato letteralmente falcidiato e gli effetti si sono visti dolorosamente in questi sedici mesi.
“Tutti, trasversalmente, hanno continuato a tagliare , per un falso senso di risparmio, considerando la Sanità un costo e non un investimento! Il risultato è sotto gli occhi di tutti” – denuncia Lisa Canitano, medico ed ora anche candidata a sindaca per Roma per Potere al Popolo – “Noi, “culla della civiltà” abbiamo avuto 135.000 morti per Covid, perché non siamo riusciti ad assicurare in tempo un minimo di assistenza. È inutile girarci attorno”.
Durante l’emergenza si è dovuti correre a mettere le pezze destinando alla sanità risorse economiche e umane che erano state tagliate negli anni precedenti, sempre però con una visione a tempo, legata all’emergenza pandemica. Ma una volta che l’emergenza sta rientrando, con quali parametri si faranno i conti con la “normalità” nella sanità pubblica?
I nostri medici in prima linea denunciano come già da adesso la “normalità” riproponga le emergenze di sempre. “Certo che hanno la faccia proprio di bronzo , incredibile, dicono che gli ospedali si sono svuotati, ma come mai le Sale Gialle sono strapiene in tutti gli ospedali, per non parlare delle Sale Rosse ? E noi ancora con il blocco barelle stiamo!” denuncia da Roma Francesca Perri, medico d’urgenza.
Da Brescia ci segnalano che una ragazza con una appendicite ricoverata d’urgenza agli Spedali Civili, ha rischiato di finire in peritonite perché il personale era in grado di procedere a tentoni nell’individuare il problema e la, facile, soluzione.
Ma storie come queste ormai è diventato fin troppo frequente incontrarle nel nuovo quotidiano di fine emergenza.
Chi deve andare in ospedale per patologie non legate al Covid si trova così a fare i conti sia con un sistema spesso in tilt, sia con un personale sanitario stressato fisicamente e psicologicamente da sedici mesi di emergenza pandemica, senza aver potuto spesso tirare il fiato o elaborato psicologicamente i costi umani della guerra che ha combattuto.
Servirebbero nuove e tante assunzioni di nuovo personale, far riposare e in qualche modo assistere il personale che è stato in trincea ininterrottamente per mesi, riaprire gli ospedali chiusi, ripristinare le strutture di medicina territoriale smantellate, cambiare radicalmente la fisionomia e la filosofia di gestione del servizio sanitario nazionale riportando a centralità la sanità pubblica in tutte le sue articolazioni.
Abbiamo l’impressione che ben presto non ci sarà nulla di tutto questo. Le risorse del Pnrr destinate alla sanità sono aumentate di consistenza, ma se non cambia la visione e la gestione esiste il rischio che andranno a consolidare le storture pre-esistenti.
Sulla sanità pubblica indietro non si deve tornare, perché come abbiamo scritto sin dall’inizio della pandemia/sindemia, proprio “la normalità era il problema”.
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