Il capitombolo di Luca Morisi, social-megafono di Matteo Salvini per otto anni, è un fatto politico di una certa importanza che non merita certamente di esser seppellito dietro la classica dichiarazione assolutoria “si tratta di una questione privata”.
E risulta più che sospetta la “gentilezza” usatagli da tutti i presunti “avversari” politici tipo Pd, Cinque Stelle et similia, che invitano a “non fare come lui e Salvini” hanno sempre fatto contro chiunque. Si vede lontano un miglio che tanta “signorilità” nasconde la preoccupazione per la credibilità del governo Draghi – di cui la Lega è un sostegno importante, per quanto numericamente non decisivo.
C’è poi la consueta convinzione che tanti dei pretesi “politici” attuali siano in realtà preoccupati degli scheletri nei propri armadi, visto che in quel demi-monde i vizi privati prevalgono assolutamente sulle inesistenti virtù pubbliche.
E come dicono spesso – ma privatamente – i cronisti parlamentari più assidui nei palazzi del potere, “se si facesse l’antidoping a Montecitorio non se ne salverebbero molti”. Ma non è che al Senato o altrove la situazione sia molto diversa…
Morisi è noto per esser stato, fino a qualche giorno fa, il manager della “Bestia”, soprannome azzeccato per lo staff social del segretario leghista. Quella macchina fangosa che ha portato Salvini a sfiorare il 40% nei sondaggi, dopo aver sollevato la Lega – in pochi anni – da un disperante 4% al 17% delle politiche del 2018.
Superfluo ricordare i suoi “successi” e le sue “tecniche” piuttosto disinvolte. Inutile enumerare le sue vittime, meglio se deboli e impotenti o addirittura morte (i migranti, Federico Aldrovandi e sua madre, Stefano Cucchi e la sorella, ecc).
Un protagonista e un facitore della “cultura politica” di questi anni di merda, insomma, il produttore più efficace del precipitare del “pensiero politico” nel turpiloquio dei potenti contro i deboli. E dello scadere della politica a ramo derivato dell’entertainment, della battutaccia, dell’insulto esplicito a senso unico (il potente querela sempre, la vittima in genere non può permetterselo).
Perché, dunque, bisognerebbe risparmiarlo?
Al contrario, evidenziarne limiti e contraddizioni aiuterebbe a “ripulire” il campo da liquami nauseabondi. “Bastonare il cane che annega“, raccomandava Mao Zedong…
C’è anche la particolarità dell’accusa formulata dalla Procura di Verona: “cessione di sostanze stupefacenti”, oltre al ritrovamento nella sua villa di Belfiore di una modesta dose di cocaina “compatibile con l’uso personale”.
Quel che è interessante è la combinazione delle due droghe ritrovate, rivelatrice di un classico schema di potere. Da un lato il flacone di GHB ritrovato nella macchina di tre ragazzi che hanno immediatamente confessato sia la natura del contenuto (comunque in attesa di verifica analitica), sia il “cedente” (non “spacciatore”, come avrebbe invece twittato la “Bestia” in altri casi).
Il GHB è detto anche “droga dello stupro”, perché è un miorilassante. Insomma una sostanza che riduce la reattività muscolare, come avviene con l’assunzione di forti quantità di alcool. Ovviamente è la sostanza che va fatta assumere alla vittima dello stupro premeditato, in modo che non possa resistere adeguatamente e quindi essere eventualmente indicata poi come “consenziente”.
La cocaina, invece – sembra inutile ricordarlo – è un iper-eccitante che viene ovviamente assunto dal soggetto aggressore, aumentandone la reattività.
Uno schema d’azione del “potente”, per l’appunto.
Se sia così, alla fine, lo stabiliranno i magistrati, cui nelle prossime settimane potrebbero arrivare denunce supplementari, se ci fossero delle vittime di stupro che fin qui hanno hanno evitato di esporsi per timore di non essere credute e quindi massacrate dai media vicini al “potente”.
Ma non si capisce per quale motivo bisognerebbe risparmiare a Morisi quel che viene scaricato normalmente su chiunque venga beccato in una situazione simile.
Si capisce perfettamente che lo faccia Salvini, che lo coccola pur “tirandogli le orecchie” come si fa con gli amici che fanno una microscopica “cazzata”. Il rischio, in caso contrario, è di “deprimere” ulteriormente l’”affaticato” Morisi, mettendolo sulla china pericolosa – dai vertici del potere al paria schizzato da tutti – che può portare a seguire la strada di Mario Chiesa (il “mariuolo” del Pio Albergo Trivulzio che fece esplodere Tangentopoli).
Resta la domanda: ok, il fascioleghista Salvini si tutela, ma gli “antifascisti da operetta” perché lo aiutano “comprendendolo”?
L’unica risposta è che non c’è molta differenza, se non di pura facciata.
Ultima nota. Che Salvini fosse in fase calante era evidente da tempo. Che questa “bottarella” sia una spinta ulteriore verso la “renzizzazione” (il passaggio dal 40 al 2%), anche.
Viviamo in tempi di morte politica, dove le decisioni vere vengono prese – come rivelato senza remore da Mario Monti nell’ultima intervista al Corriere della Sera – in luoghi molto distanti dal Parlamento e dal “controllo democratico” (a Bruxelles o Berlino, in un establishment “europeo” dove circolano personaggi selezionati e cooptati, dove non sono ammessi “estranei” solo perché eletti dai rispettivi popoli).
Emergere o sparire non dipende dai meriti di questo o quel “leader”, ma dall’utilità o meno che un certo personaggio ha rispetto alle decisioni che altri prendono.E fin quando risulta utile…
Lo ricordiamo a tutti quelli che ancora invitano a votare Pd “per fermare l’avanzata della destra”, “perché altrimenti ci teniamo Salvini per i prossimi 20 ani” (il ritornello precedente era “ci terremo Renzi per i prossimi 20 anni”).
Dobbiamo costruirci una rappresentanza politica alternativa, autodeterminata, di classe e popolare. Perché non c’è “il meno peggio”, ma solo due o più facce dello stesso potere. E di droghe miorilassanti ce ne sono molte…
Le peggiori passano dai media mainstream.
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Andrea Bo
Non si può dire nulla di diverso…
Marco
“Dobbiamo costruirci una rappresentanza politica alternativa, autodeterminata, di classe e popolare”: parole sante. Per quel che si vede nella prospettiva delle amministrative a Roma (prospettiva determinata da chi ha ritenuto vantaggioso per la classe e per i propri obbiettivi politici affrontare la contesa elettorale separatamente) , l’obbiettivo sembrerebbe forse raggiungibile nel giro di una sessantina d’anni, il tempo necessario per un radicale ricambio biologico delle dirigenze delle varie organizzazioni politiche che a tale rappresentanza dicono di ambire, dirigenze che sono riuscite nell’impresa di portare sulla scheda elettorale di una città la bellezza di quattro simboli con falce e martello più quello di Potere al Popolo, che a tale simbolo storico ha preferito un richiamo costituito da una stelle rossa, in contrapposizione. Il risultato appare scontato: rappresentanza ZERO e ci sarà, ahinoi, qualcuno talmente stupido da festeggiare per avere ottenuto qualche decina di voti più della “concorrenza”. Mi convinco sempre più che finché i militanti di base, compagni onesti collocati ciascuno secondo la sua evoluzione storica, non spareranno sui loro rispettivi quartier generali, da Grisolia ad Acerbo, da Cremaschi a Rizzo,(gente che argomenta il proprio particolare in maniera irreprensibile ma mortifera nel risultato), per liquidare le scorie che ci tengono incatenati al 3% complessivo spartito in dieci, per la gratificazione dello zerovirgola di ciascuno non usciremo dall’irrilevanza.
Redazione Contropiano
Vorremmo pacatamente ricordare che nel 2018 fu fatta la mitica “unità” sotto la sigla d Potere al Popolo in versione “large”. Rimasero fuori, per scelta propria, solo Pc e Rizzo. Il risultato (1,13%) non fu clamoroso. E lo stesso era accaduto in precedenza.
Dunque il problema NON è l’unità elettorale, ma la scomparsa dal corpo sociale. Però questo non ti consente di ripetere a pappagallo la stessa sciocchezza ad ogni scadenza elettorale…