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La Ue non è il regno del bengodi. Più povertà, meno aspettativa di vita

Le proiezioni dell’Eurostat, l’istituto statistico europeo, squarciano il velo su u luogo comune abbondantemente abusato. L’Unione Europea in mano all’ordoliberismo tedesco e ai tecnocrati ha visto scendere molti indicatori di benessere sociale.

Nella Ue ci sono 447 milioni di abitanti. Questi rappresentano il 5,9% della popolazione mondiale. La popolazione dell’Ue è scesa dal 10% mondiale che rappresentava nel 1974 e il trend negativo non si è più fermato nonostante l’immigrazione, anzi solo questa ha contenuto un po’ le perdite.

Secondo le stime dell’Eurostat, la popolazione dell’Ue “continuerà a crescere, anche se lentamente, fino al 2026 (fino a 449,3 milioni di abitanti), dopodiché dovrebbe scendere a 419,1 milioni nel 2080”.

Nei paesi a capitalismo avanzato un tasso di fertilità totale del 2,1 è considerato il livello di sostituzione della popolazione, ma nell’Ue il dato si attesta ormai a 1,53. Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, osservato “in gran parte dell’Europa negli ultimi decenni”, può avere “gravi risvolti per questioni come i fondi pensione, le entrate del governo e l’erogazione di servizi come quello sanitario e sociale”, sottolinea Eurostat.

La speranza di vita è di media era di 84 anni per le donne e di 78,5 per gli uomini, secondo i dati del 2019. Ma già nel 2020, colpiti dalla pandemia di Covid, i paesi della Ue hanno registrato un aumento della mortalità del 13,4% rispetto al 2019, ovvero un totale di 5,2 milioni di morti e 619 mila morti in più rispetto all’anno precedente.

Il 73,1% della popolazione europea lavora nei servizi, il 19,4% nell’industria, il 5,7% nell’edilizia e l’1,9% nell’agricoltura o nella pesca. Il reddito medio pro capite è di 31.170 euro, ma con grandi differenze tra i vari paesi. Non solo. Nel 2020, il 20,9% della popolazione europea – ben 91,4 milioni di persone – era a rischio di povertà o esclusione sociale, si tratta di 15,4 milioni in più rispetto al 2019, cioè in soli due anni.

Nell’Unione Europea le donne guadagnano in media il 14,1% in meno degli uomini, essendo la Lettonia lo Stato membro con la maggiore differenza (21,7%) e il Lussemburgo con la minore (1,3%).

La Germania rappresenta il 25% del Pil dell’Unione Europea, la Francia il 17,1%, l’Italia il 12,4%, la Spagna l’8,4% e i Paesi Bassi il 6%. Tuttavia, la pandemia ha causato un calo del Pil del 6,1% lo scorso anno, interrompendo la tendenza al rialzo registrata tra il 2014 e il 2019.

Le energie rinnovabili hanno rappresentato il 19,7% dei consumi finali lordi nel 2019, rispetto al 13,9% di dieci anni prima, ma questo segnale viene contrastato dal fatto che nel 2019 risultavano ben 242 milioni di autovetture nell’Ue, praticamente più di un’auto ogni due persone. Il 76,3% delle merci ha viaggiato attraverso l’Ue su camion, il 17,6% in treno e il 6,1% per vie navigabili interne.

Le emissioni di anidride carbonica nell’UE provengono soprattutto dalle industrie energetiche (41,9%), dai trasporti (24,6%), edilizia (11,5%), agricoltura (10,1% ), dall’industria manifatturiera (8,8%) e dalla gestione dei rifiuti (3%).

Tra tutte, solo le emissioni dei trasporti sono aumentate tra il 1990 e il 2018 (31,8%) mentre a partire dal 2018, le emissioni di Co2 dell’UE sono diminuite in media del 20,7% rispetto ai valori del 1990.

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