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Le giornate particolari di Draghi, tra Merkel e von der Leyen

Ma quanto siete tranquilli nel sentirvi dire che la “pagella” per il piano presentato dal governo è “con voti alti” – secondo i tecnoburocrati di Bruxelles e, soprattutto, Berlino – mentre nessuno dei normali cittadini (a cominciare dagli organi di stampa) ne sa assolutamente nulla?

Anche le “indiscrezioni”, uscite fuori a spizzichi e bocconi, non sono altro che titoli generici, sotto cui si potrebbe scrivere qualsiasi cosa, anche due opposte fra loro. Chi mai potrebbe essere – in astratto – contrario a “profonde riforme” in un paese in cui ormai ben poco funziona per il benessere di tutti?

Chi potrebbe essere contrario a una politica produttiva “più attenta all’ambiente”, all’”ammodernamento tecnologico”, alla “banda larga” e via elencando?

Il segno di classe (pro o contro la popolazione) si vede dai dettagli. Non a caso sono quelli che mancano. Ma che evidentemente a Bruxelles sono stati comunicati con dovizia di particolari.

Poi, certo, gioca l’antica consuetudine “europeista e atlantica” garantita da un premier che fa parte da decenni dell’élite finanziaria internazionale. Una “garanzia” che le politiche disegnate altrove saranno applicate in Italia (come negli altri paesi europei) senza troppe variazioni sul tema.

Lo spazio per le “autonomie nazionali” è condensato nella battuta rivelatrice di Angela Merkel: “siamo d’accordo su tutto, tranne che sul calcio”. Ecco, cari lavoratori e sudditi europei, potete tifare per la vostra squadra nazionale come per quella cittadina. Ma non rompete le scatole con le vostre pretese su tutto il resto (politiche industriali, occupazione, condizioni di lavoro, salari, pensioni, sanità, istruzione, welfare, ecc).

Un assetto padronale e reazionario giocato sul filo sella “simpatia”, sfruttando – da parte dell’establishment italiano – il felice abbrivio della squadra di Mancini agli europei. Lo “stellone” italico sta tutto lì: se per caso ci dovessero essere degli intoppi prima di arrivare in finale, al governo resterebbe ben poco da sbandierare per tener su l’”orgoglio nazionale” a sostegno della ristrutturazione generale prevista dal Pnrr.

Al di sotto della facciata, però, non tutto è altrettanto commendevole.

Sulla questione dei flussi migratori, per esempio, da un lato si ribadisce la centralità degli accordi con la Turchia, che “va aiutata” (leggi: pagata) nel trattenere alcuni milioni di profughi dalla Siria all’Afghanistan (tutti frutto delle politiche militari “atlantiche” degli ultimi 20 anni).

Ancora più spinoso il dossier sulla “redistribuzione” di quanti, comunque, riescono ad approdare fortunosamente (in Italia, Spagna, Grecia) dentro un confine europeo.

Qui la diversità dei vari interessi nazionali (e della difficoltà di governare le rispettive opinioni pubbliche, pesantemente condizionate dalle pulsioni razziste) è emersa con grande chiarezza.

Merkel ha spiegato che “l’Italia è un Paese di arrivo, noi [tedeschi, ndr] siamo colpiti dai flussi secondari. Occorre iniziare ad agire dai Paesi di provenienza e su questa gestione siamo completamente d’accordo“. E quindi non c’è disponibilità di Berlino ad allargare i corridoi dal nostro e da altri paesi. Semmai a trasferire la “frontiera europea” anti-immigrazione sempre più lontano.

Così come è nota la resistenza reazionaria soprattutto dei paesi dell’Est (Polonia, Ungheria, baltici, ex Cecoslovacchi, ecc), che pretendono di non condividere neanche le spese per l’”accoglienza”. Figuriamoci le persone in carne e ossa….

Tocca però oggi a Ursula von der Leyen, come capo della Commissione europea, consegnare la “pagella” e, con essa, i primi 25 miliardi del recovery Fund. Con tutte le condizionalità che abbiamo provato più volte a illustrare.

La prossima tranche, se ci sarà, sarà erogata sulla base della realizzazione di alcune delle “riforme” indicate dalla stessa Commissione. E che non potranno essere contrattate più di tanto nel dibattito parlamentare (ormai ridotto a pura esibizione canora di “personaggetti” senza storia, spessore, dignità).

Un’ultima nota di colore ci sembra adeguata a illustrare il rapporto ora esistente tra governo italiano e Unione Europea, sempre più decisamente a “trazione tedesca”.

La location scelta da Draghi come palcoscenico dell’ok di Bruxelles sono gli studios di Cinecittà, gestiti da Istituto Luce Cinecittà (controllata del Mef). Stabilimenti gloriosi di una delle principali industrie di questo paese, certo, ma anche il regno della “narrazione”, della “recita”, della “finzione”.

La distanza tra quel che accade davvero e lo spettacolo imbastito per mostrare il contrario non potrebbe essere indicata meglio.

Roba da far impallidire il ricordo dei fondali di cartone (provenienti appunto da Cinecittà) per “ingigantire” il colpo d’occhio della Stazione Ostiense, costruita apposta per ricevere il macellaio di Berlino nel 1936.

La differenza? Non occorre più far accorrere un popolo che applauda l’evento (per quello, lo si manda allo stadio). E del resto non vediamo all’orizzonte registi pronti a girare un’altra “Giornata particolare”…

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