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Ancora numero chiuso a Medicina. Come se nulla fosse accaduto

Ieri si sono tenuti i test di accesso alle facoltà mediche. La facoltà di medicina, ovviamente, negli ultimi due anni ha ricevuto attenzioni particolari a causa del ruolo importante svolto dai lavoratori del comparto sanità: per colpa delle politiche portate avanti negli ultimi decenni, ci siamo ritrovati con un sottorganico drammatico a gestire le diverse ondate di covid.

Oggi sembra partita una controtendenza, dove vediamo aumentare i posti sia per il test d’ingresso di medicina sia per gli accessi alle specializzazioni. Al di là dei problemi di carenze delle stesse strutture per gestire questo aumento di iscritti, il fenomeno non può essere bollato come semplice “pezza” per risolvere una situazione drammatica, ma va contestualizzato nella forma del modello di università che ci ritroviamo.

A partire dalla campagna “ma l’Università a chi serve”, abbiamo cercato di indicare quale fosse, oggi, il ruolo che riveste l’università nella nostra società. La risposta è quella di comporsi come comparto di preparazione di forza lavoro specializzata e come settore di ricerca per l’interesse privato. Oltre a ciò, abbiamo visto come questa dinamica porti con sé l’utilizzo del settore pubblico (quindi anche gli investimenti) per garantire questo processo di trasmissione di conoscenze e lavoratori specializzati al settore privato. Non deve perciò stupirci questo aumento di medici e specializzandi: la classe dirigente del nostro paese, come anche quella europea, si sono accorti che, evidentemente, la ricerca di profitto risente molto di pandemie globali nel momento in cui le uniche soluzioni possibili sono bloccare l’economia. La grande batosta ricevuta dalle economie occidentali e la loro scarsa ripresa a fronte di quella cinese, hanno messo l’occidente di fronte alla difficoltà di primeggiare nell’attuale competizione interimperialista.

In questo senso, il numero chiuso all’università è quel fattore che serve a direzionare, limitare e gestire le risorse secondo ciò che serve al settore dell’industria in determinati periodi. In Italia vediamo bene come il fenomeno della disoccupazione e del sottoinquadramento siano strutturali per la nostra generazione. Questo vuol dire che il tessuto d’impresa del nostro paese e il settore pubblico non sono in grado di assorbire l’offerta specializzata (che comunque rimane tra le più basse in Europa). In questo senso, perciò, gli atenei di eccellenza limitano la possibilità di iscriversi consolidando così il processo di elitarizzazione e lasciano ai poli di serie B il compito di esamificio che prepari la forza lavoro più portata a rimanere disoccupata o ad adeguarsi all’offerta di regioni o zone geografiche con una scarsa occupazione.

Per questo il numero chiuso oggi è un profondo limite della nostra società, che riflette esattamente tutte le sue contraddizioni: non sarà l’aumento di qualche migliaio di posti a medicina a risolvere questo problema.

Rivendicare la totale cancellazione dei test d’ingresso è il primo passo per costruire l’alternativa a questo modello di università!

 

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